FINALI MONDIALI - Yokohama 2002: Brasile-Germania 2-0 - Kahn bastonato
«Ah, il 2002: Yokohama Stadium, avevo il mondo tra le mani.
L'ho vinta da capitano.
Mentre l'alzavo al cielo avevo in testa tutta la nazione, la mia terra:
la gente di Jardim Irene, il municipio di San Paolo dove sono cresciuto»
- Cafu
di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©
Corsi e ricorsi della storia. Cile 62: come dimenticare le polemiche sollevate dall’arbitraggio dell’inglese aston nel match (in ogni senso) fra i padroni di casa e l’Italia, o le papere commesse in finale dal miglior portiere del torneo, il cecoslovacco Schrojf?
Quarant’anni dopo, mezza italia (quella incompetente, o in malafede) insorge contro l’arbitro Byron Moreno, reo di aver favorito la squadra del Paese co-organizzatore, la Corea del Sud, e il miglior portiere della competizione a sbagliare la finale è oliver Kahn, simbolo della Germania meno favorita mai vista a un Mondiale.
Incredibile ma vero, almeno quanto il fatto che in 17 edizioni della Coppa del Mondo non si sia mai assistito a un Brasile-Germania. Il primo, manco a dirlo, vale il titolo.
La Seleção in campo all’International Stadium di Yokohama è quella corretta in corsa da Scolari nella formazione-tipo. In tempi di rotation (please, non usate "turnover": quelle, nel basket, sono le palle perse, nda) esasperata e obbligata, una notizia.
Per laurearsi pentacampeão, il Brasile preferisce al fumoso Juninho Paulista l’arrosto Kléberson che, entrato in squadra contro l’Inghilterra nei quarti, vede coronato il sogno di ogni lavoratore precario: il posto fisso.
Dall’altra parte, sulle spalle del Ct Völler pesa come un macigno l’assenza dello squalificato Ballack, l’unica stellina espressa dal calcio tedesco dai tempi di Matthäus, se il buon Lothar non s’offende. Per sostituirlo Rudi mette in squadra Jeremies e allenta le redini a Schneider, un settepolmoni che non sarà un campione ma è uno che fa legna.
Nei giorni che precedono l’evento il tecnico tedesco si esprime più o meno così: «Uomo contro uomo non dovremmo nemmeno giocare ma il calcio è uno sport di squadra». La sensazione generale è che quella arbitrata da Pierluigi Collina, con Sergio Gonella (a Baires 78) l’unico italiano a dirigere una finale mondiale, sarà una partita di calcio, magari anche gradevole. Dopo tutto il veleno sparso sulla manifestazione, non sarebbe poco.
Quarant’anni dopo, mezza italia (quella incompetente, o in malafede) insorge contro l’arbitro Byron Moreno, reo di aver favorito la squadra del Paese co-organizzatore, la Corea del Sud, e il miglior portiere della competizione a sbagliare la finale è oliver Kahn, simbolo della Germania meno favorita mai vista a un Mondiale.
Incredibile ma vero, almeno quanto il fatto che in 17 edizioni della Coppa del Mondo non si sia mai assistito a un Brasile-Germania. Il primo, manco a dirlo, vale il titolo.
La Seleção in campo all’International Stadium di Yokohama è quella corretta in corsa da Scolari nella formazione-tipo. In tempi di rotation (please, non usate "turnover": quelle, nel basket, sono le palle perse, nda) esasperata e obbligata, una notizia.
Per laurearsi pentacampeão, il Brasile preferisce al fumoso Juninho Paulista l’arrosto Kléberson che, entrato in squadra contro l’Inghilterra nei quarti, vede coronato il sogno di ogni lavoratore precario: il posto fisso.
Dall’altra parte, sulle spalle del Ct Völler pesa come un macigno l’assenza dello squalificato Ballack, l’unica stellina espressa dal calcio tedesco dai tempi di Matthäus, se il buon Lothar non s’offende. Per sostituirlo Rudi mette in squadra Jeremies e allenta le redini a Schneider, un settepolmoni che non sarà un campione ma è uno che fa legna.
