ALLEN IVERSON - Non c'è bisogno di domande per essere "The Answer"
Viene dalla più forte famiglia di ex schiavi della Georgia. Talento rinascimentale convinto a mollare il football per il basket grazie a un paio di scarpe., condannato a cinque anni di galera e poi graziato. Tutto era cominciato così, con mamma Ann incinta "per miracolo" mentre la nonna era fuori a messa.
di FEDERICO BUFFA
LE STELLE DELLA NBA: ALLEN IVERSON
Nastro giallo. La propria vita avvolta a del nastro giallo, con "crime scene" marchiato sopra, quello con cui la polizia sigilla la scena del crimine.
Quando hanno ammazzato Rah, al funerale il reverendo ha ammonito di guardare alle proprie vite come ad un libro e di smetterla di buttare via pagine riempiendole di lamento, preoccupazione e maldicenza. "Some deep shit right there" (tanta roba) pensa Allen Iverson, che con Rah era cresciuto in un mondo sigillato dal nastro giallo.
Il giorno in cui l'han celebrato come MVP della NBA, alla conferenza stampa non ha messo la cravatta ma una T-shirt nera con scritto "Newport News Hood Check", la lista dei quartieri più invivibili della zona portuale della Virginia da dove viene.
Nessun'altra star NBA lo avrebbe fatto, ma nessun'altra star NBA è (o sarà mai) Allen I. Nessun'altra star NBA avrebbe mai risposto dopo un trip semi-inarrivabile da 19 punti consecutivi e finali in gara 2 di playoff contro Toronto, sotto nella serie, "Life, poverty" alla domanda su come avesse potuto riuscirci. Soprattutto nessun'altra star NBA è (o sarà mai) 1,78 per 68 kg.
Senza regole, contro tutto e contro tutti. Prendere o lasciare.
Nemmeno doveva nascere, Allen. Mamma Ann aveva vinto quarti, semifinali e finali d'un tabellone a otto per farsi un certo Allen Broughton, negli fico del bigoncio d'una periferia come tante del Connecticut. I match eran a mani nude, una contro una. Stese tutte, facile. Gli occhi - fissi sul premio - eran tutti per quello sfrontato con quel certo non so che cui Ann aveva affidato la missione di farla diventare donna a tutti gli effetti. Anche le altre sette avevano piani simili ma Ann è una Iverson e gli Iverson, la più forte famiglia di ex schiavi della Georgia, da quando son uomini liberi quello che vogliono, se lo prendono.
Tutto pronto. La nonna è a messa., il materasso è steso e lo sfrontato dal certo non so che è carico e irresistibile. Siamo ai preliminari ma si sente distintamente il rumore della chiave nella toppa. La messa è finita e la nonna è andata - ma soprattutto tornata - in pace. Broughton scappa dalla finestra - fondamentale ben conosciuto da chi viveva come lui - e Ann non è diventata donna, ma senza che la Natura possa spiegare, dopo qualche settimana comincia a vomitare senza motivo. Test, sorpresa, miracolo: Ann è incinta... a quindici anni.
Torna in Virginia dalla madre, che la aiuterà a mettere al mondo quello che tra qualche anno sarà noto come The Answer, la risposta, senza nemmeno chiedere quale fosse la domanda.
Non si può avere tutto, bisogna saper fare delle scelte: o si paga la bolletta della luce o si mette in tavola il pollo che arde nel burro, il soul food per eccellenza. Allen e sua sorellina Jessie, nata da storia successiva, votano per il pollo.
Ann ha messo via di nascosto un centinaio di USD che le serviranno per quell'altra sua idea. Suo figlio gioca a football perché a football giocano gli uomini, ma lei che correva i 400 come se gli alisei la favorissero, compagna di banco al liceo di Rick Mahorn (tanta NBA, tanti chili, un po' di Virtus Roma), sa che quel dono di Dio che si chiama Allendovrà giocare a basket.
Quando Allen strillerà sull'uscio di casa che lui è un uomo, di otto anni ma un uomo, e che le checche giocano a basket, quel centinaio di USD saran diventati un paio di invitanti Air Jordan che profumantesi di cuoio. Allen cede con riserva, va all'allenamento di basket, nota che molti suoi compagni di squadra del football sono in campo, si fa spiegare come si tira e si palleggia e il suo talento rinascimentale farà il resto.
Talento rinascimentale, quello di chi sa combinare le arti. Gli alisei della madre ne han fatto una questione genetica e lo spingono ancor più veementemente quando corre, ma se gli mettete una matita in mano vi ritrae in caricatura. Se ascolta un motivo musicale rintraccia le note sulla tastiera. Istinti misteriosi di un giovane uomo cui la normalità non interessa.
