TACCUINO SULLA PARIGI-ROUBAIX 2025 (E IL CICLISMO NELL'ERA DEI MOSTRI)
Simone Basso, lunedì 14 aprile 2025
46,921 km/h.
47,802 (2024), 46,841 (2023), 45,792 (2022).
Si deve partire dalla media oraria per analizzare che cosa è diventata - dall'èra post-Covid - la Parigi-Roubaix moderna.
Una combinazione di eventi.
Un calendario che parte dalle Strade Bianche e porta al Velodromo, che lo rende un settore specifico dell'annata.
Le nuove bici, il nuovo approccio all'alimentazione e all'allenamento, favoriscono una generazione di freak, un'élite della stessa, a realizzare selezioni - oltre i 200 chilometri di gara - impietose.
Tra i migliori e il resto del plotone, ieri come domenica scorsa alla Ronde o il sabato della Milano-Sanremo, un abisso.
1.
Avevamo i pantaloni corti quando Francesco Moser fece il tris consecutivo a Roubaix. Mathieu van der Poel è una sorta di (involontario) progetto genetico: nato per i muri, il pavé, il ciclocross.
Una maledizione per i belgi, che vedono un olandese nato nelle Fiandre affastellare primati su primati nelle loro (.-.) corse preferite.
Motore, serbatoio, istinto, una tecnica di guida del mezzo sopraffina (un surfista). A 30 anni, vince la sua Roubaix più iconica, dopo aver dominato (soggiogato) quella del 2024. Lo rivedremo, nel resto della stagione, più sulle ruote grasse (MTB, gravel) che su strada.
2.
Tadej Pogačar, anche nelle parole di un ammiratissimo van der Poel, conferma di essere una mostruosità. Senza quella curva sbarazzina (...), se la sarebbe giocata fino al Velodromo. Un'agilità, una classe, anche sull'acciottolato, inenarrabili. Ha capito subito che l'Inferno potrebbe essere suo, molto presto. Ultimo vincitore del Tour sul podio a Roubaix? Laurent Fignon terzo, nel 1988. Che quell'edizione bizzarra, col pavé colorato e l'arrivo davanti a un supermercato, l'avrebbe vinta se non ci fosse stata una fuga-bidone. Vinse Dirk Demol, un carneade (l'unico nella storia della Regina delle classiche), davanti a Thomas Wegmüller, il Cancellara dei poveri. Ultima matricola seconda all'Enfer? Francesco Moser nel 1974. A una caduta pure lui, era insieme a Roger De Vlaeminck, da giocarsela in uno sprint a due.
Pogastar, le freak c'est chic.
3.
Quando Pogačar allunga, ai meno 60 km, una foratura rovina la giornata di Mads Pedersen. Fosse stato lì, nella posizione di (un ottimo) Jasper Philipsen, la corsa avrebbe preso un'altra piega tattica; perché Pedersen non si sarebbe fatto staccare: avrebbe potuto mettere nel sacco quei due là, i due mostri?
4.
E' evidente che Wout Van Aert non sia più quello del triennio (d'oro) 2020-22. Quel corridore era più universale del rivale (eterno) van der Poel e mostrò numeri, soprattutto d'estate, da fuoriclasse assoluto. Il duello storico con l'altro "van" del ciclocross finisce, come per una sceneggiatura del destino, quando il belga - in testa alla Roubaix 2023 - fora prima dell'uscita dal Carrefour de l'Arbre, con van der Poel a ruota. Le strade dei due, in quel momento, si separano, definitivamente.
Dopo gli incidenti, le cadute, una gestione mediocre da parte della squadra, Van Aert è diventato questo: il classicomane più forte, dai tempi di Freddy Maertens, a non essersi mai aggiudicato Ronde e Roubaix.
Ci auguriamo di vederlo, vincente, più volte, al Giro.
5.
A proposito di Team Visma: impressionante il bimbo Matthew Brennan.
Uno nato nel 2005.
Speriamo che quelli come lui, al pari di Pogačar, convincano i soloni a comprendere che, per la Roubaix, si possono adattare anche quelli che pesano 65-70 chili.
Per troppo tempo, figli delle scemenze anni '90 (un decennio di m., non solo per il ciclismo), si sosteneva che il pavé fosse solo per i carrarmati coi cingoli.
Manco Fausto Coppi, Hennie Kuiper o Bernard Hinault fossero omoni da keirin (sigh).
Il ciclismo nell'èra dei mostri sta rimettendo le cose al proprio posto.
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