Nei giorni che precedono l’evento il tecnico tedesco si esprime più o meno così: «Uomo contro uomo non dovremmo nemmeno giocare ma il calcio è uno sport di squadra». La sensazione generale è che quella arbitrata da Pierluigi Collina, con Sergio Gonella (a Baires 78) l’unico italiano a dirigere una finale mondiale, sarà una partita di calcio, magari anche gradevole. Dopo tutto il veleno sparso sulla manifestazione, non sarebbe poco.
LA PARTITA
Il primo a spingersi in avanti è il Brasile, dopo appena 49”, con un affondo di Ronaldo chiuso in angolo sulla sinistra. al 3’ Kahn esce bene in presa alta su un cross di Kléberson dalla destra.
Due minuti più tardi numeri su numeri di RIvaldo: belli da vedere ma di pericoli non se ne parla. al 5’ c’è la prima ammonizione dell’incontro. Collina la commina al brasiliano Roque Júnior entrato fuori tempo su Neuville. Non c’è cattiveria ma il giallo ci sta tutto.
Quando è in possesso di palla la Germania tiene basso il ritmo, quando deve recuperarla aggredisce di brutto così riesce sempre a imbrigliare avversari infinitamente meglio dotati sul piano tecnico. In più, sorpresa delle sorprese, non lascia loro l’iniziativa. Anzi.
Al 9’ Collina mostra di usare un peso e una misura e concede il giusto bis. Stavolta tocca al tedesco Klose, ammonito perché in elevazione sferra una gomitata in piena faccia a Edmílson, un gesto vigliacchetto assai che poteva risparmiarsi.
Sessanta secondi ancora c’è un bel contropiede manovrato dei bianchi, concluso da un cross teso di Schneider sul quale proprio Edmílson anticipa tutti.
Al 15’ è lo stesso vice-Ballack a mettere un pallone nel mezzo, ma Klose viene chiuso in corner. Un minuto dopo, l’incontenibile Schneider viene messo giù da un brutto fallo di Roberto Carlos. Il Brasile è in affanno.
Tra il 17’ e il 19’ Ronaldinho tocca i suoi primi due palloni. Il primo lo butta via, il secondo no. Il talentino del Paris Saint-Germain serve in verticale Ronaldo che da destra fa seguire a un capolavoro – il tocco di esterno sinistro ad anticipare l’uscita di Kahn – un errore di mira per lui inconsueto: la palla sfila di un niente a lato del palo destro. occasione d’oro per il Fenomeno, ma il lampo è tutto del giovane e pari dentato collega.
22’: Edmílson si vendica su Klose meritandosi forse un’ammonizione che invece non arriva. A un giro di lancetta dalla mezz’ora la Germania tesse una bella trama ma Bode sbaglia il dribbling a rientrare. Sul ribaltamento di fronte, finalmente si rivede Ronaldo. Prima viene toccato duro alla tibia destra dal mastino Linke, poi solo soletto davanti alla porta calcia sporco. Come non detto.
Kahn comunque ha il suo bel daffare e di lì a poco deve uscire su Ronaldinho che, dopo aver sciorinato un gran controllo di petto, sbaglia il lob. Rivaldo, fin lì non pervenuto, regala altri numeri da foca ma poi serve un pallone nel vuoto assoluto. in campo il brasiliano si scorge solo per le scarpe, bianchissime.
Da registrare, nel finale di tempo, un episodio poco edificante: Ronaldinho si dimostra più esperto di quanto farebbe pensare la sua giovane età (22 anni) ma talvolta esagera. Su un presunto fallo di Schneider stramazza al suolo come colto da un fulmine. Collina non abbocca, e per non ammonirlo (per simulazione) sfoggia il sorriso delle grandi occasioni. Il guardalinee Lindberg, invece, poteva forse riferire meglio la sceneggiata.
Al 38’ è ancora il centrocampista del Bayer Leverkusen a rendersi protagonista. Stavolta in negativo. Innervositosi per il comportamento antisportivo del numero undici verdeoro, va a farsi giustizia da solo prendendosela però con l’uomo sbagliato: dopo un normale scontro di gioco Schneider cammina sul petto di Rivaldo. Collina è a due passi ma il fattaccio, visto a velocità normale, sembra del tutto fortuito, dalle immagini rallentate lo è un po’ meno.
