L’ultima incarnazione del peronismo Massa, l’«usato sicuro» contro Milei


Oggi il ballottaggio, testa a testa nei sondaggi: caccia ai voti di un centrodestra quasi sparito

Massa è ottimista, ha arruolato lo staff della vittoria di Lula in Brasile nel 2022

19 Nov 2023 - Corriere della Sera
Dalla nostra inviata Sara Gandolfi
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BUENOS AIRES - «Argentina es diferente», ripetono con un misto di orgoglio e disperazione i bonaerensi. Sì, l’Argentina è diversa, e unica. In nessun altro Paese al mondo, un ministro dell’Economia che accompagna la nazione alle urne con un’inflazione al 140% (in aumento) e oltre dieci tassi di cambio del dollaro oserebbe candidarsi alla presidenza. Sergio Massa, prescelto dalla coalizione peronista Unión por la Patria, l’ha fatto e ha pure tappezzato le strade della capitale con la sua faccia e la scritta, «Arriva l’Argentina che stavamo aspettando»; ed è in politica da più di trent’anni.

Oggi 35 milioni di elettori decideranno se dare il voto (obbligatorio) all’«usato sicuro» peronista o al «dilettante» Javier Milei. Il nervosismo è palese. I sondaggi confermano un testa a testa che potrebbe costringere a ritardare l’annuncio del vincitore.

Alla vigilia, Massa ha ostentato sicurezza: «Vincerò con un voto in più», ha assicurato chiudendo la campagna al Liceo Carlos Pellegrini di Buenos Aires. Era arrivato solo terzo alle primarie generali di agosto, sorpassato sia dal libertario Milei sia dalla conservatrice Patricia Bullrich. Da lì è cominciata la rimonta, assistito anche dai consiglieri brasiliani che firmarono il successo di Lula l’anno scorso. Al primo turno, Massa ha ottenuto il 36,8% contro il 29,9% di Milei. Oggi i duellanti si contendono i voti di un centro-destra quasi vaporizzato e di una folla di indecisi. Tra di loro molti ex elettori peronisti che «sono recuperabili», sussurrano ottimisti nello staff di Massa, perché, nonostante la rabbia che provano per la gestione da parte del governo uscente di Alberto Fernández, «non voteranno mai Milei e brontolando ci daranno alla fine un’altra chance». L’accoglienza riservata venerdì sera al candidato di estrema destra nello storico Teatro Colón della capitale — fischi e cori «tu sei la dittatura» — in parte conferma questa tesi.

Tra i protagonisti della forte rimonta di Massa c’è pure una Grande Assente, la potente e super divisiva Cristina Kirchner. La ex «primera dama» del defunto Nestor Kirchner, cui è succeduta come presidente, e attuale vicepresidente della Repubblica, ha finito di litigare con Massa, che fu capo di gabinetto del marito, e ha accettato di recludersi dietro le quinte della politica per non rovinargli la «candidatura della svolta», da lei stessa orchestrata. Ricomparirà solo a cose fatte, venerdì prossimo, all’Università Federico II di Napoli, invitata a tenere una lectio magistralis sulla «Insoddisfazione democratica». Poi però Cristina tornerà a casa e, se sarà eletto presidente, Massa, che è uomo di centro, dovrà fare i conti con quel 30% di peronisti che fanno ancora capo alla rossa Cristina.

Miracoli del peronismo, il più sgusciante movimento dell’èra moderna. Passato, nei quarant'anni dal ritorno della democrazia, dal «menemismo» iper-liberista di Carlos Menem al «kirchnerismo» radicale. Difficile incasellarlo tra destra e sinistra. «Il peronismo è un movimento fluido, nel senso taoista del termine. Segue lo scorrere della storia, dell’economia e della società, e ha la capacità di adattarsi e di rispondere, a volte meglio a volte peggio, a questo fluire. Ciò gli ha permesso di sopravvivere per quasi 100 anni», dice al Corriere lo scrittore Fabián Martínez Siccardi (autore di Bestie fuori, ed. Le Lettere). «Nel peronismo c’è un elemento quasi religioso. Nonostante le grandi differenze interne, ha una liturgia e un’iconografia che lo uniscono, come fosse una chiesa. Simboli fortissimi, come Evita».

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