IN FUGA DAGLI SCERIFFI - I Luoghi: la foresta di Arenberg



Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

La Parigi-Roubaix fu inventata per sbaglio da due filandieri (Théodore Vienne e Maurice Perez): la prima volta fu domenica 19 aprile 1896, quando, davanti al ristorante Gillet, si presentarono cinquantuno corridori convinti di partecipare a una corsa di preparazione per la Bordeaux-Parigi. 

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L’eredità fresca della Belle Époque, quella caratterizzata dai duelli tra Monsieur Roubaix Roger De Vlaeminck (nella foto) e il Cannibale Eddy Merckx, fu raccolta dalla grandeur di Francesco Moser, straordinario ballerino delle pietre. Sua la prima edizione degli Ottanta (per lui la terza in fila), che ribadì un predominio atletico e tecnico inusuale per il ciclismo moderno.

L’anno dopo, nella volata al Velodromo, arrivò a giocarsi il pokerissimo: poco casuale e molto simbolico che a contendergli la vittoria fossero Mastro Roger (a caccia della quinta affermazione) e l’iridato Bernard Hinault. Vinse, sfruttando la corsia interna atipica della pista, il campione del mondo: venticinque anni dopo Louison Bobet, infranse un sortilegio francese addirittura superiore a quello italiano (17 edizioni) nella Sanremo dei Cinquanta-Sessanta.

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Nel 1968 Jean Stablinski, memore di un passato lì da minatore, suggerì per la gara un nuovo passaggio. Vicino a Valenciennes, nella foresta di Wallers-Arenberg, gli organizzatori scoprirono «un budello dritto come un fuso, coperto di pavé orribile come non ne esiste in altra parte, sconnesso oltre ogni immaginazione che offriva spigoli ora lisci, ora taglienti e scanalature tappezzate da foglie in decomposizione: un percorso infame adatto più al pattinaggio che al ciclismo» (Pierre Chany).

Arenberg divenne subito il punto-cardine della sfida: nel 1972 caddero e si ritirarono ventidue corridori, compreso re Eddy. Si decise allora, visti i pericoli, di cancellarla. 

Nel 1983 Cthulhu riapparve e creò almeno tre Rubè consecutive memorabili, bagnate da una pioggia che rese le stradine prossime a un percorso di guerra. 

La prima se l’aggiudicò Hennie Kuiper, nonostante un Moser d’antologia e un meccanico imbranatissimo nel cambio-ruota dopo una foratura dell’olandese. Fu la sesta e ultima comparsa di uno stizzito Hinault (che si ritirò, fece l’offeso con i giornalisti e una volta salito nell’autoscopa si scolò una bottiglia di rosso), Stephen Roche rischiò di farsi ammazzare dalla sua stessa ammiraglia e Arenberg fu davvero il decimo cerchio dantesco. Come dichiarò lo Sceriffo di Palù: «In certe pozzanghere, per non annegare ci voleva la maschera da sub».

Dopo il 1984 del più irresistibile Sean Kelly di sempre, la bolgia del 1985 si consegnò alla letteratura di genere: la Verdun degli sfregaselle fu stravolta, nella palude, da un attacco a 120 chilometri dal traguardo del Venerabile Maestrotrentino. Moser costrinse gli altri favoriti a uscire allo scoperto e la gara saltò in aria. Eric Vanderaerden prima e KingKelly dopo consumarono troppe energie e nel finale (sotto un cielo nero-carbone) i due Renault, Marc Madiot e Bruno Wojtinek, con l’ennesima regia da Oscar del loro diesse Cyrille Guimard, portarono a casa il bottino dorato.

Dal 1986, per tre anni, la blasfemia irruppe nel tempio sacro: staccando un corposo assegno, un supermercato convinse gli organizzatori ad abbandonare il Velodromo per arrivare davanti all’emporio dei finanziatori.

Come bonus al cambio d’indirizzo ci fu anche l’esperimento della colorazione dei tratti di porfido, pitturati come murales per le riprese degli elicotteri: tanto per far aumentare i rischi di scivolate degli atleti.

Per un biennio s’imposero i grandi (Kelly e Vanderaerden), poi la Roubaix si vendicò facendo vincere un carneade.

Nel 1988 Dirk Demol, autentico signor nessuno, vinse grazie all’allineamento favorevole di tutti gli astri. Fu l’unico caso della Regina preda di un brocco qualsiasi. Quell’anno uscì una Rubè depotenziata dal sole e da una fuga-bidone.

Nel gruppetto, oltre al vincitore della lotteria, anche lo svizzero Thomas Wegmuller, il diretto perfetto per la gloria (altrui).

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Dietro, i big si macerarono nell’attesa di un contrattacco e quando si mossero fu troppo tardi: una beffa in particolar modo per Laurent Fignon, che rimontò tutti i fuggitivi tranne la coppia di testa e concluse terzo. 

Davanti, Wegmuller e Demol si giocarono a dadi l’Inferno: un pezzo di carta entrò nei fili del cambio dell’elvetico, che in pratica non riuscì a disputare la volata e regalò il trionfo all’anonimo belga; che ebbe il warholiano quarto d’ora di fama quel pomeriggio e poi rientrò nei ranghi prima di eclissarsi nell’oblio. 

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Nel 1989 si ritornò sulla pista del Velodromo, la piazza San Pietro di questa religione pagana beatificata dai flahutes.

Amen.


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