VITA, MORTI, MIRACOLATI AL CBGB - Il locale, culla del punk-rock
FOTO E. ROBERTS
Questa non è una discoteca - La storia del CBGB
Lower East Side, anni Settanta
Non una discoteca, ma un club con band originali. E fuori “chiunque rischiava di prendersi una coltellata alla schiena”
19 Nov 2025 - Il Fatto Quotidiano
Maurizio Di Fazio
Disse il regista Alan Parker: “Pensate al bagno di casa vostra ma solo un po’ più grande, coperto di graffiti e con puzza di piscio praticamente ovunque”. Aggiunse Dee Dee Ramone dopo il loro debutto: “Era un posto semi-abbandonato. Una fogna”, e su e giù, “one, two, three, four” a pogare come pazzi insieme a un gruppo di travestiti arrivati per caso. Ma quanto fascino, quanta potenza, rock and roll. È uscito per la prima volta in italiano, con Interno 4 edizioni, Questa non è una discoteca di Roman Kozak: il libro dedicato al CBGB, il leggendario locale underground newyorkese.
Fuori stampa per decenni, arricchito da un’archeologia di volantini vintage e da un capitolo di Luca Frazzi sulle band tricolori che vi si esibirono (dai Negazione a Elio e Le Storie Tese), il volume è l’antieroica parabola di quello che è stato un po’ la culla del punk prima, della new wave poi, a stelle e strisce. Un ritratto sentimentale, pittoresco e rapsodico scritto quasi in presa diretta dall’ex reporter di Billboard: la prima edizione uscì, infatti, nel 1988, lo stesso anno della sua scomparsa prematura. Kozak inanella interviste e gossip, citazioni e riflessioni ad alta voce con addetti ai lavori e decine di persone che suonarono, o semplicemente frequentarono, il Cbgb (l’acronimo principale – fuorviante – sta per “Country blue grass blues”). Questo ruvido e babilonico club di musica dal vivo piazzato in una zona che allora non poteva certo essere definita cool, né gentrificata, ma anzi un ricettacolo di dannati del capitalismo tra alcolizzati, homeless e tossici. Lower East Side di Manhattan, al 315 di Bowery Street: fondato e gestito sino alla fine dal mitico Hilly Kristal, dalle ceneri di un bar altrettanto semi-fatiscente. Per intendersi, la nuova location stava nello stesso palazzo di uno squallido albergo a ore, un pidocchietto chiamato Palace. L’inaugurazione avvenne il 10 dicembre 1973. Togliete filtri e paillette e mirate all’essenziale. Avete presente, per restare in zona, lo Studio 54? Dimenticatelo. Mister Hilly diede però una ribalta concreta a tanti neofiti di talento: contava il fuoco, l’urgenza espressiva, la voglia di spaccare il mondo. “Si faceva rock tutto il tempo… Tre o quattro band a sera, sette giorni su sette”.
La magmatica scena post Velvet Underground: nell’intera New York City, erano gli unici che ti facevano suonare a prescindere, anche se stonati o primitivi della chitarra elettrica. Bastava portare pezzi propri, fuck alle cover. Libertà sul palco e avversione al mainstream: al Cbgb, luogo zero patinato, nei ribollenti Seventies hanno debuttato pressoché tutti. Glorie e carneadi, notti infinite e t-shirt strappate, che nacquero qui. I sopraccitati Ramones, naturalmente, nel 1974: sulle prime, a godere dei loro live al fulmicotone erano quattro gatti, cifra comprensiva del personale di servizio. Ma nel corso dell’anno il pubblico si allargò, sold-out e l’epifania di celebrità d’area come Andy Warhol e Lou Reed (che pur gli preferivano, e David Bowie uguale, il più radical-chic Max’s Kansas City). Ecco l’esordio dei Television, di Patti Smith (la sera di San Valentino del 1975), dei Blondie della magnetica Debbie Harry, dei Talking Heads di David Byrne. Fleshtones, Tuff Darts, Shirts, gli oltraggiosi Dead Boys ei Suicide, che insultavano e sputavano addosso alla gente.
Negli anni 80 piombò la furia hardcore di Bad Brains e Minor Threat , Agnostic Front e Gorilla Biscuits: poteva andare a finire in rissa. Del resto, e da sempre, “chiunque passasse davanti al 315 di Bowery dopo le 10 di sera rischiava di prendersi una coltellata alla schiena”. Mutava la generazione di avventori, ma lo spirito persisteva: “Do it yourself ”, e quanti amori e amicizie autentiche sono fioriti dentro quel “manicomio che si autogestiva”.
Il locale era penetrato ormai nell’immaginario collettivo: merito anche del Village Voice, che lo elevò a simbolo contro-culturale, a istituzione alternativa e indie. Nessuna posa, ma rumore e verità. Polaroid di una rivoluzione conquistata o mancata, a seconda dei punti di vista. Un po’ alla moda o simulacro per feticisti del campo, infine lo era diventato, il Cbgb, che ha chiuso nel 2006 dopo una lunga battaglia legale con i proprietari dell’immobile. Il signor Kristal avrebbe voluto riaprirlo a Las Vegas, alla Elvis; ma è morto l’anno dopo. I tempi stavano cambiando, figuriamoci oggi. Al suo posto c’è, adesso, una boutique d’abbigliamento. Poster di una sgangherata, straordinaria epoca che mai più sarà. “Trentatré anni, la stessa età di Gesù. Grazie Hilly. Grazie a tutti. Buonanotte” esclamò Patti Smith durante l’ultimo concerto in loco. E aggiunse: “Il Cbgb è uno stato d’animo”. Ma tanto i vecchi punk non muoiono mai, si trasferiscono solo al piano di sopra.

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