FOOTBALL PORTRAITS - Bernacci, il Toni dei poveri
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«Il nuovo Toni». Nel calcio, a mettere le etichette si fa presto, il problema è toglierle. Se giochi in attacco in provincia e in sorte hai un fisico da cestista (193 cm x 72 kg), da te si aspettano i gol. E pazienza se hai le spalle larghe la metà di quelle del bomberone azzurro e a te solletica più l’assist che la rete. E se anziché la boa ti senti il perno dell’attacco.
«Mi capita anche di segnare, certo, ma non è il mio compito prioritario», spiega Marco Bernacci, promessa non più di primo pelo e da quest’anno in comproprietà all’Ascoli. «Io devo appoggiare palloni per i compagni che si inseriscono. E con Soncin vicino, la formula funziona. Anche se abbiamo raccolto meno di quanto meritassimo».
E' successo spesso a questa eterna promessa del vivaio cesenate, sin dalle giovanili, lasciate per la prima squadra nel 2000-01 in C1. Il debutto nella stagione seguente (unica presenza), poi due anni da 21 gare con 4 e 6 reti, con tanto di promozione in B. In cadetteria si ripete (ma in 33 uscite) e nel 2005-06 va per la prima volta in doppia cifra nelle marcature: 10 in 39 gettoni.
Numeri che gli valgono la chiamata del Mantova. Complice il brillante avvio, la sua carriera pare decollare invece un po’ il carattere, gli equivoci tattici (dovuti al fisicone) e il conflittuale rapporto con il tecnico Di Carlo gli tarpano le ali. Fino alla rinascita di Ascoli. Troppo legato a Cesena (dove è nato il 15 dicembre 1983), dicevano. E la parentesi virgiliana sembrava avvalorare la tesi.
«Era la mia prima stagione lontano da casa. Il Cesena è stato tutto quanto avrei potuto desiderare: esperienza umana e professionale fantastica, amicizie importanti, una sorta di simbiosi con la tifoseria. Ancora oggi mi capita di confondere la mia strada con quella del Cesena: la sua situazione (terzultimo a 25 punti, nda) mi fa soffrire».
Forse fuori, in campo no di certo visto che il 21 marzo al Manuzzi, al 17’ della ripresa, ha sbloccato da illustre ex la gara poi impattata da Moscardelli al 5’ di recupero. Un punticino che non ha aiutato la squadra allenata da Castori, secondo nella sua personalissima hit parade di tecnici che più e meglio lo hanno formato.
«Al top metto Iachini (ora al Chievo, nda), per la fiducia che mi ha dimostrato. Mi ha convinto a credere nelle mie doti e che potevo diventare un calciatore vero. Poi Castori per la pazienza. E Iaconi (suo attuale tecnico all’Ascoli, nda), per lo spessore umano».
Forse è quello il segreto che lo ha fatto rinascere, oltre all’istintiva intesa – nel 4-4-2 privo di un dieci classico come il cesenate Salvetti – col gemello Soncin: 25 gol in due (12 e solo uno dal dischetto per Bernacci, contro i 5 penalty del compagno di reparto che ne ha realizzati 13).
Entrambi non sono al top della forma, ma alla fine dovrebbero giocare. «Con Soncin non ci conoscevamo, ma a pelle ci siamo presi subito, in campo e fuori. Abbiamo caratteristiche diverse: lui ha corsa, facilità di tiro, inserimenti imprevedibili. Ci integriamo alla perfezione, ormai giochiamo a memoria. Merito del ds Di Santo – da ieri neo-amministratore delegato – che ci ha messo insieme: ha capito che potevamo essere complementari e ha investito forte sulla sua scommessa. Come carattere invece siamo simili, amiamo le cose semplici». Che per Marco significano «la famiglia e i valori, innanzi tutto amicizia e correttezza. E poi la Golf, le piadine crudo e rucola, la musica pop».
Il classico articolo “il” in area invece esegue spartiti opposti. Grazie al gran lavoro delle stelline Pesce e Guberti a sinistra e Job a destra, in area piovono palloni: Bernacci li spizza, il Cobra – così Cosmi chiamava Soncin al Perugia, in omaggio a Tovalieri – li infila. E così il «Toni dei poveri», ritrovato il bianconero (i colori dei suoi idoli Buffon, cui un anno fa segnò col Mantova, e Del Piero), è pronto a staccarsi di dosso un’altra etichetta. Nel calcio, il risultato più difficile.
CHRISTIAN GIORDANO
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