Lo sfregaselle del decennio (versione integrale)



di SIMONE BASSO ©
In fuga dagli Sceriffi
Rainbow Sports Books ©

Definire il corridore degli Ottanta più rappresentativo è impresa controversa e alquanto scivolosa. 

Se ci si basa sul palmarès, la supremazia di Bernard Hinault è indubbia. Le Blaireau però si ritirò nel 1986: inoltre, dal punto di vista generazionale, incarnò perfettamente il dopo-Eddy Merckx, con qualche giro di vantaggio su Francesco Moser, Freddy Maertens, Beppe Saronni e la banda dei TI-Raleigh

Facendo l’avvocato del diavolo, rileggendo quei tempi con un microscopio elettronico, si potrebbe anche obbiettare sugli avversari battuti dal Tasso in alcuni grandi giri: Joop Zoetemelk, Lucien Van Impe, Wladimiro Panizza, Robert Alban, Tommy Prim. Appare evidente che i ragazzi terribili del lustro dopo furono qualitativamente più concorrenziali. 

Non a caso il bretone, in parabola discendente, fece la cinquina al Tour (1985) senza Laurent Fignon nel plotone e con Greg LeMond, vicecapitano de La Vie Claire, profumatamente pagato per scortarlo fino al traguardo. 

Per rappresentare al meglio l’epoca rimangono dunque tre nomi: Sean Kelly, che quantitativamente non ebbe rivali, Fignon e LeMond. Gli ultimi due caratterizzarono il decennio in maniera contraddittoria e decisiva, non soltanto attraverso vittorie e sconfitte, ma anche con i rispettivi incidenti che cambiarono il corso degli eventi agonistici. 

Senza l’infortunio ai tendini della caviglia sinistra del francese, conseguenza sottovalutata di un trauma banale dell’arto contro un pedale altrui in corsa, e l’incredibile incidente di caccia che coinvolse l’americano, scambiato dal cognato per un tacchino e ferito quasi a morte, il decennio avrebbe avuto ben altre dinamiche. 

Quelle sfortune permisero, per esempio, la tripletta Giro-Tour-mondiale di Stephen Roche nel 1987: impresa favolosa ma sponsorizzata dalla dea bendata a ogni fermata decisiva. 

Ecco dunque un periodo storico riassunto nelle gesta (e nelle assenze più o meno giustificate) dei due pulcini più talentuosi allevati alla scuola-Guimard, cresciuti all’ombra del baobab Hinault e rappresentativi, loro malgrado, di attitudini opposte. 

Nel 1980 LeMond corse, in Europa, per il club parigino US Créteil. Quando rientrò, dopo un viaggio negli States, firmò per la Renault-Gitane di Cyrille Guimard che sconfisse la concorrenza di Peugeot e La Redoute. 

Greg, ragazzino di Carson City nel Nevada (ma nato a Los Angeles, ndr), iniziò a interessarsi alla bici dopo aver assistito a una gara locale, svoltasi nel deserto. 

Il suo primo allenatore fu un paisà, Roland Della Santa, poi arrivò Eddie Borysewicz, tecnico polacco rimasto in America dopo l’olimpiade di Montreal ’76. 

LeMond divenne un nome ai Mondiali juniores in Argentina (1979), dove trascinò al bronzo il quartetto USA nella Settanta chilometri e conquistò l’argento su pista nell’inseguimento individuale: era la prima volta dell’anno che correva sul legno e perse dal sovietico Gadis Liepinch, in finale, per appena due centesimi. Infine vinse la prova su strada dopo la squalifica, per volata scorretta, del belga Kenny De Maerteleire che lo aveva chiuso alle transenne. 

Prima degli spari nella riserva californiana, Greg LeMond corse tutto il calendario come d’uso per i campioni di quel tempo. 

Regolarista potente, a suo agio un po’ ovunque, magari privo di grande fantasia ma infaticabile nel timbrare il cartellino del plotoncino davanti. 

Poi, costretto anche dalle conseguenze di quell’infortunio, divenne il precursore involontario (?) del ciclismo anni Novanta; quello che porterà al prototipo armstronghiano di corridore monouso, all’insegna di una specializzazione esasperata e avvilente. 

Quindi, per esemplificare al meglio dieci anni colmi di avvenimenti, meglio andare con il carisma controverso e mai banale di Laurent Fignon.


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