La Germania tiene palla, il Brasile si chiude in difesa e stuzzica in contropiede: forse stiamo sognando. il prodigioso recupero difensivo di Neuville (una punta!) su Ronaldinho, chiuso in alleggerimento su Kahn, ci riporta alla realtà del calcio moderno.
41’: Jeremies dal centro-sinistra fa partire un gran destro che finisce oltre la traversa della porta difesa da Marcos. La conclusione è precipitosa, perché il mediano avrebbe tutto il tempo di prendere la mira.
Non altrettanto si può dire, un minuto dopo, per Kléberson, che s’infila in un varco centrale, supera Metzelder e spara un diagonale mancino che si spegne a lato alla sinistra di Kahn. È il primo vero errore della Germania, che fa tutto bene fino ai sedici metri avversari ma poi si perde.
Il Brasile, sornione e deludente, aspetta e spera. In quei tre là davanti. Ultime battute di primo tempo. nella retroguardia auriverde Ronaldinho ripropone, stavolta da protagonista, lo stesso spettacolo offertogli poco prima da Neuville. Il terzo violino verdeoro insegue il medianaccio Hamann.
Al 44’ il nostro pessimismo cosmico sul futuro del football subisce un altolà clamoroso almeno quanto la traversa sulla quale si infrange un gran destro di Kléberson dalla distanza. Nell’occasione la battuta d’interno, a giro, del centrocampista, servito da un tocco laterale dal solito Ronaldinho, strozza in gola l’urlo del gol.
Il Brasile prende vigore e chiude all’attacco la prima frazione. Da segnalare una bella giocata di Lucio che controlla bene, accelera e se ne va prima di essere fermato in angolo; e una rasoiata di Roberto Carlos rimpallata tra Ronaldo e Metzelder sulla quale Kahn si salva d’istinto.
Il calcio è strano (semicit.): Völler azzecca ogni mossa, la Germania mantiene il pallino del gioco eppure il Brasile potrebbe già condurre 3-0. Invece, siamo ancora sullo 0-0 ma chissà perché tutti sono convinti che non durerà.
La ripresa incomincia come il primo tempo, con gli stessi ventidue in campo e la Germania all’offensiva. Fino a quel momento i migliori sono Schneider da una parte e Kléberson dall’altra e proprio quest’ultimo sembra giocare più avanzato nel primo scorcio della ripresa.
Al 46’ c’è subito un brivido che corre lungo la schiena della torcida. Su corner da sinistra, il colpo di testa di Jeremies fa gridare al gol ma la palla incoccia un piede di Edmílson a portiere battuto. Poi la difesa brasiliana libera.
Tre minuti dopo ecco il bis, ma stavolta il pericolo per la porta verdeoro è concreto. Come il legno. Punizione di Neuville da più di trenta metri. La botta a uscire è fortissima e solo un grande intervento a mano aperta di Marcos, tuffatosi a sinistra a mezza altezza e aiutato dal palo, devia un pallone che tutti danno già in fondo al sacco.
Per chi conosce la storia del calcio l’ennesimo chiaro segnale che per la Germania tira una brutta aria: se non va dentro quando non sbagli nulla, al primo errore vieni castigato. Nell’attesa, la faccia corruccia di Scolari parla da sola.
52’, Rivaldo salta di testa su un corner nato da una chiusura di Linke su Ronaldo largo a sinistra. Kahn compie un grandissimo intervento ma non trattiene il pallone, arriva come un falco Gilberto Silva, il portierone si rialza e come un gatto lo anticipa mettendoci le manone che impediscono al brasiliano il tocco risolutivo: il pallone schizza sul fondo. nell’occasione il capitano tedesco rimedia un colpo alla mano infortunata, la destra, ma si riprende sotto lo sguardo attento di Collina.
