Sappada per sempre


«La storia è sempre scritta in modo sbagliato e quindi ha sempre bisogno di essere riscritta»
– George Santayana

di CHRISTIAN GIORDANO
"Sappada" - © Rainbow Sports Books

Trent’anni, e sembra ieri. Sappada: basta la parola. C’è chi ancora in testa ci attacca «l’affaire», o «il tradimento» o persino «il massacro» di: perché così è passato alla storia l’attacco (o presunto tale) di Stephen Roche alla maglia rosa, nonché suo (co?) capitano alla Carrera e campione uscente, Roberto Visentini. E da allora i due non si parlano più. Era il Giro d’Italia 1987. Sembra ieri, e invece sembra passato più che un secolo: altri tempi, altro ciclismo, altra Italia, altro mondo.

Se siamo qui a scriverne, oltre trent’anni dopo, non è per cavalcare antichi e mai sopiti rancori. Né per rivangare chissà quali torti e misfatti. Bensì per perpetrare, di quel movimento, di quegl’anni, l’epica; e magari sfatare falsi storici, smascherare bugie vecchie e nuove, spazzar via luoghi comuni tanto stucchevoli quanto duri a morire. 

Tipo: il Visenta bello e impossibile, il figlio di papà troppo ricco per far fatica in bicicletta, il latin lover che amava la bella vita e girava il lungoGarda in Kawasaki e Ferrari, il cocco bresciano nel clan bresciano del bresciano diesse Boifava e dei patron veneti Tacchella; ma anche lo Stefanello, così italianizzato e imposto dalla potente Rosea purpurea dell’epoca per l’irlandese furbetto e vilipeso dall’Italietta provinciale che è sempre stata e forse sempre sarà e che sciovinista mai è davvero stata e, speriamo, ci illudiamo?, mai sarà.

Siamo andati a rileggerli i giornali e le riviste specializzate dell’epoca, e di là delle partigianerie (specie anglosassoni per il più cosmopolita e mediatico Stephen; e tutte nostrane per l’invidiato e scostante Roberto) è curioso, dopo sei lustri, osservare come nel ciclismo e nei modi di raccontarlo gli unici a essere davvero cambiati – insieme con materiali e mezzi, tecnologia, nutrizione, metodologie e scientificità della preparazione – siano soprattutto loro, i corridori, più ancora di chi gli sta intorno. Non altrettanto si può purtroppo dire dei suoi moderni cantori, così piccoli piccoli che paiono ancora più tali, schaicciati come sono dall’impari confronto con la grandezza dei loro predecessori che quell’epicità l’hanno narrata da coevi. 

Uno sport, il ciclismo, oggi talmente ipertecnologico eppure ancora così “eroico” che sembra non avere aedi anche solo commensurabili al proprio, pioneristico, passato. Anche e soprattutto per questo siamo andati a caccia di protagonisti e comprimari di Sappada ’87. Non per riaprire ferite mai del tutto rimarginate ma per reimparare a essere questo mestiere: perché giornalista non si fa, si è. E come per chi corridore è stato, mai si può smettere di esserlo. Mai.
Christian Giordano
dicembre 2017

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