BAR SPORT CHIUSO PER LUTTO


FOTO LAPRESSE 
Malato da tempo Stefano Benni, scrittore, poeta e umorista (1947-2025)

“Lupo e giullare del riso”

IPSE DIXIT - “Bisogna assomigliare alle parole che si dicono... Insomma ci siamo capiti”

10 Sep 2025 - Il Fatto Quotidiano
Crocifisso Dentello

Stefano Benni – 78 anni compiuti lo scorso 12 agosto – saluta per sempre i suoi lettori. Minato da una lunga malattia, ormai privo persino dell’uso della parola, è morto ieri mattina nella sua Bologna. Da tempo era un invisibile mediatico, lontano dalla ribalta e dalle librerie con un nuovo titolo, lui che dalla fine degli anni 70 è stato autore tra i più prolifici (una quarantina di volumi tra romanzi, raccolte di racconti, antologie poetiche, drammaturgie). Senza dimenticare la sua militanza nella carta stampata: dai satirici Cuore e Tango ai quotidiani (nel 2019 sulle nostre colonne illustrò la sua formazione tra Totò e Wile Coyote). Anche in virtù di milioni di copie vendute e di traduzioni in più di venti lingue, davvero un fatale contrappasso per un protagonista della nostrana “poligrafia del riso”.

La critica al riguardo è stata talvolta miope. Giovanni Raboni dixit: “Non c’è descrizione, frase, sostantivo o aggettivo o avverbio che, nella sua pagina, non siano lì per far ridere; e, naturalmente, non ce n’è uno che faccia ridere”. Eppure, Benni è l’ultimo scrittore umoristico assurto a classico, erede di una tradizione che va da Guareschi a Campanile. Il suo esordio, Bar Sport (Mondadori, 1976), resta una esilarante radiografia della provincia italiana tra flipper e telefono a gettoni con i suoi “figuranti” antropologici come il playboy, lo sparaballe, il ragioniere innamorato della cassiera. Memorabile la “Luisona” – pasta con crema rancida in bella vista nella vetrinetta sopra il bancone del bar dal 1959 – che viene incautamente mangiata da un rappresentante di Milano “trovato appena un’ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori”. Un talento che Benni ha dapprima rodato sul manifesto con corsivi satirici (Rossana Rossanda, firma di un giornale a suo tempo austero, lo appellava “quel pazzo che ride sulle cose serie”) e in seguito perfezionato come autore tivù, battutista di Beppe Grillo. Suo lo sketch dell’ex comico genovese sul teorema matematico Longo = P2 relativo al coinvolgimento nella loggia massonica di Gelli dell’allora segretario PSDI.

Sono le notti bolognesi del post-'68 a fare di “Lupo” (soprannome che lo insegue dall’infanzia quando lo sorpresero a ululare sugli Appennini insieme con un branco di cani) un osservatore lucido e sarcastico: “Si stava in giro fino alle sei di mattina, gli operai accanto ai figli dei borghesi, i bar come serbatoio del comico autentico, spontaneo”. Lo scrittore bolognese deve la sua fortuna a un lettorato di sinistra che lo ha eletto ad autore feticcio insieme con altri nomi del catalogo Feltrinelli (casa editrice cui approda all’inizio degli anni '80 grazie all’intercessione del compianto Goffredo Fofi), tra i quali Daniel Pennac, non a caso scoperto e promosso da Benni, che nel francese ha rintracciato stessa fede progressista e funambolismo linguistico.

