HOOPS MEMORIES - Dica 63: God In Disguise


«Credo sia Dio travestito da Michael Jordan. 
È il più grande giocatore della NBA. 
Oggi, al Boston Garden, in diretta tv nazionale, nei playoff, 
ha messo in scena uno dei più grandi spettacoli di tutti i tempi. 
Non credevo che qualcuno potesse fare una cosa del genere contro i Boston Celtics.»
– Larry Bird

«Quando gioco come quel giorno a Boston, non ce n’è per nessuno. 
Una volta iniziata bene la partita, 
mi sono sentito come se niente avesse potuto fermarmi. 
Avrei potuto correre per giorni, e se fosse stato per me,
 forse staremmo ancora giocando…» 
– Michael Jordan

di CHRISTIAN GIORDANO
Michael "Air" Jordan
Rainbow Sports Books

Quei Bulls non potevano competere con quei Boston Celtics, destinati - per la sedicesima volta - al titolo NBA, e infatti uscirono in tre partite al primo turno. 

Ma prima di abbandonare i playoff che con tanti sforzi aveva inseguito, Jordan - guarito dall'infortunio al piede che gli aveva fatto saltare quasi l'intera stagione, lasciò un paio di biglietti da visita dei suoi. 

In Gara 1, il 17 aprile 1986, losing effort da 49 punti nella sconfitta per 123-104; 
in Gara 2, quel pomeriggio del 20 aprile, un Michael ispirato come non mai segnò i celeberrimi 63 punti nella partita indimenticabile persa, dopo due tempi supplementari, per 135-131. Jordan era tornato. 

Davanti ad un’audience televisiva nazionale e sul "sacro" parquet incrociato del Boston Garden originale, non solo aveva stabilito il record per punti in una gara di playoff NBA – record che dura ancora oggi – segnando 63 punti, cancellando così il precedente massimo di 61 detenuto dal grandissimo Elgin Baylor, ma aveva compiuto una prestazione-monstre difficilmente quantificabile con le fredde cifre, seppure molto significative. 

Nei 53 minuti giocati Jordan fece 22/41 dal campo, 19/21 dalla linea, con 5 rimbalzi, 6 assist, 3 recuperi e 2 stoppate. E tutto questo contro i futuri campioni del mondo, quei Boston Celtics edizione 1985-86 che vantano serissime credenziali per ambire al platonico titolo di più forte squadra di sempre. Dopo quanto visto quella sera al Garden, nessuno riusciva più a credere ai propri occhi. 

L’allora allenatore dei Celtics K.C. Jones ricorda un dettaglio significativo di quella serata incredibile: «Normalmente i miei giocatori in panchina stanno chinati in avanti e cercano di incrociare il mio sguardo per farmi capire che sono pronti ad entrare in campo. Ma in questa partita, dopo aver cambiato senza risultato cinque difensori su di lui, stavano tutti seduti piegati all’indietro guardando in tutt’altra direzione». Come dar loro torto? 

«Michael stava facendo così tanto e così bene, che mi sono scoperto a volermi fermare per starlo a guardare, e io stavo giocando!», dichiarò ovviamente estasiata la guardia dei Bulls John Paxson. E la star dei Celtics Larry Bird semplicemente scosse la testa sbalordito. «Io credo che sia Dio travestito da Michael Jordan.» avrebbe commentato Bird. «È il più straordinario giocatore della NBA. Oggi, al Boston Garden, in diretta tv nazionale, nei playoff, ha messo in scena uno dei più grandi spettacoli di tutti i tempi. Non credevo che qualcuno potesse fare una cosa del genere contro i Boston Celtics».

Un’uscita del genere, e per di più fatta da quello che, assieme a Magic Johnson, era il miglior giocatore di tutta la NBA e già uno dei grandissimi di tutti i tempi, non poteva lasciare indifferente Michael, che vedeva in quei due una specie di Olimpo cestistico da raggiungere. 


«Ricordo di aver letto ciò che Larry disse della partita» disse MJ ritornando col pensiero a quella sua incredibile prestazione. «Davvero non riuscivo a credere che avesse detto una cosa del genere. Quella frase proveniva da uno che era nella Lega da sette anni ed apparteneva ad una categoria nella quale io stavo cercando di entrare. A quel punto ho creduto di non aver mai giocato una gara migliore di quella, ma sapevo di avere ancora tanta strada da fare. I commenti di Larry Bird mi diedero credibilità. Fino a quel momento venivo visto ancora come una matricola vanitosa, non come un giocatore “vero”. Quando Bird ebbe quelle parole di riconoscimento per la mia prestazione, diventai un giocatore con la “g” maiuscola. Io non ero ancora arrivato al suo livello, ma adesso ero un giocatore che era stato etichettato come una stella, un potenziale Hall of Famer a seconda di come avrei preso quei commenti. All’epoca, non compresi appieno ciò che le sue dichiarazioni avrebbero significato per me. In altre parole, i suoi elogi non avrebbero cambiato il modo in cui io mi sarei comportato come giocatore. Io non mi vedevo alla stessa maniera in cui mi vedeva Larry. Se lo avessi fatto, forse non avrei ottenuto tutto quello che ho ottenuto in seguito. Presi quelle parole come un complimento e nient’altro. Lui mi aveva dato la conferma che ero sulla strada giusta, ma niente di quello che lui o chiunque altro potessero dire avrebbe modificato la mia strada. 
Fuori del campo, Larry mi metteva soggezione per via di tutto ciò che rappresentava, tutto quello che aveva raggiunto, e il fatto che lui fosse semplicemente “Larry Legend”. Mi sentivo allo stesso modo al cospetto di tutte le star di quel periodo: Magic Johnson, Julius Erving, tutti loro. Non avevo paura di loro in campo perché credevo di avere le doti per competere con tutti. Ma la loro “presenza” fuori del campo mi intimidiva. Ripensandoci oggi, mi rendo conto di quanto avessi da imparare per arrivare al loro livello. Sono contento di non aver saputo allora quanto avessi da imparare. 
Se non fossi cresciuto col mio passo, non sarei stato in grado di definire i minuscoli dettagli che hanno caratterizzato la mia carriera. Ricordo ogni più piccolo passo, ogni minimo dettaglio. Ora, quando mi volgo indietro, vedo un solo grande quadro. Certi di questi ragazzi di oggi hanno solo un gran miscuglio di tinte senza alcun dettaglio. Le loro carriere sono solo una massa di colore senza nessuna nitidezza perché non hanno speso tempo a lavorare sui dettagli o non ne apprezzano o comprendono il processo di sviluppo». 

Il quadro (tecnico) di Michael, invece, è sempre andato perfezionandosi, anno dopo anno.
CHRISTIAN GIORDANO
Michael "Air" Jordan

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