Quel giorno segreto di Saronni a Ferrara da Conconi

Bicisport, n. 9, settembre 1984

Saronni era giunto a Ferrara poco prima di mezzogiorno, accompagnato da [Pietro] Algeri e dal medico della sua squadra. Era finito da poco il Giro d’Italia: dietro la facciata degli osanna a Moser si celava quest’ombra inquietante. Saronni era alla ricerca del filo conduttore d’una carriera che sembrava misteriosamente finita. Perché?

Il professor Francesco Conconi lo aspettava sull’erba del velodromo insieme ai suoi assistenti. Lo scienziato aveva da poco “curato” Maria Canins in partenza per i Giochi olimpici e dopo qualche preambolo mise in pista Saronni.

Beppe cercava un aiuto. Soprattutto egli chiedeva al “medico” di Moser una traccia per iniziare una preparazione diversa, più scientifica, nuova. Algeri aveva il volto segnato. Il giovane tecnico di Saronni era alla ricerca d’una spiegazione ai tanti perché che ancora popolavano la via di Saronni. Lontano da quello stadio, un’altra persona trepidava non poco: Ernesto Colnago il quale su Saronni aveva fatto il pieno delle puntate, sentimentali ed economiche.

Conconi lo fece girare. E poi cominciò a rilevare i limiti di soglia del cuore di Saronni e alla fine, visto lo sforzo non lieve del campione, ancorché reduce da tre settimane di corsa al Giro d’Italia, disse che c’era molto da fare.

Aggrottò la fronte quando Algeri gli comunicò che Saronni sarebbe andato in montagna, a St. Moritz, per distrarsi e ricostruirsi, insieme ad un paio di gregari e alla famiglia.

- Distrarsi? – chiese, stupito, Conconi. E aggiunse che Saronni avrebbe fatto benissimo ad andare a St Moritz, ma non per distrarsi. Per lavorare. E lavorare durissimo.

Poco dopo, Saronni e Conconi si misero a tavola insieme, per la colazione, e il campione fece capire allo scienziato che gli sarebbe piaciuto avere l’assistenza professionale d’un suo collaboratore fidato, serio, sicuro. E così nacque un rapporto che diede a Saronni una certa serenità. Ma si vedeva che il corridore era profondamente inquieto, insicuro, palesemente alla ricerca d’una condizione psicofisica diversa, lontana, quasi inafferrabile.

Partì per St. Moritz con la famiglia e lassù lavorò parecchio sottoponendosi, successivamente, a un nuovo test a Fiorenzuola. Poi il ritorno alle corse, il primo ritiro, il ritardo di 17 minuti alla Tre Valli Varesine e finalmente in Norvegia la fine dell’incubo: il ritorno alla vittoria…

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