Il suo marchio di fabbrica è difatti la proliferazione picaresca di personaggi e storie surreali con uno stile che mescola giochi di parole, neologismi, parodie, pastiches. Una “fantasia ingorda”, debitrice di Edgar Allan Poe, per la sua capacità di alternare registro comico e tragico. Se Terra! (1983) è un viaggio interstellare ambientato nel 2516 alla caccia di un nuovo pianeta abitabile, la raccolta Il bar sotto il mare (1987) è una serie di “rifacimenti” letterari attraverso le voci di ventitré misteriosi avventori che raccontano la propria storia nell’arco di una notte. I protagonisti dei suoi romanzi sono per lo più ragazzini le cui disavventure si dipanano in diretto antagonismo con adulti cinici e corrotti. In Comici spaventati guerrieri (1986) adolescenti di periferia indagano sulla morte sospetta di un loro compagno con l’aiuto di un vecchio professore, ne La compagnia dei Celestini (1992) una banda di orfani cerca di sfuggire ai giornalisti d’assalto che vogliono riprendere il loro campionato segreto di “pallastrada”. Il bersaglio principale della satira di Benni è il potere manipolatorio dei mass media. Nel mondo distopico di Baol (1990) si parla di “realtà composta” ovverosia la mescolanza tra fiction e “realtà primaria” che scandisce le trasmissioni del regime. In Elianto (1996) il potere pervasivo della tivù diventa una dittatura: ogni attività è governata da un computer centrale che garantisce il consenso attraverso programmi a quiz sulle idee del governo.

Ciò che rende davvero singolare la parabola di Benni è che non può restare confinata nel solo perimetro della scrittura, scandita da romanzi, articoli di giornale, sketch per la tivù, sceneggiature, testi teatrali. Pur non essendo mai stato un uomo di spettacolo se si dovesse tentare un album di famiglia della comicità italiana, da Dario Fo a Paolo Rossi, il suo profilo meriterebbe di essere annoverato grazie anche alle sue letture pubbliche, capace di tenere il palco con il piglio di un giullare postmoderno. Ci lascia in eredità una lezione di coerenza: “Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti”.

***

“Ora andrà in giro a punire quelli che non hanno talento” 1

Paolo Rossi L’attore e comico per decenni è stato suo sodale: “Lui ed Enzo Jannacci veri guerrieri”
Il suo ‘Comici spaventati guerrieri’ l’ho letto e riletto: imprescindibile

Alessandro Ferrucci
10 Sep 2025 Il Fatto Quotidiano
© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Me l’aspettavo. Non sapevo quando, ma sapevo cosa stava accadendo”. 

- E... ?

Andavo a trovarlo e per come era, per come stava e per dove era, mi è uscito immediatamente un sospiro di sollievo.

- Dopo “il sospiro”?

Ho sentito una fitta al petto; (silenzio) però non lo voglio ricordare con aneddoti o frasi, l’unico modo... (Paolo Rossi resta zitto. È come se immagini, suggestioni, odori, sorrisi, lacrime, amici, amici che non ci sono più si condensassero in un lampo); lui e Jannacci sono stati due fari in grado di fondere poesia e umorismo, poesia e comicità. Due guerrieri.

- Quindi, l’unico modo?

È portare avanti il suo esempio di coerenza, continuare con le sue storie.

Stefano Benni, un esempio. Specialmente in questa epoca, in questo medioevo culturale è fondamentale la cultura popolare. 

- Perché, quella cosiddetta “dotta”?

Non esprime grandi talenti (squilla il cellulare. Dall’altra parte c’è la RAI, chiamano per un suo intervento in ricordo di Stefano Benni. “Va bene, volentieri”).

Negli ultimi anni Benni è stato messo da parte? No, semplicemente non scriveva più: non era in condizione. E voglio ringraziare due persone: “Gatto” (storico assistente) che gli è rimasto vicino e Alessandro Bergonzoni; (pausa) per favore scriva di Bergonzoni.

- Perché? 

Gli altri amici siamo io e Davide Riondino, ma noi due siamo da sempre schierati dalla parte di Stefano; Alessandro no, eppure tra loro due andava avanti un dialogo importante.

(La RAI richiama: “Purtroppo non troviamo una troupe per venire da lei”. “Ma siamo vicinissimi”. “Eh, purtroppo niente”.)

- Che succede, è saltata la RAI?

A quanto pare, non hanno una troupe.

- Strano.

(Sorride) Come diceva Andreotti sul pensare male e sui retropensieri? Andiamo avanti...

- Il libro di Benni che ama maggiormente?

Comici spaventati guerrieri. L’ho letto, riletto. Imprescindibile.

- Benni credeva nell’aldilà?

