Il 1987 di Stephen Roche



Giro d’Italia, Tour de France e campionato del mondo nella stessa stagione.

di FRANCESCO BELTRAMI
Suiveur, 19 novmbre 2019

Quando Stephen Roche si presentò al via della  stagione 1987 si sapeva di essere in presenza di un ottimo corridore. Era vincitore di una Parigi-Nizza già nel 1981, a 21 anni e pochi mesi, di due Giri di Romandia (1983 e 1984), la tappa del Tour ’85 da Luz-Saint-Sauveur al Colle d’Aubisque, e di altre corse, ma per ipotizzare che l’annata sarebbe andata come andò non sarebbe bastata un’indovina.

Roche aveva compiuto 27 anni il 28 novembre ed era dunque nel pieno della maturità agonistica. Era però reduce da uno sfortunatissimo 1986: a seguito di una caduta rovinosa durante la Sei Giorni di Parigi nel novembre ’85 si era infortunato a un ginocchio. Ciò gli aveva praticamente impedito di disputare la stagione, aveva corso poco e senza ottenere risultati, col ginocchio sempre in sofferenza e problemi alla schiena che lo infastidivano già da tempo: fu secondo in una tappa del Giro [a Erba, dietro il norvegese Pedersen, nda] e terzo in una al Tour [la nona, crono di Nantes, dietro Hinault e LeMond, nda] e nient’altro. Non certo quello che si aspettava da lui la Carrera, la fortissima formazione italiana che lo aveva ingaggiato a partire da quell’anno.

Il 1987 però, sempre con la Carrera, iniziò bene: vinse il Giro della Comunità Valenciana con anche una tappa, una tappa alla Parigi-Nizza e conquistò il secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, chiudendola alle spalle di Moreno Argentin [e davanti a Claude Criquielion, nda]. Un risultato destinato a restare il suo migliore in una classica monumento. A maggio vinse per la terza volta la generale al Romandia insieme a due tappe [le due semitappe conclusive: a Vercorin e la crono Zinal-Chandolin, nda]. Arrivò quindi il momento del Giro d’Italia. Un Giro che tutti ricordano come quello del tradimento.


Successe tutto sabato 6 giugno, all’inizio dell’ultima settimana, il giorno per cui Torriani aveva inserito nei percorsi  le vere montagne dopo due settimane dedicate a cronomen e velocisti. La Carrera stava dominando la corsa. Aveva vinto tutte le crono: quella a squadre, il prologo e la Rimini-San Marino con Visentini, la cronodiscesa del Poggio di Sanremo con Roche e la Osimo-Bellaria col velocista Guido Bontempi, e tenuto sempre la maglia tranne due giorni in cui l’aveva indossata, a inizio corsa, Breuknik.

Il simbolo del primato era poi passato sulle spalle di Roche a Lido di Camaiore subito dopo la cronosquadre, e di Visentini il 4 di giugno dopo la vittoria a San Marino al termine di una cronometro di 46 chilometri in cui aveva staccato Roche di 2’47” portandosi al comando della classifica con un vantaggio di 2’42" sull’irlandese. Lo stesso che conservava quella mattina alla partenza della Lido di Jesolo-Sappada, 224 chilometri all’inizio piatti poi erti con le ascese alla Forcella di Monte Rest dopo 139 chilometri, alla Sella Valcalda dopo 194 e alla Cima Sappada a due chilometri dall’arrivo. Visto il vantaggio piuttosto ampio di Visentini su Roche, Davide Boifava – il direttore sportivo della Carrera – decide che il capitano è il campione uscente del Giro, Visentini, e che tutta la squadra dovrà lavorare per lui.

Sulla discesa della Forcella però Roche scatta, dirà poi per mettersi all’inseguimento di Jean-Claude Bagot della Fagor che conduce in solitaria, portandosi dietro Ennio Salvador della GiS Gelati. Alla Carrera non si capacitano della scelta, e Visentini mette tutti a tirare per inseguire il compagno. Roche e Bagot, dopo che Salvador era saltato raggiungono un vantaggio massimo di 1’15” prima di essere ripresi dal gruppo di Visentini dopo trenta chilometri di azione. Vista la guerra in casa della squadra che sta controllando la corsa tutti vogliono approfittarne e si susseguono gli scatti. Nernard, Vannucci, Chioccioli e Anderson se ne vanno prima dell’ascesa verso Valcava e di nuovo Roche scatta, portandosi dietro Pagnin e Habets.

