IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Scalatori esotici: Robert Millar


Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

Il ricciolino Robert Millar, scherzando ma non troppo, attraversò da protagonista autentico almeno quindici anni di ciclismo. 

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All’esordio nella Grande Boucle, 1983, confermò le doti: in maglia bianconera Peugeot, entrò nell’immaginario di molti durante la classica tappona pirenaica da Pau a Bagnères-de-Luchon. Quel dì, a duecento metri dalla vetta del Peyresourde, lasciò sul posto il compagno di fuga José Patrocinio Jiménez: partì come un tappo di una bottiglia di champagne, una delle immagini più spettacolari in un Tour indimenticabile che ci presentò una nuova generazione: Fignon, Delgado, Vanderaerden, Roche, Madiot, Van der Poel, i colombiani e, last but not least, lo scozzese volante. 

Nel 1984, spettatore privilegiato della faida Guimard-Tapie, bissò verso Guzet-Neige e si vestì di pois rossi ai Campi Elisi. 

Il quarto posto, storico, lo annunciò in un’ascesa che avrebbe dovuto culminare, l’anno seguente, con l’amarillo iberico della Vuelta 1985. Gara che ebbe in tasca fino all’epilogo: ma verso le distillerie Dyc fu coinvolto, suo malgrado, in una Santa Alleanza spagnola. Il golpe di Perico Delgado, favorito anche dall’insipienza tattica della Peugeot, rappresentò una beffa atroce per il buon Bob. 

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Nel 1987, al Giro, partecipò alla beatificazione di Stephen Roche: nonostante il patto evidente, il passerotto britannico si aggiudicò la tappa decisiva di quella corsa rosa, a Pila, proprio davanti all’irlandese, e vinse il Gran Premio della Montagna. 

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Quella Grande Boucle fu anche il canto del cigno di quella masnada del 1983, che dall’anno successivo iniziò ad arretrare di fronte all’avanzata impetuosa di una nuova stirpe, cambio della guardia fisiologico accelerato dall’arrivo del Robosport. 

Vederlo in fuga sulla mostruosa Bonette, al Tour 1993, inseguito dai cyborg (Indurain, Rominger, Rijs eccetera) fu la più poetica fotografia della sua candida estraneità a quel mondo: «Dieci anni fa io mettevo il “12” solo nelle discese...». 

Il fallimento di Le Groupement nel 1995 convinse lo scalatore vegetariano ad appendere la bici al fatidico chiodo; oggi lo scozzese, reciso ogni legame con il passato, si chiama Philippa York. Ha cambiato vita, sesso e città: un bel rovesciamento di prospettive, per un personaggio che non rinunciò mai a essere se stesso fino in fondo.


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