A parte qualche sporadica schermaglia di poco conto (Ronie in dribbling su un fronte, esterno sinistro di Klose dopo azione personale sull’altro) la partita vivacchia mentre nei dintorni delle panchine cominciano le grandi manovre. Völler fa scaldare cinque uomini, tre dei quali sono attaccanti: Bierhoff, Jancker (ebbene sì) e Asamoah. Le sue intenzioni sembrano chiare.
Dall’altra parte, almeno per il momento, Scolari fa finta di niente. 57’, Hamann in posizione centrale dà fuoco alle polveri ciabattando dalla distanza. La palla, complice la chiusura di Lucio, va altissima oltre la traversa.
Un minuto dopo altro numero da circo di Rivaldo, che al limite dell’area alza con l’esterno sinistro il pallone a scavalcare lo stesso Hamann. il gesto tecnico è sublime, inevitabile invece la conseguente legnata rifilatagli dal mediano. La punizione che Ronaldo vuole a tutti i costi tirare lui si infrange sulla barriera e forse era il caso di lasciarla al futuro milanista.
Al quarto d’ora c’è la prima azione «da Brasile» della ripresa. Splendida triangolazione volante Cafú-ronaldinho-Cafu, il romanista va sul fondo e crossa basso. La palla sibila a lato tagliando l’area senza che nessuno riesca ad intercettarla.
Curioso invece quanto accade al 61’: Edmílson ci mette un minuto abbondante per cambiarsi la maglia che, pur modernissima per tessuto e design, diventa un enigma irrisolvibile quando si tratta di capire come vada indossata. Collina, divertito, gigioneggia e porta pazienza.
Al 64’ la Germania potrebbe andare in vantaggio. Palla dentro di Schneider per Neuville, che taglia bene anticipando Edmílson, si gira ma manca l’aggancio.
Pochi istanti dopo c’è una brutta entrata a gambe unite di Cafu che va a sbattere su Jeremies anche lui in scivolata. L’impatto è duro e ad avere la peggio è il tedesco che deve ricorrere alle cure dei sanitari. Si scalda Kehl ma poi il centrocampista, una delle colonne del Bayern, si riprende.
67’, ci siamo: Ronaldo ruba palla a Hamann sulla trequarti e chiede triangolo a Rivaldo. Il numero dieci, anziché restituirgli il pallone, anticipa Linke sparando dalla distanza una bordata delle sue. Kahn è sulla traiettoria e para ma si lascia scappare il pallone proprio sui piedi di Ronaldo che non può fallire: piatto destro e gol. 1-0. Di fatto, il Brasile è già campione del mondo.
Il Ct tedesco tenta il tutto per tutto giocando al 73’ la carta Bierhoff al posto dell’opaco Klose e al 77’ asamoah per l’acciaccato Jeremies. Neanche il tempo di vedere in azione i due nuovi entrati, e la partita è già chiusa. Finalmente, da una grandissima azione.
79’, affondo di Kléberson sulla destra: sul suo traversone, intelligentissimo velo di Rivaldo e palla a Ronie, che ha tutto il tempo di mirare e di metterla, d’interno destro a girare, là dove il portiere non può arrivare, cioè nell’angolino basso, alla sinistra di Kahn. Davvero un bel gol, per costruzione e finalizzazione. Adesso sì che è finita.
Ma la Germania ha un paio di colpi di coda. Il primo al 43’ con una girata di Bierhoff a centro area su imbeccata di Frings, sventata da una prodezza di Marcos. Il secondo due minuti dopo con Metzelder che ad un metro dalla porta manca la zampata che riaprirebbe la partita.
I due tecnici muovono sullo scacchiere le rispettive pedine. Völler inserisce Ziege al posto di Bode per buttare nel mezzo qualche pallone in più. Scolari toglie lo stanco ronaldinho, rilevato da Juninho Paulista, e mette in campo Denílson cogliendo così due piccioni con una fava: concedere a Ronaldo la standing ovation e congelare il pallone fra i piedi del giocoliere in forza al Betis Siviglia.
Dopo 3’ di recupero Collina, in assoluto il migliore in campo, decide che può bastare. del resto è inutile infierire: la Germania è stata una degnissima finalista, ha saputo andare al di là delle sue forze e questo merita sempre rispetto. Ma il titolo è un’altra cosa, e lo vince - giustamente - il Brasile.
