IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Soukho, il Comunista che si mangiava gli avversari


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Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 160 pagine - kindle, amazon.it – € 9,90

La conoscenza con il Merckx del Volga nell’Europa capitalista la fecero per primi i francesi. 

Al Tour de l’Avenir ospitarono un’edizione irripetibile dell’Armata Rossa: oltre al cameo del grande Aavo, al contadino di Trostynia si affiancarono altri bimbi-prodigio come Ramazan Galaletdinov (ventenne...), forzuti dell’arrampicata (Serguei Morozov) e passisti alla Aleksandr Averin (da cineteca i suoi zigzag in salita, sfinito, dopo centinaia di chilometri di fuga solitaria). 


Sergei Soukhoroutčhenkov gigioneggiò su ogni terreno, spalleggiato da una ciurma di pirati che monopolizzò tutte le classifiche.



(...)

Una belva sui falsipiani, spericolato in discesa, fortissimo sulle salite lunghe e sul passo; a completare l’identikit, il coraggio leonino dell’attaccante a lunga gittata, innamorato dell’impresa solitaria.

Se da noi divenne Soukho, in patria il soprannome fu Soukhar, ossia “pane secco”. Il pane che diventa duro se esposto all’aria per qualche tempo. E il biondo era, in effetti, durissimo, sia nella capacità di allenarsi a fondo, senza temere la fatica, sia nello stile agonistico aggressivo. 

Nelle nostre lande esordì al Regioni 1979, una delle edizioni più monocolore della storia: a rendere pepata la corsa ci pensò proprio Sergei. Il penultimo giorno, nella tappa da La Spezia a Livorno, partì sotto il diluvio universale e, dopo essersi liberato degli altri tre fuggitivi sulla Foce di Carrara, compì un numero esaltante malgrado il libeccio in faccia: settanta chilometri di volo libero e la concorrenza a quattro minuti e mezzo. Fatturato dell’avventura, la maglia Brooklyn in cassaforte e l’irritazione del boss Kapitonov. Il direttore tecnico rispose per le rime, e con poco tatto, escludendolo dall’ambita Corsa della Pace. 

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Nella corsa-regina del calendario, solitamente tiratissima e decisa da pochi secondi di scarto, mai si era assistito a uno strapotere del genere: il più vicino, Jan Jankiewicz, arrivò a sei primi e mezzo dal caterpillar di Briansk. 

Il bis settembrino all’Avenir completò un Grande Slam inedito nel circo dei dilettanti: mise nel carniere le tre corse a tappe più prestigiose, esibendo una superiorità disarmante. 

In Italia e in Francia s’iniziò a fantasticare sulla possibilità di vederlo impegnato contro Hinault, Moser e Saronni: il sogno divenne ancora più dirompente dopo il suo show a Mockba 1980. 

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Il 23 luglio 1980, il giorno della prova olimpica su strada, lasciò la compagnia dopo nemmeno trenta chilometri.

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La polka si chiuse distanziando di tre primi i due medagliati restanti, sui dieci minuti si conteggiò il resto della truppa, rassegnata. 

Nell’enfasi del momento, non in molti compresero appieno il valore di quella vittoria, per le dinamiche unica nella storia del ciclismo al capitolo olimpiadi e mondiali, professionisti inclusi: quattro ore al vento e centosessanta chilometri di fuga a quasi quaranta di media.

La soukhouriade proseguì con un 1981 stakanovista, fin troppo: una decina di corse a tappe in giro per il globo (compresi Cuba, gli Usa e l’Asia) tanto che il nostro, stremato, fu battuto all’Avenir da Pascal Simon in uno dei primi incontri con i pro’ dell’Ovest. 

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A fine aprile, al Regioni, si era assistito all’inenarrabile: la Arezzo-San Marino, versione postmoderna della Cuneo-Pinerolo al Giro 1949 o della Brive-Agen al Tour 1951. 

L’Appennino Tosco-Emiliano fu il teatro di un evento unico, provocato molto casualmente da avversari incauti, spazzati via da uno scherzo della natura in giornata di grazia. Il secondo arrivato sul Monte Titano, quel pomeriggio, si presentò 11’26” dopo l’olimpionico: una bastonata memorabile. 

Il biennio successivo, tra usura, pochi stimoli e la concorrenza interna, fece pensare all’oblio definitivo del Merckx dei dilettanti, escluso nel 1983 dalla prima squadra. 

Eppure, l’anno seguente, Sergei risorse dalle proprie ceneri: salendo verso Karpacz, nella frazione decisiva della Corsa della Pace, sbranò per l’ennesima volta la concorrenza.

A Varsavia, di giallo vestito, si sarebbe consolato del futuro boicottaggio del blocco comunista che gli impedì all’olimpiade losangelena il bis del capolavoro moscovita.

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L’appendice agonistica, l’ultima, fu rappresentata da un paio di stagioni come matricola trentaquattrenne nei professionisti. Chioccia spaesata della nouvelle vague ex sovietica (Dimitri Konychev, Piotr Ugrumov, Volodymyr Pulnikov, Andrei Tchmil eccetera), alle prese con un mondo troppo diverso dal suo. 


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