TEXAS TECH PUNTA A RESTARE NELLA STORIA



AUTORE: PAOLO MUTARELLI

Durante il periodo del torneo Ncaa, la parola “storia” viene usata e riusata fino a diventare quasi stucchevole quando la si sente. In ogni torneo che si rispetti, un ateneo, allenatore o giocatore raggiunge un obiettivo storico per sé o per l’università in cui gioca e la narrativa delle ultime stagioni di Texas Tech ha proprio a che fare con gli appuntamenti con la storia. Le prime Elite Eight dell’anno scorso e le inaspettate Final Four di questa stagione sono i massimi traguardi stabiliti dall’università di Lubbock e sono frutto di un triennio di lavoro, da parte di Chris Beard e dello staff, encomiabile. Vi abbiamo raccontato qui il percorso di Davide Moretti, vediamo come Texas Tech sta diventando la prossima powerhouse del college basketball e Beard il nuovo guru tra gli allenatori.


Un ingaggio inaspettato

E’ il 2016 e Tina Kunzer-Murphy, direttrice sportiva di UNLV, è nel suo ufficio impegnata in una conversazione telefonica che, nel giro di pochi minuti, avrebbe cambiato il suo umore, passato dal tranquillo al profondamente preoccupato. Dall’altra parte della cornetta, c’è Kirby Hocutt, suo omologo a Texas Tech, che le sta chiedendo il permesso per un colloquio col suo nuovo allenatore, Chris Beard, appena ingaggiato dopo una stagione da 30 vittorie e un upset al torneo ai danni di Purdue alla guida di Arkansas Little Rock. Beard era arrivato a Las Vegas appena venti giorni prima e per Kunzer-Murphy la richiesta di Hocutt non aveva senso. La risposta la gela. “Con il dovuto rispetto, era solo una chiamata di cortesia. Chiamerò Chris per incontrarci. Sarà lui a decidere cosa fare”. In quel momento l’AD di UNLV capisce di aver già perso il coach appena assunto.

Come dichiarerà, poi, Beard alla conferenza di presentazione a Lubbock, “when momma calls, you’ve gotta go home” e cosi succede. Chris Beard torna a Texas Tech, dopo esser stato assistente per dieci anni sotto il leggendario Bobby Knight, e da lì inizia a costruire quasi da zero un programma privo di tradizione cestistica e senza un bacino in cui reclutare. Le parole-simbolo con cui Beard approccia ogni sua avventura sono intensità e sense of urgency, cioè la sottovalutata capacità di non procrastinare faccende che possono essere risolvibili nell’immediato. Da qui parte la storia di una squadra che in tre anni è arrivata sempre puntuale ai suoi appuntamenti con la storia. 


Una stagione inaspettata

Un allenatore mai sazio che, dopo la sconfitta alle Elite Eight contro Villanova, si confida nella pancia del TD Garden con il suo superiore. “Non pensare neanche per un secondo che questo traguardo ci definisca come programma”, il che significa che un’Elite Eight non basta per diventare una powerhouse. Infatti, si butta a capofitto nella costruzione di una nuova squadra, d’altronde aveva appena perso sei dei migliori otto realizzatori. Vola a Vermillion, South Dakota, per ingaggiare Matt Mooney, che li accoglie in una casa devastata da una festa organizzata dai coinquilini, ignari di tutto, la sera prima. E poi strappa il sì di Tariq Owens, centro già laureato, quindi eleggibile da subito, di St John’s. In più, confida nello sviluppo di due giocatori al secondo anno come Jarrett Culver e Davide Moretti, degli autentici gym rat, e nell’esperienza di Brandon Francis e Norense Odiase.

Come di consueto, porta la squadra in ritiro, per due giorni al Circle 6 Camp, un campo religioso in cui Beard vieta ai suoi l’uso dei telefonini per incentivare la reciproca conoscenza. Infatti, oltre alle umilianti serate karaoke a cui sono sottoposti, spesso Beard e assistenti dividono il gruppo in coppie, i cui componenti si potranno confidare e conoscere per poi raccontare ciò che hanno imparato di fronte all’intera squadra. Owens dichiarerà più tardi che, grazie a quegli incontri, ha conosciuto aneddoti e fatti personali sui compagni che, altrove, non avrebbe conosciuto neanche in tre anni.