Dopo il triplice fischio le consuete scene di giubilo, condite stavolta da un ritorno a una religiosità che sembrava perduta dopo la (nuova) ondata New Age di fine Secondo millennio.
Il portiere Marcos prega, in piedi e poi in ginocchio sulla linea si porta, tenendo sulle spalle la bandiera brasiliana e rivolgendo al cielo il dito indice di entrambe le mani.
In mezzo al campo pregano in tre: Lucio, il giovane Kaká che mostra una T-shirt con scritto «I belong to Jesus», in inglese «appartengo a Gesù», ed Edmílson, che invece sfoggia una maglietta che reca la scritta «Jesus loves you», dove al posto del verbo meno applicato al mondo appare un cuore rosso grosso così.
Tutto innocuo ma la FIFA non gradirà: da adesso in poi ogni professione di religiosità verrà osteggiata se non proprio impedita.
Ma il vero miracolo, se nessuno si offende, lo ha compiuto il tanto bistrattato Felipão, Filippone nella lingua dei suoi antenati italiani.
Ai mondiali – appuntamento al quale solo il Brasile è sempre stato presente – i verdeoro ci sono arrivati soffrendo come non mai e agguantando per il rotto della cuffia il quarto posto nel girone sudamericano.
E ora Cafú solleva al cielo la coppa facendosi beffe del rigido protocollo FIFA e (davanti) alla faccia (fintamente compiaciuta) di Sepp Blatter che sorride vedendolo in piedi sul sostegno su cui era appoggiato il trofeo.
Per il capitano, alla terza finale consecutiva – un record –, è il secondo trionfo. Il suo volto radioso è un inno alla gioia, ma suonato in piazza con le maracas anziché da una filarmonica nelle austere stanze di un auditorium.
Kahn invece è distrutto. Ha disputato un mondiale straordinario, ha subìto appena tre gol in sette gare (uno con l’Irlanda nella prima fase e due in finale) e adesso se ne sta lì seduto, appoggiato con la schiena al palo, ad aspettare l’inevitabile crocifissione. non gli perdoneranno d’aver commesso un solo errore. Quello della vita.
LA TATTICA
Più europeo di così non si può. Scolari è riuscito là dove aveva fallito il povero Ct Sebastião Lazaroni a Italia ’90, e senza ricorrere – orrore – al libero. "Zio" Felipão ha vinto, evviva Felipão.
Tutti esaltano le doti tecniche dei suoi artisti del pallone, e lui che ti combina?, sta attento agli equilibri con due mediani tosti come Klebérson e Gilberto Silva, difende a tre (Lucio centrale, Roque Júnior ed Edmílson quasi a uomo su Neuville e Klose) e affonda sui binari esterni con due treni ad alta velocità come Cafu e Roberto Carlos; là davanti, invece, lascia carta bianca (ettecredo) alla R3, la formula offensiva che il mondo gli invidia: Ronaldo prima punta, Rivaldo e Ronaldinho a sostegno. Non male.
Sui giornali si ricamerà parecchio sul lieto fine della favola di Ronie, che tocca il cielo con… la Coppa dopo ripetute discese agli inferi delle sale operatorie parigine e i tormenti della rieducazione completata tra Appiano Gentile e Copacabana, che non è la stessa cosa, nel bene e nel male.
In realtà il Fenomeno è ancora lontano parente del giocatore che in Europa avevamo ammirato al PSV e al Barcellona più che all’Inter. Basta e avanza però a far vincere al Brasile quel titolo che, in mondiali come questi, solo il Brasile può perdere.
Ronaldo ha segnato 8 reti (be’, facciamo 7 e 1/2) in 7 partite, molte altre se l’è mangiate o meglio il Ronaldo dei tempi d’oro le avrebbe trasformate in gol ad occhi chiusi. Ronie però è tornato, ha vinto e quindi ha ragione lui.
Sul suo post-Mondiale, con l’aut-aut «o Hector Cúper o io» con annesso il fango spalmato su tutto e su tutti, meglio soprassedere.
