IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Centomila metri a perdifiato


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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

La Cento chilometri a squadre, la prova concettualmente più esagerata della pedivella, fu la Formula Uno della specialità: il vertice futurista, nemmeno fosse dipinto da Botta, che portò oltre i limiti dell’umano. 

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La Cento fu occidentale negli avamposti italiani e della Germania Federale, un po’ nordica (l’èra dei fratelloni svedesi Gösta, Sture, Erik e Tomas Petterson) e francese; orientale nelle corazzate Ddr e Cccp, con la vigorosa partecipazione di Cecoslovacchia e Polonia. 

I polacchi nei Settanta divennero dominanti, grazie soprattutto all’apporto del principe Ryszard Szurkowski, che al mondiale di Barcellona ’73 dipinse il van Gogh dell’iride, bissata a pochi giorni di distanza con la prova in linea: impresa mai più realizzata. 

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Nel 1981, a Praga, i francesi cavalcarono biciclette con i manubri a corna di bue e le ruote di dimensioni diverse fra loro.

La prima soluzione (accolta con scetticismo dai soloni di casa nostra) fu adottata anche dalla Germania Est, che stravinse l’oro: i quartetti in grigio di quel periodo furono sempre straordinari, dall’impareggiabile Boden-Drogan-Kummer-Ludwig in terra boema alla Panzerdivision (Ampler-Kummer-Landsmann-Schur) oro a cinque cerchi a Seul ’88. 

A tracciare il progresso arrivò anche la storica spedizione olimpica di BiciItalia a L.A. ’84: le lenticolari del professor Antonio Dal Monte, evoluzione del prototipo moseriano, si accompagnarono al talento di Marcello Bartalini, Marco Giovannetti, Eros Poli e Claudio Vandelli

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Impresa atleticamente esigentissima, per alcuni troppo, regalò al professionismo dozzine di grandi campioni su strada e pista. Basterebbe ricordare, come esempio massimo, che nel quartetto olimpionico dei tulipani nel 1968 pedalarono due fenomeni di longevità agonistica come Joop Zoetemelk e René Pijnen. E al loro fianco Fedor den Hertog, l’anti-Merckx che decise – per scelta – di rimanere dilettante fino ai ventisette anni. 

Azzurra, nel fantamiglioramento della Cento, continuò nei momenti di gloria assoluta. A Villach 1987, Roberto Fortunato, Eros Poli, Mario Scirea e Flavio Vanzella sconfissero per dodici secondi un’Unione Sovietica fortissima, recuperando più di mezzo minuto di svantaggio nell’ultimo quarto di gara. Ad aiutarli nell’impresa, un cavetto di acciaio che collegava le tutine degli atleti ai rispettivi manubri; un espediente geniale per consentire una spinta più forte con il rapportone sui falsipiani in leggera salita. 

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Il funerale, l’ultimo capitolo della saga, fu a Palermo nel 1994: una festa mesta, New Orleans dopo l’uragano Katrina, celebrata da un successo italiano su francesi e tedeschi, questi ultimi riunificati senza l’alter ego orientale, l’ennesimo segno dei tempi volati via.

Alla premiazione, come in un racconto di Leonardo Sciascia, si presentò il mandante del delitto, Hein Verbruggen in persona: raccolse una selva di fischi e d’insulti dal pubblico, sparuto ma competente. 

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