La costruzione di una alchimia e di un affiatamento di una squadra aumenta la velocità con cui si costruisce una difesa di élite. Texas Tech è stata, per tutto l’anno, una delle migliori difese della nazione, prima per efficienza, e, in questo torneo, si sono visti gli attacchi di Buffalo e Michigan annichiliti. Il merito va ascritto, oltre allo schema di base, anche all’intensissimo allenamento chiamato “Kill Drill”, un massacro dove un gruppo di cinque giocatori rimane sul campo a difendere finché non avrà fermato per tre volte consecutive l’attacco. L’obiettivo è rendere impermeabile il reparto difensivo tramite una spietata applicazione e un’incrollabile forza mentale. Girano voci nei corridoi di Lubbock che alcune difese siano durate anche per oltre trenta minuti.

Inoltre, Mark Adams, assistente-coordinatore della difesa, ha istituito una serie di premi per chi, in allenamento, raggiunge determinati obiettivi. Una collanina d'oro per il giocatore con più rimbalzi, una cintura stile WWE per il giocatore con più deflection (la leggenda dice che Francis era convinto di prendersela dopo aver avuto sette deflection, ma mentre riposava, Mooney ne ha messe a segno 15) e una sedia speciale all’interno dello spogliatoio per chi ha subito più sfondamenti. Questo crea una competizione interna sana ma feroce, propedeutica al miglioramenti.

Come dice Adams, “qua non reclutiamo cinque stelle, ma li trasformiamo in cinque stelle”. Livello alto della competizione che le sfide al tiro tra Moretti e Culver sono quasi all’ordine del giorno, con l’americano a sfidare continuamente l’italiano, pur perdendo quasi sempre. Il sense of urgency Beard ai suoi giocatori lo trasmette tramite il seguente mantra: “treat every moment like it was the most important”. Da qui, nascono una difesa di acciaio e una serie di giocatori dalla mentalità aperta, "vincente" e propositiva. Sulla porta della film room di Texas Tech c’è un adesivo, con un sottotitolo e due frasi: 2018 Team Retreat @ Circle 6, 18/19 Season Sacrifices, No Beer, No Candy/Sweet/Dessert. Per ricordare dove tutto è iniziato e che qualche fioretto fa sempre bene.


Un nuovo appuntamento 

Per tutta la stagione, Beard ha avuto un chiodo fisso e lo ha ripetuto spesso: "let’s try to have your own journey". Per dimenticare ciò che è stato fatto nel passato e concentrarsi sul futuro. Francis, davanti ai giornalisti, ha voluto rimarcare l’umiltà e l’unità di questo gruppo dicendo che, pur non vantandosene, sapevano che sarebbero stati dei buoni giocatori e avrebbero avuto una buona stagione. Sabato a Minneapolis, affronteranno Michigan State in uno scontro con uno dei migliori programmi e allenatori degli ultimi vent’anni.

Per molti, come lo stesso Francis, Mooney, Odiase e Culver, diretto in Nba, potrebbe essere l’ultima partita in maglia Red Raiders, per altri, come il nostro Moretti, forse no. Ciò che rimarrà sarà la cultura e la loro identità lasciata nell’ambiente di Lubbock; e Beard che sembra trasformare in oro tutto ciò che tocca. Chissà che cosa starà pensando la signora Kunzer-Murphy: è stata appena licenziata da UNLV perché il triennio di coach Marvin Menzies, il sostituto di Beard a Las Vegas, è stato pessimo. Lo aveva paragonato a Jerry Tarkanian, indimenticabile coach dei Runnin' Rebels campioni negli anni ’90, per il suo senso dell’umorismo. Lei ha mancato l’appuntamento con la storia. Texas Tech potrebbe averne un altro questo weekend. 



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