Nba sotto choc, botte da orbi al pubblico


EPILOGO WESTERN DEL MATCH DETROIT-INDIANA DI BASKET: CALCI E PUGNI TRA I GIOCATORI CHE POI COINVOLGONO NEI TAFFERUGLI I TIFOSI 

Stefano Semeraro 
La Stampa - domenica 21 novembre 2004

PIÙ che una rissa, una guerriglia urbana trasferita sul campo, a base di cazzotti, spintoni, bottigliette, persino una sedia. Protagonisti: tutti. Giocatori, coach, tifosi, basiti addetti alla security. E' capitato nella NBA, il massimo campionato del basket USA, durante un match tra Detroit Pistons e Indiana Pacers. Mancavano appena 45" alla fine, gli ospiti di Indiana avanti 97-82, quando Ron Artest, di Indiana, ha commesso un fallo carognetta su Ben Wallace, ala dei Pistons. Reazione di Wallace, putiferio. Una rissa peristaltica, iniziata sul parquet e continuata in tribuna, scandita in due o tre fasi, aggravata da un tifoso in cerca di guai che, quando il parapiglia sembrava quasi spento, ha tirato un contenitore pieno di birra contro Artest, steso sul tavolo dei refertisti dopo aver incassato un paio di diretti. Artest, infuriato, ha allora scalato le tribune, cercando di farsi giustizia sommaria, e a quel punto il palazzetto di Auburn Hills, con 14 mila spettatori, è diventato un saloon. Un paio di tifosi ci hanno rimesso la mascella, a Jermaine O'Neal, compagno di squadra di Artest, è arrivata addosso anche una sedia. Gli arbitri hanno tentato di far concludere la partita, ma si sono dovuti arrendere sotto una pioggia di insulti acustici, liquidi e solidi. 

«Non ho mai assistito a nulla di simile - ha buttato lì Larry Brown, allenatore dei Pistons e dell'appassito Dream Team solo terzo ai Giochi di Atene -. È la cosa più disgustosa che abbia mai visto nella mia carriera di giocatore e allenatore». Le telecamere hanno ripreso tutto - compresi i lucciconi dei piccoli fans in canottiera, sconvolti dall'isteria dei loro idoli-giganti -. Gli opinionisti hanno già montato la scena, analizzando, infilando freccette sui fermo-immagine per schierare le varie fasi come se si trattasse di una lavagna di tattica (militare, non sportiva). Si annunciano provvedimenti severi, addirittura si parla di azioni penali. Intanto la NBA ha sospeso a tempo indeterminato Ron Artest, Jermaine O'Neal, Stephen Jackson dei Pacers e Ben Wallace dei Pistons. 

Dunque anche gli americani si menano allo stadio? La famosa cultura sportiva iu-es-ei è andata a farsi benedire? Sì, e no. Sì, perché di risse nella NBA ce ne sono sempre state, ma limitate ai giocatori, oppure come effetto collaterale ed etilico delle parate cittadine che sigillano un trionfo, in tutti gli sport. No, perché negli States non esistono bande di ultrà "professionisti". Le scazzottate nascono da uno screzio, dall'eccessivo tasso alcolico di qualche spettatore, magari dallo scatto di nervi di un giocatore stressato. Sono episodiche, contingenti, non programmate. Nel baseball, la disciplina più vicina per passione al nostro calcio, i manager più violenti arrivano al massimo a scalciare il terriccio verso l'arbitro. Per i tifosi della NHL, la lega pro' di hockey su ghiaccio, la rissa è parte integrante del match. E' tollerata, anzi, spesso incoraggiata, ma tutto di solito si svolge sulla pista, con gli arbitri che osservano interessati, quasi si trattasse di un incontro di wrestling - la (farlocchissima) simil-lotta libera Made in USA. E nella NFL, il campionato di football americano, gli spazi negli stadi sono troppo grandi per favorire frizioni sensibili tra tifoserie comunque pacifiche. Il basket è forse lo sport più iracondo fra tutti quelli d'Oltreoceano. L'anno scorso si è tentato anche di montare una rivalità dura fra i «belli» di Los Angeles, la città del cinema, e i «Bad Boys», i ragazzacci di Detroit, la metropoli sporca dei motori. 

Ma lo sport per gli americani resta una cosa seria, serissima John Kerry ha cavalcato, senza fortuna, l'epocale ritorno alla vittoria dei suoi «Red Sox» nel baseball -, non certo tragica come per noi latini. Un qualsiasi ultra nostrano di periferia, laggiù, potrebbe tenere un master di specializzazione. Fortunatamente, nessuno ha mai pensato di invitarlo. 

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