La Germania, ora. Völler compie un piccolo capolavoro. Raccoglie una squadra a pezzi, reduce da un europeo disastroso e da un 1-5 con l’Inghilterra che avrebbe accoppato un bue. Il buon Rudi invece non s’è perso d’animo e, una volta toccato il fondo, si è rimboccato le maniche per risalire.
Ha cementato il gruppo, la sorte gli ha voltato le spalle privandolo del talentuoso ancorché non giovanissimo talento di Scholl, e allora lui ha dato le chiavi della squadra a Kahn e a Ballack.
Il primo, un leader vero, è il capobranco, il secondo è il miglior giocatore, crea e finalizza. Gli astri, se vogliamo, si sono un po’ pentiti risarcendolo con il momento d’oro di Klose – non un campione – mentre il Ct ci ha messo del suo puntando sul piccolo grande uomo Neuville, cuore e sguardi italiani e testa tedesca: una scommessa non facile ma vinta.
Sul piano tattico Völler non inventa nulla. Si limita a rielaborare quanto appreso dai tecnici avuti da giocatore, non poco a giudicare dai risultati ottenuti. Il suo 3-5-2 è elastico e duttile. La linea difensiva (Ramelow, Link, Metzelder) è colata nel più puro ferro germanico ma certo non può far nascere la manovra.
A centrocampo sorprende la mobilità di Schneider, che rimbalza da una fascia all’altra riuscendo a essere una spina nel fianco della retroguardia brasiliana. Perlmeno nel primo tempo, quando ancora c’è partita (e birra).
Il resto del reparto, a parte Jeremies, è una batteria di onesti faticatori senza fantasia né tecnica. Di queste carenze risente l’attacco che, spentosi Klose, sta in piedi grazie a Neuville, tutto tranne che un goleador.
Ciò nonostante, con un po’ di buon senso e facendo di necessità virtù la Germania, ben disposta in campo, aggredisce il Brasile impedendogli di ragionare.
Nel primo tempo sono i tedeschi a menare le danze ma più vicini al gol ci vanno i verdeoro.
Nel secondo, soprattutto dopo la decisiva incertezza di Kahn, il finale della fiaba è già scritto.
Per la Germania però è stato bello sognare così come per i loro tifosi, che scendono in piazza a festeggiare il secondo posto come fosse il primo. Anche così si cresce per ritornare grandi. Magari in casa. Il 2006, trentadue anni dopo il trionfo di Monaco ’74, non è poi così lontano.
Tutti esaltano le doti tecniche dei suoi artisti del pallone, e lui che ti combina?, sta attento agli equilibri con due mediani tosti come Klebérson e Gilberto Silva, difende a tre (Lucio centrale, Roque Júnior ed Edmílson quasi a uomo su Neuville e Klose) e affonda sui binari esterni con due treni ad alta velocità come Cafu e Roberto Carlos; là davanti, invece, lascia carta bianca (ettecredo) alla R3, la formula offensiva che il mondo gli invidia: Ronaldo prima punta, Rivaldo e Ronaldinho a sostegno. Non male.
Sui giornali si ricamerà parecchio sul lieto fine della favola di Ronie, che tocca il cielo con… la Coppa dopo ripetute discese agli inferi delle sale operatorie parigine e i tormenti della rieducazione completata tra Appiano Gentile e Copacabana, che non è la stessa cosa, nel bene e nel male.
In realtà il Fenomeno è ancora lontano parente del giocatore che in Europa avevamo ammirato al PSV e al Barcellona più che all’Inter. Basta e avanza però a far vincere al Brasile quel titolo che, in mondiali come questi, solo il Brasile può perdere.
Ronaldo ha segnato 8 reti (be’, facciamo 7 e 1/2) in 7 partite, molte altre se l’è mangiate o meglio il Ronaldo dei tempi d’oro le avrebbe trasformate in gol ad occhi chiusi. Ronie però è tornato, ha vinto e quindi ha ragione lui.
Sul suo post-Mondiale, con l’aut-aut «o Hector Cúper o io» con annesso il fango spalmato su tutto e su tutti, meglio soprassedere.
