Al Giro sputerò il rospo di Sappada


Si torna a respirare aria di maglia rosa e salta subito fuori il nome di Visentini, uno dei più seri candidati italiani alla vittoria. Non ha ancora digerito del tutto il rovescio che Roche gli ha imposto e prepara la rivincita. Ha studiato anche il percorso dei mondiali e fa un pensierino alla maglia iridata 

di Ermanno Mioli 
Bicisport n. 4, aprile 1988 

PALERMO – Roberto Visentini ha dimenticato quel pasticciaccio brutto di Sappada? Oppure il dirompente effetto della bomba Roche potrà rovinargli anche questa stagione? Recenti dichiarazioni ufficiali hanno mostrato un Visentini rilassato, mite, propenso se non al perdono, all’indifferenza. «Roche? Non è più un problema, lo ignorerò» aveva detto al Circolo della Stampa di Milano durante la presentazione della squadra. «Correrò per vincere io, non per far perdere lui». Ma il ritorno all’attività agonistica ha già arruffato la criniera del leone. La conversazione, avuta in un intervallo delle corse del sud con un Visentini oltretutto tranquillo, ossia non caricato da provocazioni o stimoli negativi, ci ha dato l’impressione che il “chiodo Roche” ce l’abbia sempre ficcato in testa. L’ansia di rivalsa, i propositi punitivi potrebbero, insomma, mandare in tilt i suoi complicati meccanismi nervosi. Sarà bene evitargli, il più possibile, il contatto… 

Cominciamo da lontano, dall’inverno, che per un tipo irrequieto come Roberto è un periodo di grosse tentazioni e probabilmente di qualche “caduta”. 

- Come hai trascorso, l’ultimo inverno? 

«Lavorando di più. Andavo in bici già prima della vacanza in Thailandia. Al mio ritorno non sono stato certo in clausura, ma ho fatto una buona preparazione sia sui pedali sia in montagna, a Ponte di Legno. Dove ho sciato tanto non solo per divertirmi, ma in funzione dell’attività ciclistica. Mi ha seguito il maestro Lorati che è forse il più bravo istruttore federale. Abbiamo fatto un grosso lavoro di potenziamento muscolare. La condizione è buona, ma lo è per tutti: con un inverno così mite nessuno deve aver smesso di andare in bici». 

- In montagna hai avuto modo di riflettere, di analizzare la vicenda Roche, anche gli errori commessi. È opinione di molti che quel giorno di Sappada e anche dopo ti sia “rovinato” più da solo che per colpa di Roche. E c’è chi dice che i piani e gli impegni del mattino sarebbero saltati perché eri un po’ in crisi. In effetti non possedevi la forma smagliante dell’anno precedente. Si era visto anche in Romandia… 

«Quel giorno non ero affatto in crisi. Ci sono andato dopo, trovandomi da solo a cercare di rimediare alla “bidonata”. Lui, invece, pur con l’impegno di non attaccare, aveva già preso accordi con Anderson e altri… In Romandia mi ero solo preparato. Avevo poi dimostrato, col cronoprologo, con la prova del Terminillo, con San Marino, di essere in buona condizione per vincere il Giro». 

- Quando ne hai parlato, qualche mese dopo, con Roche non hai chiarito la vicenda, non hai avuto ancora spiegazioni? 

«Non ne ho mai più parlato. Perché io, quello e il suo meccanico-direttore sportivo [Patrick Valcke, nda] nemmeno li saluto. Altro che pace. Quelli hanno una doppia faccia. Basta pensare che quando Roche diceva che era ammalato, correva invece circuiti con una bicicletta di un’altra marca e una maglia diversa. C’è una causa in ballo e il signor Roche rischia di correre per niente questa stagione, con tutti i soldi che dovrà pagare». 

- Quando vi siete incontrati, quando lo incontri, non ti senti, come dire, a disagio? 

«A disagio, io? Sono loro che mi schivano, che si sentono in colpa. Ma io no, io posso andare a testa alta. Sono sempre convinto del tradimento, e io non perdono. Chi sbaglia, paga». 

- Non sei evangelico… Se non metti una pietra sopra, il nervosismo tornerà a danneggiarti. 

«Non mi sembra che il Vangelo tratti bene chi tradisce. Loro hanno la faccia da angioletti, ma sono diavoli. Ho letto quel che ha dichiarato Valcke proprio a Bicisport. Ma io mi rifarò, sicuro, in un modo o nell’altro». 

