Elano - Nei Blues dipinti di Blumer (2007)

Prototipo del centrocampista moderno e totale, il ragazzo venuto dal Brasile sta vincendo alla grande la sua scommessa più difficile: sfondare (anche) in Inghilterra 

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © - Extra n. 6/50, 11 dicembre 2007

St. Jakob-Park di Basilea, 15 novembre 2006: Svizzera e Brasile si affrontano in amichevole. Kaká segna anche senza averne voglia. Ronaldinho s’infreddolisce per 62’ in panchina e dopo lo scambio delle maglie, sul taccuino lo ritrovi solo per le debordanti maniglie dell’amore. Il resto degli appunti è monopolizzato dalle volate del verdeoro numero 7, un pelle e ossa che da solo ha coperto la fascia destra e retto il centrocampo. 

Nato il 14 gennaio 1981 a Iracemápolis, cittadina rurale dello Stato di São Paulo, Elano (mai registrato come Blumer), quando non dà una mano al padre nei campi da coltivare, cresce (poco: 1,74 x 65 kg) in quelli di futsal. «L’ho praticato fino a 11 anni – racconta – E da professionista mi è servito: impari a dribblare in spazi stretti e a pensare in fretta». La stessa con cui completa, da attaccante, la trafila nelle giovanili del Guarani, club della relativamente vicina Campinas. «Prendevo quattro bus all’andata e altrettanti al ritorno per andare ad allenarmi. Era pericoloso per via delle gang, ma mi lasciavano stare: tutto quel che avevo era il borsone con ciabatte, maglietta e calzoncini, più gli spiccioli per il biglietto». 

Il resto è fornito da madre natura. «È uno dei giocatori tatticamente più completi – ricorda l’amico d’infanzia Rafael Pereira da Silva, difensore ex Messina ora al Fluminense – Se la cava in ogni ruolo. Talvolta tanta versatilità gli ha persino nuociuto, ma vedo che Eriksson, al Manchester City, gli concede ampia libertà». Conquistarla non è stato facile, nemmeno per il prototipo del centrocampista moderno. Elano ha un tiro preciso e potente, specie con il destro, corre e contrasta, è veloce e resistente, recupera e smazza palloni. E segna, specie dalla distanza e su punizione. Ma non è un funambolo, e questo, per ogni ragazzo venuto dal Brasile, pare una pregiudizale, se non proprio un handicap. 

Le prime salite di una carriera mai in discesa arrivano nel 2000, dopo due anni in prima squadra al Guarani. Elano se ne va sbattendo la porta e trascorre il 2001 in prestito all’Internacional de Limeira (nella cui formazione giovanile è il miglior marcatore, 13 gol). Poi va al Santos, nel quale conquista due titoli brasiliani (2002 e 2004, spezzando un digiuno durato 18 anni) e la nazionale. Parreira lo fa debuttare il 7 gennaio 2004 nel Preolimpico, Venezuela-Brasile 0-4 allo stadio Municipal di Conceptión. Lascia la camisa bianca (numero 11) dopo 52 gol in 209 gare, ma a differenza degli illustri compagni Robinho, Diego e Alex, non per big quali Real Madrid, Porto e Werder Brema, PSV e Chelsea, bensì per infoltire la colonia brasiliana (João Batista, Matuzalém e Brandão, cui si uniranno Jadson e Ivan) che sopravvive ai -20 ºC di Donetsk, Ucraìna: 7 milioni di euro al Santos e per lui un quinquennale con lo Shakhtar. 

La mossa lo sistema per la vita, ma gli fa perdere il Mondiale. Dopo il flop-Germania 2006 e l’insediamento del nuovo Ct Dunga, che in lui si rivede, Elano torna nella Seleção da primo brasiliano del campionato ucraìno, vinto nel 2005 assieme alla supercoppa d’Ucraìna. «Pregavo ogni giorno di essere ceduto – racconta Elano – Non posso dire di avere rimpianti, perché avevo questa opportunità e qui ho fatto bene. Ho conquistato il posto di titolare in nazionale quindi non posso dire di aver sbagliato trasferimento. Ma devo avere la testa al posto giusto. Là si gelava. Giocavamo anche con temperature di -15, -20 ºC. Volevo andarmene per ragioni professionali. E familiari». Il cibo, non avere posti in cui andare e per due anni e mezzo, con la moglie Alexandra e la figlioletta Maria Teresa (che oggi ha ventun mesi), un hotel come casa. Quando amici e parenti lo sono andati a trovare, Elano gli detto che «non c’era molto da vedere. Così li ho portati al nostro centro di allenamento, è magnifico». Che nel suo destino ci fosse l’Inghilterra si intuisce dalla doppietta-fotocopia nel 3-0 all’Argentina nell’amichevole di lusso del 3 settembre 2006 all’Emirates Stadium di Londra: un gol per tempo, inserimento dalla destra e diagonale, sul primo e sul secondo palo. I suoi marchi di fabbrica. 

Il 2 agosto 2007 l’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra stacca il terzo munifico assegno della giornata (12 milioni di euro e accordo quadriennale), il settimo della faraonica campagna estiva per regalare al successore di Stuart Pearce l’ennesimo giocatore visionato in dvd. Al City, Elano – cui il approdo in terra inglese porta su qualche media un secondo nome, Ralph, mai avuto – è preceduto dal connazionale Geovanni Gomez, ex Cruzeiro, primo brasiliano in maglia Blues. «Amici e colleghi mi dicevano che il calcio inglese non faceva per me – racconta – E che qui i sudamericani, specie i brasiliani, non avevano fortuna». Gilberto Silva e Edu (Arsenal), Juninho Paulista (Middlesbrough), Emerson Thome (Sheffield Wednesday, Chelsea) e Adriano Basso (Bristol City) ringraziano, ma è pur vero che i flop non erano mancati: l’apripista Mirandinha (Newcastle Utd), l’ex milanista Roque Júnior (Leeds Utd), Kléberson (Man Utd, 9 milioni di euro buttati), Doriva (Boro) e Fumaca (Colchester, Palace e Newcastle). L’avventura oltremanica comincia col botto dopo le 4 presenze nella vittoriosa Coppa America, e un assist nel 3-0 in finale sull’Argentina. Suo anche il servizio che ha portato, al club dell’Upton Park, il primo gol stagionale dei Blues. La sua prima rete nelle Eastlands è arrivata in settembre, gara aperta con la illuminante apertura sulla destra per Ireland (autore del cross per il secco rasoterra vincente di Petrov) e chiusa con la freccia su punizione, dai 25 metri, che si è conficcata nel sette per il 3-1 casalingo sul Newcastle Utd, secondo i tifosi la più bella prestazione del City da quarant’anni in qua. A 2’ dalla fine Eriksson lo toglie per concedergli la standing ovation del City of Manchester Stadium, che per la capacità di dare la scossa a compagni e partita lo ha subito ribattezzato: Electric Elano. Un soprannome, un programma. 

Anche se in troppi si sono sintonizzati sul canale sbagliato: il ragazzo venuto dal Brasile non è un fantasista, né un «nove e mezzo» come i due geniali Roberto che lo svedese ha avuto con sé in Italia. «Ho allenato Mancini e Baggio, Elano è di quella categoria» ha detto Eriksson, cui era stato raccomandato da Dunga, suo pupillo alla Fiorentina. 

Non è vero, ma è come sentirgli dire che, finalmente, giustizia è fatta. 

CHRISTIAN GIORDANO ©
Guerin Sportivo © - Extra n. 6/50, 11 dicembre 2007



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