La Germania, ora. Völler compie un piccolo capolavoro. Raccoglie una squadra a pezzi, reduce da un europeo disastroso e da un 1-5 con l’Inghilterra che avrebbe accoppato un bue. Il buon Rudi invece non s’è perso d’animo e, una volta toccato il fondo, si è rimboccato le maniche per risalire.
Ha cementato il gruppo, la sorte gli ha voltato le spalle privandolo del talentuoso ancorché non giovanissimo talento di Scholl, e allora lui ha dato le chiavi della squadra a Kahn e a Ballack.
Il primo, un leader vero, è il capobranco, il secondo è il miglior giocatore, crea e finalizza. Gli astri, se vogliamo, si sono un po’ pentiti risarcendolo con il momento d’oro di Klose – non un campione – mentre il Ct ci ha messo del suo puntando sul piccolo grande uomo Neuville, cuore e sguardi italiani e testa tedesca: una scommessa non facile ma vinta.
Sul piano tattico Völler non inventa nulla. Si limita a rielaborare quanto appreso dai tecnici avuti da giocatore, non poco a giudicare dai risultati ottenuti. Il suo 3-5-2 è elastico e duttile. La linea difensiva (Ramelow, Link, Metzelder) è colata nel più puro ferro germanico ma certo non può far nascere la manovra.
A centrocampo sorprende la mobilità di Schneider, che rimbalza da una fascia all’altra riuscendo a essere una spina nel fianco della retroguardia brasiliana. Perlmeno nel primo tempo, quando ancora c’è partita (e birra).
Il resto del reparto, a parte Jeremies, è una batteria di onesti faticatori senza fantasia né tecnica. Di queste carenze risente l’attacco che, spentosi Klose, sta in piedi grazie a Neuville, tutto tranne che un goleador.
Ciò nonostante, con un po’ di buon senso e facendo di necessità virtù la Germania, ben disposta in campo, aggredisce il Brasile impedendogli di ragionare.
Nel primo tempo sono i tedeschi a menare le danze ma più vicini al gol ci vanno i verdeoro.
Nel secondo, soprattutto dopo la decisiva incertezza di Kahn, il finale della fiaba è già scritto.
Per la Germania però è stato bello sognare così come per i loro tifosi, che scendono in piazza a festeggiare il secondo posto come fosse il primo. Anche così si cresce per ritornare grandi. Magari in casa. Il 2006, trentadue anni dopo il trionfo di Monaco ’74, non è poi così lontano.
CHRISTIAN GIORDANO ©
IL TABELLINO
Yokohama, 30 giugno 2002, International Stadium, ore 21
Brasile-Germania 2-0 (0-0)
Brasile (3-4-2-1): Marcos; Edmílson, Lucio, Roque Júnior; Cafú, Kléberson, Gilberto Silva, Roberto Carlos; Ronaldinho (84’ Juninho Paulista), Ronaldo (84’ Denílson), Rivaldo. A disposizione: 12 Dida, 22 Rogério Ceni, 7 Ricardinho, 13 Belletti, 14 Anderson Polga, 16 Júnior, 18 Vampeta, 20 Edílson, 21 Luizão, 23 Kaká. Ct: Scolari.
Germania (3-5-2): Kahn; Ramelow, Link, Metzelder; Frings, Schneider, Hamann, Jeremies (77’ Asamoah), Bode (83’ Ziege); Neuville, Klose (73’ Bierhoff). A disposizione: 3 Rehemer, 4 Baumann, 9 Jancker, 10 Ricken, 12 Lehmann, 15 Kehl, 18 Böhme, 23 Butt. Ct: Völler.
Arbitro: Pierluigi Collina (Italia). Guardalinee: Leif Lindberg (Svezia), Philip Sharp (Inghilterra); quarto ufficiale: Hugh Dallas (Scozia).
Marcatori: 67’ e 79’ Ronaldo.
Ammoniti: per gioco falloso Roque Júnior (B) e Klose (G).
Spettatori: 69.029 paganti.
Note: angoli, 12-3 per la Germania. Recupero: 1’ pt, 3’ st. Cielo nuvoloso.
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