IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Visentini
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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90
Roberto Visentini, da Gardone Riviera, fu l’avanguardia luddista di quel decennio: corridore ed essere umano complicati da descrivere, rappresentò l’antidoto ideale alla noia omertosa che ammorbò il periodo.
Classe 1957, il ritratto perfetto del corridore italico di quei dì: talentuosissimo ma zeppo di blackout caratteriali, zavorrato sul piano tecnico dall’inconsistenza agonistica di quel movimento così provinciale.
Eppure il gardesano arrivò nei pro’, a soli vent’anni, con le stimmate del super: primo iridato junior della storia, anche campione nazionale della categoria e poi a cronometro nei dilettanti.
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Il diesse della Carrera-Inoxpran, convinto delle doti di Roberto, per anni sfidò i sorrisi ironici dei sapientoni dell’epoca.
Il Visentini fu ritenuto troppo bello per le fatiche del mestiere e caratterialmente inadatto perché benestante.
Roby d’altronde ci mise del suo: le sue crisi di nervi, durante e dopo la corsa, furono spettacolari. Una volta arrivò a consegnare allo sbigottito Boifava un sacchetto, contenente la sua specialissima tagliata in decine di pezzi.
Amato da alcuni, detestato da molti, rappresentò un facile bersaglio per i fanatici di un certo ciclismo. E che talvolta, sulla strada, lo insultarono in modo indegno.
La (stoica) capacità di sopportazione del bresciano crollò soltanto in un’occasione: quel giorno, dopo uno sputo, non fosse stato per l’intervento di un meccanico si sarebbe verificato il primo omicidio nella storia del Giro.
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Furono anni di Giretti “facili”, ideati da Torriani per esaltare le doti di Franz e Beppe, percorsi leggeri, privi di salite cattive. A favorirli ulteriormente il regalo di abbuoni assurdi, mezzo minuto, ai vincitori di tappa: anche per quelle simonie il nostro perse l’edizione del 1983. Infatti, togliendo le bonificazioni, a Udine il biondino dell’Inoxpran si sarebbe vestito di rosa al posto dell’iridato Saronni.
Il Giro “del Guttalax” fu però una passeggiata di salute rispetto alle edizioni 1984 e 1987.
L’anno del Moser eroe dell’Ora fu vissuto pericolosamente da Visentini, che peraltro vinse da fuoriclasse, sotto la pioggia battente, la frazione di Lerici.
Il problema fu che il bresciano disse, senza alcuna diplomazia, la verità: l’organizzazione favorì il ballerino di Roubaix, cancellando l’ascesa dello Stelvio e chiudendo gli occhi di fronte alle scie motociclistiche e alle spinte di cui godette il conconiano.
In Trentino, salendo verso Selva di Val Gardena, il gardesano fu oggetto della “simpatia” e delle attenzioni delle legioni moseriane e crollò psicologicamente. Per moltissimi, il figlio di papà che osò dileggiare l’idolo delle folle ricevette ciò che si meritava.
La vicenda però che segnò la carriera del golden boy si verificò nell’edizione 1987, quella sì dal punto di vista tecnico degna dei Giri più gloriosi.
Il compagno di squadra Stephen Roche, co-leader di una Carrera incasinatissima, orchestrò una singolare insurrezione contro la maglia rosa coadiuvato dalle squadre – Fagor e Panasonic – che volevano firmarlo per il 1988. E con il piccolo aiuto di amici italiani come l’iridato Moreno Argentin.
In una giornata irreale, verso Sappada, Roby saltò in aria a pochi chilometri dal traguardo, vanificando l’impresa più bella della carriera: la crono di San Marino, quando con stile inconfondibile divorò il resto dei pretendenti alla rosa, compreso il perfido Stefano.
Una frattura allo scafoide destro, nella penultima tappa, salendo verso Pila, completò l’odissea del campione bresciano.
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Basterebbe però ricordarsi del Giro 1986 per inquadrare Visentini nella giusta dimensione: quante volte, sui Gpm più impervi, lasciò sul posto un grande come Greg LeMond?
Il Visenta dalla classe purissima, così naturale da apparire agli occhi del Ct Alfredo Martini «bello ed elegante come una porcellana preziosissima».
Quelle tre settimane furono la giusta ricompensa per un talento mai abbastanza apprezzato dalla platea nostrana: merito (?) della demenziale cronosquadre siciliana se l’edizione ’86 fu divertente. Roby, infatti, accumulò un ritardo tale da costringerlo ad attaccare su ogni strappo.
Col polso destro fasciato a causa di una mini-frattura, iniziò la rimonta: la pedalata lieve e agile, mai scomposto sulla sella. La rincorsa terminò a Foppolo e portò fino alla fine, senza patemi d’animo, la rosa a Merano: il 2 giugno 1986, giorno del suo ventinovesimo compleanno.
Si potrebbe continuare all’infinito con le zingarate di Roberto.
L’inquieto passista ebbe, tra l’altro, la singolare caratteristica di non alzare le mani in caso di trionfo solitario, per la felicità dei munifici sponsor che lo stipendiavano, e la particolarità di rifiutare sdegnosamente il confronto in volata: mai visto prendere in considerazione l’arrivo in un plotoncino.
Fu pure tricolore, nel 1979, dell’inseguimento su pista: una comica surreale perché, non essendo un drago a guidare un mezzo con il pignone fisso, zigzagò a ogni curva.
Il Giro del Veneto 1990, dopo un paio di annate declinanti, fu l’ultima corsa di una carriera piena di rimpianti, di sconfitte orribili e di affermazioni esaltanti.
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Roberto, nell’anno del trionfo rosa, si presentò alla prima corsa stagionale con nemmeno duemila chilometri nelle gambe.
Fuggì subito dall’ambiente e cominciò a coltivare un silenzio assoluto.
Quando da ex concesse una rara intervista indugiò, al solito, nel suo antico difetto: disse la verità, scomoda e imbarazzante, senza fare prigionieri.
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