Pantani - Una poesia di Gianni Mura


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di Gianni Mura 
per tuttoBICI - settembre 1998

E vai, pugnetto d’ossa, cardellino,
Pantadattilo, Fossile, Pirata, insegui a pedalate il tuo destino


Con bandana stretta, o la pelata che luccica nel sole del mattino
non appena la strada s’è drizzata.
Fragile come un vaso di Lalique,
duro come il granito.
Pantastique.

E vai. Plateau de Beille sotto il sole
Galibier sotto l’acqua, il cielo nero.
Solo chi c’era trova le parole
Per quest’inferno freddo, quasi a zero.
Vuolsi così colà dove si vuole
Ciò che si puote. E tu hai voluto, è vero,
tu hai volato, trasvolato il Tour.
Adesso è tutto tuo. Oh,
les beaux jours.

Adesso che è finito, siamo stanchi
(tu forse più di noi) e un po’ a pezzi.
Luciano Pezzi, bicicletta Bianchi:
quanti ricordi traversano i pezzi.
Deriva dolce che parte dai fianchi
della montagna che farai a pezzi.
Pezzi di cuore che saltano in aria
O Fossile dell’era quaternaria.


O Fossile dell’era mesozoica
così bravo nel bucare il presente
suoniamo la Patetica o l’Eroica?
Romagna mia, per far ballar la gente?
Preferisci si parli della stoica
volontà tua, di quanti eri in niente,
soltanto un pugno d’ossa e di dolore
con un futuro senza più calore?

Se ne possono dire tante, uomo-uccello
nel giorno chiaro della tua vittoria,
dirti sei bravo sei forte sei bello
dirti che sei entrato nella storia.
Pan Pan Pantani come un ritornello
Sospeso tra l’applauso e la memoria,
sospeso tra la storia e la leggenda.
Attesa lunga, volontà tremenda.


Il duro desiderio di durare
(e questo è Eluard, uno dei miei poeti)
è quello che t’ha fatto lievitare
come una torta immensa. Altri segreti
io non ne vedo né li sto a cercare.
Mi bastano i tuoi lampi fra gli abeti,
tarantolato col rapporto agile,
duro come il granito eppure fragile.

Leblanc dovrebbe farti un monumento:
non hai stravinto il Tour, lo hai salvato
dalla merda e dall’inquinamento
del doping extralusso o a buon mercato,
gli hai ridato onore e sentimento,
era sporco e l’hai rilucidato.
Un Tour con tutto il bene e tutti il male.
E vince il bene a colpi di pedale.


Un Tour con tutto il male e tutto il bene
dopo il rosa del Giro, color croco
che già scaldava il sangue nel venerdì
e rinnovava la voglia di fuoco.
Parti. Che Tour? Come la va la viene?
Ma no, sarebbe stato troppo poco.
Un Tour con i colori dell’affresco
un Tour umano, grande, gigantesco.

Vedi? Gimondi, Bartali, Martini
sono commossi, quei vecchi ragazzi.
Gaul e Van Impe sono due bambini
Sorridenti. E tutto perché spazzi
i campioni di un mese, i becchini
del ciclismo dosato a gocce, a sprazzi.
Marco, Fossile mio, per sempre amico
di chi ha amato il gran ciclismo antico.

Antico non vuol dire morto, spento
o nascosto in soffitta, sotterrato.
Sei antico, lo sei come il vento
che torna e va, dal mare al pergolato.
Se sei nuovo, è nel lampo di un momento
in cui saldi il presente col passato.
E tu lo sai, speranza degli zoppi,
dici Pantani e viene in mente Coppi.

Forse ti annoia, te l’han detto in troppi
e non c’è paragone di falcata.
La tua un petardo, tutta strappi e scoppi,
La sua distesa, lunga serenata.
Di uguale c’è che fan venire i groppi,
svegliano la montagna addormentata
e impiombano le gambe agli avversari.
Voi generosi, loro troppo avari.

Loro troppo moderni, programmati,
col cardiofrequenzimetro e la soglia
mentre gli antichi scatenati
soltanto dal coraggio e dalla voglia.
Marco, sei il fumetto che si sfoglia
per il bambino, sei ricordi amati
del vecchio. E tutti battono le mani.
Antichi, vuole dire solo umani.

L’uomo che sale solo sotto il sole
E porta tutta l’ansia di volare
È un flash senza bisogno di parole,
è nuovo e antico, come il sole e il mare.
Ha crocco e girasole nelle aiuole,
sparisce ad un tornante e poi riappare.
L’uomo così ferito dalla vita
è come un cane, addenta la salita.

A testa nuda, l’uomo che va via
piacerebbe anche a Pindaro, ad Orazio,
a Saba, a Marinetti, è poesia,
è il cuore che si fionda nello spazio,
è forza pura, sogno e fantasia,
lancinante piacere, estremo strazio.
Uomo-martello e insieme uomo-incudine,
milioni di persone e solitudine.

Panta rei, tutto scorre. Panta corre
arando a larghi colpi la montagna,
saltellando fra pinnacoli e forre
sotto un cielo che brucia o che bagna.
È un grido dal più alto della torre,
parte dai Pirenei e arriva in Spagna.
Cane tra i cani, fiuto sul cammino.
Ecco, adesso si toglie il berrettino.

In Francia ho portato un mio violino
di parole di carta rattoppata.
Lo suono meglio se mi batte il cuore
come a un vecchio, come a un bambino.
Cambio il ritmo, cambio pedalata
perché bisogna pur farla finita
anche se ho voglia di continuare.
Oltre la lunga e lenta ala del mare
dormi, Marco, e sogna. Sul cuscino
ti veglierà una stella innamorata
è t’accompagnerà tutta la vita.

   
- GIANNI MURA


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