"Nigger". "Kike". Steve Forrest ha 22 anni, è bianco, beve dalle otto e adesso al bowling son quasi le undici, odia i neri, specie quelli rumorosi e di successo, tanto che li epiteta con il dispregiativo di negri.
Allen, che tutti in città sanno chi è, è molto più piccolo fisicamente ma del negro non se lo fa dare volentieri, amici bianchi non ne ha e gli altri li epiteta con quel dispregiativo (kike). Finisce a seggiolone, ma quel che è peggio, con cinque anni di galera per "maiming by the mob", paradossalmente una legge anti-Ku Klux Klan e quel suo vizietto di linciare gli afroamericani. Forrest e i suoi, intonsi. Allen e i suoi, dentro. Ne uscirà per grazia del Governatore dopo qualche mese anche perché la Virginia nera sta bollendo, ma del mondo di cui già si fidava poco, non si fiderà più.
C'è anche una tesi complottistica. Allen al liceo era andato alla Bethel per gli amici e per il football perché gli permettevano di gareggiare in entrambi gli sport e non a Hampton, potente e prepotente, che pure lo ha a lungo corteggiato. Virginia è sud, e il sud degli States è torbido. Fosse stato di Hampton sulla storia si sarebbe stesa della gran sabbia. Ah, dov'era andato a scuola il giudice Overton che ha comminato i cinque anni (...e negato la cauzione)? Ma guarda, a Hampton. Torbido sud.
"No fucking white can guard me". Il bianco che non lo può marcare si chiama Stockton, John Stockton, che Allen sta verniciando con un 44 magnum e glielo ricorda ad ogni canestro. È il 2001 e non è una questione di bianchi o neri, è una questione d'assoluta immarcabilità. Ann è a bordocampo, cappotto rosa, scarpe da gioco con lo sbaffo ma non sono le Air Jordan, son quelle che la Nike ha ideato per il figlio. In mano ha la boccetta con l'olio benedetto con cui unge figliolo ed eventuali bisognosi prima della partita e firma autografi: la firma è la stessa con cui pochi anni prima convalidava le notifiche degli ufficiali giudiziari.
Allen non usa deodoranti per tenere lontani i difensori, è spergamenato da 21 tatuaggi che lo descrivono meglio delle parole. Sarà MVP dell'All-Star Game, MVP della stagione e porterà i suoi alle NBA Finals.
Non ci sono antidoti conosciuti per lui e tantomeno per il suo cross over, il palleggio incrociato, nato sul playground di Newport (bad news) e rifinito a Georgetown al college con la supervisione di Dean Berry, che oggi fa il consulente finanziario in Florida, ma allora sedeva sulla curva sud della panchina degli Hoyas ed era callidissimo newyorkese di strada e quindi a conoscenza di come sull'asfalto del Bronx un killer cross over valga quanto un "ferro" calibro 9.
Lo allena Larry Brown, cresciuto a Long Island, anche lui senza padre, ebreo osservante cui la signora Ann ha messo in tasca un crocefisso (sic). Suo qualche mese prima Brown lo aveva fatto cedere a Detroit per inconciliabili differenze. Scambio saltato perché Matt Geiger aveva una buonuscita da paura sul contratto scoperto da Detroit solo ad accordo concluso.
Costretti dagli eventi Brown e Allen s'alleano nel più memorabile yin yang della storia della NBA. Non vinceranno, troppo Shaq, troppo Kobe, ma Iverson - dopo una incredibile gara 1 vinta allo Staples e diretta da Brown al limite del mistico - spiegherà una volta per tutte che non c'è bisogno di domande per essere "The Answer".
Geiger comprerà dagli Iverson la villa in collina a Philadelphia e dirà di avervi trovato in garage una Mercedes in perfetto stato abbandonata, venti paia di Timberland sotto un letto, e banconote sparse in ogni stanza. Normale per chi quando non ricordava dove aveva parcheggiato si comprava un'altra auto mezz'ora dopo.
Mai esistite regole, per Allen. Tutto sempre al limite, prendere o lasciare, e han lasciato in tanti. Per noi, gli altri, quelli che abbiamo preso coraggio anche solo guardandolo andare al ferro venti, trenta volte a sera, ogni sera, subire contatti insopportabili per un uomo in armatura, figuratevi per uno di 1,78 che nella vita non ha mai alzato un peso, ecco, per noi: numero 3 di maglia, numero uno nei nostri cuori.
Commenti
Posta un commento