IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Bontempi e Rosola


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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

In un ciclismo a scartamento ridotto, costruito per esaltare le doti del dinamico duo, si esaltarono più o meno involontariamente i kamikaze delle volate: i celeberrimi cento metri di buio morale, in pieni anni Ottanta, ebbero un periodo di fortuna sfacciata. 

(...)

Guido Bontempi e Paolo Rosola furono la crema della specialità e nacquero entrambi nello stesso paesino del Bresciano, Gussago: malgrado condividessero l’attitudine, i due (caratterialmente) sembrarono subito gemelli diversi. Introverso e silenzioso l’alfiere della Carrera-Inoxpran, estroverso e caciarone l’altro.

Guidone, a dispetto dei santi, fu il corridore tricolore più affidabile a livello internazionale nel dopo-Moser e prima della maturazione di Moreno Argentin.

Il Rosola invece, per troppi anni, dopo aver imparato l’arte da Meister Urs, si specializzò nel Giro d’Italia. 

A Ciclone Bontempi mancò solo una Roubaix per sigillare una carriera da ras, ne avrebbe avuti i mezzi, ma la buona sorte non gli venne mai incontro. Esibì il suo talento con una doppietta alla Gand-Wevelgem, quella vera, non il surrogato imposto dal 1990 da Hein Verbruggen (e che ha resistito sino al 2013): un massacro basato sui ventagli e il Kemmeltop. 

Il suo 1986 fu tuonante, un bel riassunto del suo stile impetuoso di corsa, antipatico in Pantalonia (la Gazza, il giorno dopo la maxi-caduta a Termoli al Giro ’87, titolò: «Bontempi ne stende cinquanta») e apprezzato da fiamminghi e olandesi. 

Il continuo tentativo di uscire dalla definizione limitante, per lui, di sprinter ebbe come corollario il bis a Wevelgem, una Parigi-Bruxelles favolosa, cinque tappe al Giro e tre al Tour, la Coppa Placci e la Tre Valli Varesine. 

Anche declinante, con lo spunto meno veloce che negli anni ruggenti, continuò a evolversi vincendo per distacco, di forza.

Un bel contrasto con lo spirito guascone del compaesano, il Paolone, che si autolimitò al recinto di quei Giretti, contento del suo palmarès raccolto a maggio e a giugno: uno che il Tour lo vide sempre in tivù, tra una scorrazzata e l’altra con la motocicletta. 

(...)

Magari sgomitando con i predestinati, come successe nel penultimo round del Giro 1984, all’arrivo della Arabba-Treviso: i due bresciani osarono la blasfemia contrastando (senza molta timidezza) la volata di Moser, scattato a caccia dell’abbuono per il morale e per la classifica. 

Primo Bontempi, secondo Rosola e terzo il primatista dell’Ora; l’aver fatto il proprio dovere non fu apprezzato da stampa e supporter, tutti schierati con l’idolo messicano. Così, sul percorso della cronometro finale, i nostri furono oggetto delle attenzioni dei più fanatici: insulti e sputi soprattutto. 

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Al primo improperio, la coppia di energumeni tirò i freni e affrontò i malcapitati, che si presero qualche schiaffone dai due velocisti, provvidenzialmente fermati da diesse e massaggiatori al seguito.

Se il Bontempi esplorò se stesso fino in fondo, diventando la ruota veloce per antonomasia della pedivella prima di Mario Cipollini, Rosola non trovò di meglio che sfogarsi con il rampichino e affiancando, anche nella vita, Miss Mountain Bike in persona, ossia Paola Pezzo. 

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La sera della vigilia del mondiale di Villach ’87, Michael Aisner (l’organizzatore del Giro del Colorado), puntò le proprie fiches sul bresciano: rimase incredulo alla notizia che Paolone, il dì dopo, non avrebbe gareggiato. 

«È un corridore eccellente, senza punti deboli: va forte in volata ma non teme rivali in salita, è un generoso che sa sacrificarsi per la squadra ma ha le doti anche per andare in fuga da solo, vince in volata e vince per distacco. Davvero in Italia ci sono quindici corridori più forti di lui?».

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