Le ultime volte abbiamo parlato della morte; (qui il tono è alla Paolo Rossi tra serio, finto serio, ironico): entrambi eravamo d’accordo che non è giusta e non ha senso. Che la morte non è di destra né di sinistra perché nessuno protesta, nessuno sciopera, nessuno lancia una petizione.

- Tutti zitti.

Almeno, per una volta, in un’umanità che fa schifo, saremmo stati insieme.

- Benni credeva o no?

Credeva che dopo la morte si va in giro a punire chi non ha talento. E io lo sento già al mio fianco.

***

“Dalle poesie al teatro, il profeta dei narratori ci ha lasciato... Ci si vede, amico mio”

Jacopo Fo
10 Sep 2025
Il Fatto Quotidiano

Per un attimo i raccontatori di storie irregolari si sono fermati. Le tastiere sono restate mute. Il profeta dei narratori è morto.

Ho incontrato Stefano quando eravamo ventenni sconosciuti e lui lavorava al Foglio di Bologna, che non c’entra niente col Foglio di Giuliano Ferrara, tant’è che era stato chiuso e i giornalisti l’avevano occupato. Andai lì a dare una mano disegnando vignette e mi trovai a collaborare con questo giovane giornalista che con una sua inchiesta basata su decine di interviste ai vicini di casa della vittima di un omicidio accaduto a Bologna aveva avuto un successo enorme e portato al rovesciamento della ricostruzione ufficiale. Mi ricordo che illustrai una sua storia assurda su un telefono che si mangiava i gettoni.

Anni dopo collaborò saltuariamente a Il Male, la rivista di satira politica che avevamo fondato a Roma con Pino Zac, Vauro, Mannelli e Vincino. Contemporaneamente divenne amico di mio padre e di mia madre alla quale dedicò una poesia bellissima 

Quando nacque la Libera Università di Alcatraz, partecipò inventando un corso di Immaginazione veramente geniale. Si basava sulle sue letture di stralci di libri che lo avevano affascinato. Io mi stendevo per terra, in palestra, e lo ascoltavo descrivere tempeste e avventure. Riusciva così a portare i suoi molti allievi in un viaggio fantastico. Il momento più scioccante del corso era una specie di improvvisazione teatrale. Stefano iniziava raccontando una storia che evidentemente lo emozionava e lo metteva in difficoltà. Diceva: “Qui ci sono alcune persone che sono a conoscenza di fatti fondamentali riguardo a ciò che è successo a una ragazza in Perù. Ora io invito queste persone a raccontare finalmente la verità, e credo sia importante che, mentre loro raccontano come sono andati veramente i fatti, tengano in mano questo bastone sciamanico, seguendo la tradizione di alcune culture primitive, convinte che un bastone sciamanico possa obbligare la tua bocca a dire la verità”. A questo punto intervenivano un paio di allievi che erano in combutta con Stefano e iniziavano a raccontare di quello che era successo e di come questa ragazza fosse stata uccisa. Stefano poi invitava altri ad aggiungere ciò che sapevano: ne veniva fuori un sovrapporsi di invenzioni, visioni, suggestioni, che portava a un livello di drammaticità enorme, come se realmente si parlasse di un fatto accaduto e non di un semplice gioco di fantasia. Un teatro della verità costruito su una finzione. L’emozione che le persone vivevano era enorme perché la commistione tra fantasia e realtà, tra narrazione e cronaca, in Stefano era molto potente, era la cifra dei suoi romanzi. I corsi di Stefano, in questi 45 anni, sono stati appuntamenti straordinari ad Alcatraz. Ne è nata una vicinanza, una possibilità di scambiare idee e un’amicizia veramente forte. Tanto che Stefano arrivò a trascorrere alcuni mesi da noi, creando insieme con Eleonora Albanese sculture, dipinti e storie che venivano raccontate la sera, dopo cena, coinvolgendo ospiti e docenti. Un patrimonio di idee e fantasie enorme.

Difficile trovare una chiusa a questo articolo che non farebbe fare a Stefano la smorfia che riservava a tutte le banalità. Quindi mi astengo. E visto che siamo atei ma crediamo che la vita sia eterna, posso concludere con un: “Ci si vede amico mio!”.

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