Grazie a uno sforzo immane di Chiappucci e Ghirotto, Visentini rientra una seconda volta sul compagno. A quel punto però c’è un’azione di Johan van der Velde, che vincerà la tappa, seguito poi dai giovani Rominger e Giupponi. Visentini va in coda al gruppo a parlare con Boifava: è il prologo del crollo sulla salita di Sappada. Roche concluderà la tappa dodicesimo a 1’25” dal vincitore, Visentini cinquantanovesimo a 6’50”. La Carrera salva la maglia rosa, che torna a Roche, per soli 5” sull’emergente Tony Rominger, svizzero nato in Danimarca. Si scatena l’inferno.

“Io non ho attaccato. Ho seguito altri. Volevo controllare le mie condizioni dopo quello che ho patito nella cronometro di San Marino”, dichiara Stephen alla stampa.

“Parlerò domani. Ma tanto stasera c’è gente che va a casa”, minaccia Visentini.


Il meccanico e consigliere tecnico di Roche, Patrick Valcke pare abbia confidato, lo riporta il Corriere della Sera del 7 giugno, ad amici francesi: “Boifava mi ha mandato a fermare Roche a qualunque costo, anche buttandolo in un fosso, Ma io l’ho incoraggiato a continuare”.

Il patron della Carrera, Tito Tacchella, si precipita in loco per mediare.

Quell’anno il Corriere della Sera aveva assunto come opinionista per commentare il Giro un collaboratore d’eccezione, e approfittiamo della sua enorme esperienza per cercare di capire meglio cosa successe. Stiamo parlando di uno dei più grandi campioni espressi dal ciclismo italiano e mondiale, scomparso pochi mesi fa: Felice Gimondi.

“Stephen Roche ha sfruttato astutamente l’attacco di Bagot, non è stato lui ha promuovere l’attacco alla maglia rosa Visentini ma ha appoggiato l’allungo di altri. – scrive Felice – Non mi sento di criticarlo ma sicuramente non posso condividere la tattica della Carrera, che si è gettata all’inseguimento dei due con vero accanimento”.

E ancora:

“Indubbiamente il caso del giorno riguarda il crollo di Visentin, ,che non credo sia fisico. Penso piuttosto gli si sia rotto dentro qualcosa. Vedendolo arrancare sulla salita di Sappada, che non è poi tra le più difficili, ho pensato che si potesse fermare. Penso di essere in grado di capire fino in fondo il suo dramma. L’ho vissuto tanti anni fa nel Giro 1971, nella tappa di Potenza, quando Motta, mio compagno di squadra era in fuga e io dietro, nel gruppo, staccato. Si blocca qualcosa nel cervello e così si bloccano anche le gambe.”

E per finire, un appello agli appassionati:

“So che i tifosi di Visentini hanno provato una grossa delusione. Sarebbe antisportivo che se la prendessero con Roche. Un corridore che ha sfruttato una certa situazione e che quindi merita il rispetto di tutti. Il ciclismo è questo, sempre faticoso, spesso impietoso. Accettiamolo.”

Dunque Gimondi non ha dubbi nell’assolvere l’irlandese, confermandosi, anche con la penna, persona tutta di un pezzo, visto che in quel momento sul maggior quotidiano italiano sarebbe certo stato più facile e popolare schierarsi con Visentini. Il suo appello non sarà troppo ascoltato dai tifosi, che nelle giornate successive lanceranno di tutto a Roche, colpendolo anche con qualche pugno.


Tacchella intanto è arrivato sul posto e a Canazei, dopo i 211 chilometri della tappa successiva, convoca una conferenza stampa in cui si affanna a spiegare che è tutto ok, che i cocci sono ricomposti e che le somme, anche sul piano disciplinare, saranno tirate a fine corsa. Ovviamente la Carrera vuol vincerlo quel Giro che sta dominando, e le carte per farlo le ha in mano Roche. A Canazei aveva vinto ancora van der Velde, davanti a Breukink e allo stesso Roche, mentre Rominger perdeva terreno finendo a oltre un minuto, nella generale, da Roche che ora guidava con 33” su Breukink.