- La “Carrera” risentirà della mancanza di Roche, nelle vittorie; i tuoi compagni nelle tasche. E tu, lì, in mezzo? 

«Sarà Roche a risentire la mancanza di uno squadrone come la “Carrera”, senza la quale non avrebbe vinto nemmeno il Tour. Noi abbiamo già collezionato diversi successi senza di lui». 

- Vi incontrerete al Tour e chissà forse anche al Giro. Sarebbe una bella rivincita. La maglia gialla al Tour: hai detto che vai volentieri. È così? 

«Vedremo quali sono le mie condizioni dopo il Giro. Al Tour non ho avuto fortuna. Quest’anno, è più corto. Mi piace. Spero che tutto vada liscio. Intanto non credo che Roche potrà ripetersi. Ci sono corridori come Bernard, LeMond che sembra in recupero, Delgado, lo stesso Herrera. Vincere sarà difficile. Mi basterebbe essere un buon protagonista». 

- Dopo aver vinto il Giro… 

«Certo: quello è il mio obiettivo primario». 

- Non punti a nessuna corsa in linea? Possibile che un corridore del tuo tipo rinunci a qualche “classica” che ti sarebbe congeniale, come la Freccia Vallone; la Liegi-Bastogne-Liegi, soprattutto? 

«Sono fermo in volata e potrei vincere solo per distacco. Oggi ciò è sempre più difficile. Eppoi forse sono mentalmente condizionato. Le gare all’estero non mi piacciono. Non farò nemmeno il “Romandia”». 

- Anche il campionato del mondo è una gara in linea: perché non lo hai mai preso sul serio? 

«C’è sempre stata qualche ragione. Ma ai mondiali, quest’anno ci penso proprio. Anche perché c’è quella salita finale. Ma ho bisogno di arrivarci in piena efficienza. Mi capita sempre qualcosa: cadute, bronchite. Ecco la mia bestia nera è la bronchite. Ho già avuto qualche sintomo in questa prima parte della stagione. Speriamo bene». 

- L’anno scorso non meritasti la convocazione: bisogna impegnarsi a fondo per avere da Martini una maglia azzurra… 

«Nel 1987 non ho snobbato la maglia azzurra, ma ho sbagliato preparazione dopo la sosta. Per voler forzare mi sono stroncato: ho accusato un gran male alla schiena e alle gambe. Non mi sono più ripreso». 

- Come giudichi il nuovo ciclismo? 

«Un gran casino. Troppe squadre, troppi corridori che nemmeno sanno stare in bicicletta; altri corridori che “pagano” per correre dando una “bella” immagine del ciclismo. Eppoi quei circuiti su strade balorde. Lo spettacolo? Se è spettacolo assistere alle cadute, io non ci sto». 

- Non esagerare: si cade anche in rettilineo, fa parte dei rischi del mestiere. Che aumentano sempre perché si corre in un’armata… 

«Non sono contro il circuito finale, se è valido, se è più lungo, se ci sono garanzie di strade adeguate». 

- Manca un dominatore nel 1988, forse addirittura un punto di riferimento, mancando Hinault e Moser. Chi è il migliore attualmente? 

«Non c’è un leader, c’è un gruppetto. Credo che Bontempi e Argentin, se Kelly è quello del 1987, possano trovarsi spesso al vertice dei valori; poi c’è qualche giovane che cresce. Non mi sembra che stiamo peggio di altri e c’è sempre da vedere Saronni». 

- Sarà la tua ultima stagione? Hai già pensato al “dopo”? 

«Se non ho soddisfazioni sarà l’ultima. Altrimenti ne potrò fare anche un’altra. IL “dopo” per me non è un problema. L’aziendina di mio padre tira, sono pronto a inserirmi. Lo sci… beh anche quello, ma come complemento». 

- Hai già trentun anni, non pensi al matrimonio? Vuoi continuare ad essere il “fidanzato di tutte” fino a quarant’anni? 

«Che brutto argomento. Lasciamo perdere. Io ho una ragazza fissa, ma finché corro non mi sposo. Vorrei tanto essere come Tomba, che è sempre allegro, godereccio e non ha problemi. Voglio conoscerlo. Me ne intendo, io, di sci: quello è un cannone. Eppoi mi piace perché ama la vita; dopo la corsa va al night. Un bel tipo. Ma il ciclismo – sospira Visentini è ben più duro dello sci, è tutt’altra cosa. Se fai una mattata, la paghi». 

Roberto sembra parlare con cognizione di causa. 

ERMANNO MIOLI

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