Visentini è settimo a 3’24” ma i suoi problemi non sono ancora finiti: si ritirerà alla fine della penultima tappa, da Como a Pila, cadendo e fratturandosi lo scafoide destro mentre si era nuovamente staccato dai migliori. Arriverà al traguardo ma il giorno dopo non partirà per i 38 chilometri dell’ultima crono a Saint-Vincent, che sarà vinta da Roche a sigillare la maglia rosa. Nel frattempo anche Rominger si è ritirato, e secondo e terzo sono due Panasonic, Millar a 3’40” e Breukink a 4’17”. Per la seconda volta nella storia del Giro, era successo solo nel 1972, nessun italiano sale sul podio finale.

Diciotto giorni dopo, il primo luglio, da Berlino Ovest scatta il massacrante Tour 1987, 4231 chilometri ripartiti su un prologo e venticinque tappe in ventiquattro giornate di corsa e due di riposo. È un Tour che cerca un padrone: Hinault si è ritirato e LeMond era convalescente dal terribile incidente di caccia in cui suo cognato gli aveva sparato per errore. Roche è alla partenza, sempre in maglia Carrera, visto che alla fine Tacchella e Boifava non potevano certo cacciare a metà stagione il vincitore del Giro, del Romandia e della Vuelta Valenciana. Nessuno però si aspetta più di qualche vittoria di tappa, vista l’intensa prima parte di annata che ha disputato.

La Carrera vince la cronosquadre di Berlino, 40 chilometri, seconda semitappa disputata lo stesso giorno della prima, il 2 luglio, Roche fa sua la decima frazione, la cronometro da Saumur a Futuroscope il 10 luglio, lunga ben 87,5 chilometri, davanti a Charlie Mottet di 42”. Il francese prende però il comando della generale dove Roche è sesto a 3’23”. Per l’inviato del Corriere, Gianfranco Josti, però Stephen diventa comunque il favorito del Tour:

“In una cronometro di ben 87,5 chilometri l’irlandese ha imposto la legge del più forte con la stessa sicurezza che gli aveva consentito, neppure un mese fa, di strapazzare tutti gli avversari al Giro d’Italia. Roche ha messo solide fondamenta per costruire la sua vittoria nel 74° Tour de France.”

Nelle tappe seguenti la maglia gialla cambia più volte proprietario, finendo per un giorno anche sulle spalle di Roche, dopo la tappa con arrivo a Villard-des-Lans, la diciannovesima, vinta da Pedro Delgado. Il giorno dopo sull’Alpe d’Huez vince un altro spagnolo, Echave, ma Delgado, settimo, stacca Roche di 1’44” e si prende il simbolo del primato con 25” di vantaggio sull’irlandese. Si arriva a Digione per l’ultima cronometro, 38 chilometri, con il corridore della PDM che conserva 21” su quello della Carrera. La crono di Digione però sorride a Roche, che non la vince, anzi paga 1’44” dal francese Bernard, ma stacca a sua volta Delgado di 1’01” e si riprende la maglia gialla con 40” di vantaggio. Sui Campi Elisi il giorno dopo vince a sorpresa lo statunitense Jeff Pierce e Stephen Roche diventa il quinto corridore a vincere Giro e Tour nello stesso anno. Prima di lui Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault. Dopo di lui, Indurain e Pantani.


Nel mese di agosto Roche corse solo alcuni circuiti, voleva cercare di mantenersi in forma per il Mondiale, dove la nazionale irlandese aveva considerevoli ambizioni di vittoria con Sean Kelly cui il percorso di Villach in Austria pareva adattarsi molto bene. Dunque lo Stephen Roche che si presentò al via della corsa la mattina di domenica 6 settembre aveva, come nell’ultima settimana del Giro, compiti di copertura del compagno più quotato.

E per Kelly lavorò, andando a prendere tutti coloro che si avventurarono in fuga per i quattro giri che precedettero quello finale, non solo, sulla salita che apriva il circuito, appena passato il penultimo passaggio sul traguardo, fu lesto a pilotare il compagno dentro il gruppo di 17 che guadagnò il vantaggio decisivo, un plotone che comprendeva i migliori, compreso il campione uscente l’azzurro Moreno Argentin.

A circa cinque chilometri dall’arrivo il gruppo si frazionò e davanti rimasero Teun Van Vliet, Rolf Goelz, Rolf Sorensen e Guido Winterberg. Di nuovo Roche si agganciò e restò lì a controllare la situazione. Il vantaggio dei cinque rimase sempre minimo, e a un chilometro dall’arrivò sì capì che il gruppetto in cui erano rimasti Kelly e Argentin sarebbe rientrato per un arrivo in volata ridotta.

Fu proprio in quel momento che Stephen scattò ancora. Non stabiliremo mai con certezza se l’intento fosse quello di permettere a Kelly di non tirare fino all’ultimo o ancora una volta quello di giocarsi le sue carte fuori dalle tattiche di squadra. Il gruppo rientrò sui compagni di fuga di Roche e uno scatenato e furente Argentin, pur regolando in volata gli inseguitori, non riuscì a difendere l’iride vinto dodici mesi prima a Colorado Springs, visto che l’irlandese, quello "sbagliato", quello che come al Giro doveva lavorare per il proprio capitano, conservò qualche metro di vantaggio sotto lo striscione di arrivo. Terzo chiuse lo spagnolo Juan Fernandez Martin. Se per l’accoppiata Giro-Tour nello stesso anno abbiamo citato sei campioni, per il tris col Mondiale bisogna scomodarne solo uno: Eddy Merckx, che ci era riuscito nel 1974. Quasi superfluo dire che, a oggi, nessun altro ce l’ha fatta.

Lasciamo di nuovo la parola a Felice Gimondi, che sempre per il Corriere della Sera firma un bell’editoriale sul Mondiale: “È incredibile. Nella mia lunga attività di corridore prima, di osservatore poi, confesso che è la prima volta che vedo vincere il Mondiale a un corridore che, per tutta la giornata, ha lavorato per favorire un compagno. È doveroso rendere omaggio a Stephen più per quello che ha fatto durante il Giro e il Tour che per la conquista della maglia iridata. Usare la parola fortuna mi pare eccessivo, anche perché non sono abituato a tirarla in ballo. Però è fuori dubbio che Roche si è trovato il successo su un piatto d’argento, dopo che ha cercato in tutti i modi di favorire il suo connazionale Sean Kelly.”


Dunque per Gimondi buona fede totale di Roche: semplicemente si è trovato al posto giusto nel momento giusto. Felice poi prosegue affermando che la vittoria l’avrebbe meritata molto di più Moreno Agentin: “Chi sa di ciclismo può comprendere perfettamente la portata della prestazione di Argentin, che giudico il migliore della gara iridata. Esce dal Mondiale a testa alta e questo mi pare il migliore elogio che gli si possa fare. Cappello a Roche quindi. Ma tre volte cappello a Moreno Argentin.”

A fine stagione nonostante i trionfi che aveva regalato alla squadra Roche non ricompose lo strappo del Giro con la Carrera e decise di passare alla Fagor-MBK. Certo ripetersi non sarebbe stato possibile, ma nel 1988 Roche non fu proprio un fattore: tornò ad avere problemi al ginocchio che si era infortunato alla Sei Giorni di Parigi a fine ’85, non poté prendere parte né al Giro né al Tour e chiuse l’anno senza neanche una vittoria. Rimase in gruppo fino al 1993, tornando a vincere anche qualche corsa, come la classifica generale al Giro dei Paesi Baschi nel 1989, quella della Quattro Giorni di Dunkerque nel 1990 e il Criterium Internazionale e la Settimana Catalana nel ’91. Il successo nella sedicesima tappa del Tour 1992 la Saint-Étienne - La Bouboule fu il suo canto del cigno: nel 1993 corse ancora Giro e Tour onorandoli, fu rispettivamente nono e tredicesimo, e a fine stagione decise di smettere. Fu poi gestore di alberghi, organizzatore di campi di allenamento e vacanza per cicloamatori, commentatore televisivo per Eurosport e una volta tornò al Tour nella veste di testimonial di un’azienda di formaggi francesi…

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