Nuovo ciclismo e vecchio giornalismo

di Simone Basso, Indiscreto

Vorremmo sorprendervi con effetti speciali sulla Sanremo, ma stavolta – malgrado il Poggio sia vicino – affronteremo la vigilia della Classicissima dei Fiori da una prospettiva differente. Perché, al di là del Giro d’Italia, icona popolare che va oltre il ciclismo e lo sport, il movimento tricolore ha già messo sul tavolo gli assi pigliatutto. 
Le Strade Bianche e la Tirreno-Adriatico, a dispetto dei santi, sono le corse più belle (valore tecnico e scenario complessivo) del Bel Paese pro'. La creatura di Broggi, propaggine extralusso de L’Eroica, non ha paragoni nemmeno nel Nord Europa; difatti, in un decennio scarso, è diventata una preda ambita dai Grandi. Cancellara, Gilbert, Kwiatkowski, Stybar… Il panorama mozzafiato del Chianti, il percorso selettivo (sterrati e rampe), la bellezza medievale, mai banale, di Siena. Un gioiello che riempie gli occhi e che indica la strada per il futuro prossimo.

La Corsa dei Due Mari ha invece stracciato la concorrenza della Parigi-Nizza: unico confronto RCS-ASO nel quale la Rosea prevalga e non di poco. “Quando ho visto che i Fantastici Quattro (Nibali, Contador, Froome e Quintana, n.d.r.) andavano là, la prima cosa che ho detto è stata merda…”. Parole di Christian Prudhomme, patron della Grande Boucle
La varietà dei tracciati, che accontentano tutti (tappisti e classicomani), si accompagna a una partecipazione sontuosa e a una data più vicina al prologo della Sanremo. A rimarcare ulteriormente i disagi della Paris-Nice, scomoda e infida, i 45 ritirati nella penultima frazione verso Nizza, nel cosiddetto tappone. 
La Tirreno è uno spettacolo: arrivi come quello di Arezzo, davanti alla Cattedrale di San Donato, alla stregua del traguardo delle Strade Bianche in Piazza del Campo, uniscono la cifra agonistica con l’immagine turistica e culturale dei luoghi.

Il problema, avendo illustrato le potenzialità infinite delle manifestazioni, è nella mancanza di racconto o nel deficit di preparazione di chi dovrebbe allestirlo. Media generalisti cialtroni, legati a luoghi comuni avvilenti e a un pressapochismo disarmante (a Siena, nella sala stampa, tra una serie di testate straniere, di italiano c’era il solo Corsera!), e un rituale televisivo vecchio e usurato.

Pancani-Martinello al microfono funzionano, le riprese pure (però che si aggiornino le grafiche…), il resto sconcerta. Si parte da lontano, dalle frasi fatte che non convincono più nessuno, a un responsabile Rai che – due estati fa – utilizzava qualsiasi mezzuccio per diffamare la maglia gialla del Tour. D’altronde l’astio verso il Mondo Nuovo (Team Sky in primis), cioè chi ha rinnovato e innovato un giocattolo che pensavamo di nostra esclusiva proprietà, è uno dei pochi leitmotiv che accomuni questo decadente quarto potere.

Un pensionato di Tuttosport, seconda fila di Pantanology (la prima spetta di diritto agli autori dei due libri più deliranti sull’argomento), detta la linea. Il ciclismo che esplora e spiega i territori e le persone, la bici arnese privilegiato di scoperta e divertimento, nonché mezzo che coniuga tecnologia, ambiente e umanità. Ecco, tutto ciò viene a malapena sfiorato, comandano lo stereotipo e il teatrino autopromozionale. Al di là del piccolo mondo antico del ciclismo, colla dipartita sentimentale della Gazza, ormai scaduta a sito di gossip e scommesse, latita un orizzonte culturale – passione e storia – sullo sport in sé. Fanno notizia la grancassa o il superfluo e si smarrisce la funzione proselitrice di certa narrazione giornalistica.

Un esempio, uno solo, che illustri il vuoto di sceneggiatura. Dominik Paris, che a venticinque anni vanta gli scalpi di Streif e Stelvio, il migliore velocista azzurro dai tempi di Ghedina. Gli italiani che non consumano (…) gli Altri Sport, definizione orrenda, da riserva indiana, hanno idea chi sia? Non c’è vita, ed esposizione, oltre i decibel. La tragedia della Muffat e dei suoi amici, in Francia, ha colpito profondamente l’opinione pubblica. Camille, là, non è stata solamente la loro Pellegrini o Kostner, cioè dive loro malgrado, ma una campionessa riconosciuta e rispettata. Per il 2014, L’Equipe ha votato atleta dell’anno Pauline Ferrand-Prévot, una ciclista. Da noi, dopo decenni di sforzi, la riconoscibilità del ciclismo rosa è ai minimi termini. Ci sono ancora pseudogiornalisti, che scrivono sui quotidiani, che irridono quel pianeta.

I transalpini lavorano e promuovono le eccellenze, qualsiasi esse siano: sono gli stessi del Tour de France, del Roland Garros; dell’INSEP che affianca le giovani promesse, di Les Amis de Paris-Roubaix che salvaguardano il pavè rimasto… Fanno sistema, non cricca. O almeno quest’ultima non la ripropongono a ogni piè sospinto, senza vergognarsi. Allora, con un numero di praticanti simile al nostro, può accadere – nel biathlon – di produrre un fenomeno del livello di Martin Fourcade. Deve ancora compiere ventisette primavere ma, settimana scorsa, vincendo l’Individuale iridata – nel santuario bianco di Holmenkollen – ha fugato ogni dubbio. La terza Venti d’oro, sulla scia di Nove Mesto 2013 e Sochi 2014, mezzo secolo dopo l’impresa di Vladimir Melanin. L’ennesima perla di un Campionissimo che sta benissimo in compagnia dell’icona Bjoerndalen, di Fischer, Poirée, Chepikov, Ullrich, ovvero le leggende della disciplina. Bello, arrogante il giusto e vincente: non ha bisogno di un (ex) fidanzato dopato o di una pubblicità dello shampoo per diventare un personaggio pubblico.

Due pallini, slegati ma non troppo, per chiudere in bellezza. 
All’ultima Vuelta, gara di scorta (…) per eccellenza, scrivemmo che la caduta di Nairo Quintana aveva falsato le prospettive tattiche del confronto. Vedendo il Condor verso il Terminillo, nella bufera, riformuliamo il concetto: non capiamo perché Nibali, al contrario di Contador, abbia impostato il 2015 solo sul Tour. Vabbè il caos e il pavè della prima settimana, ma in una Festa di Luglio del genere, col finale zeppo di salite, la maglia rosa 2014 e Froome dove li stacchi? Quintana, testa a testa su pendii che permettono rapporti medio-lunghi, piano piano ti corca: ha il cambio di ritmo, non lo scatto (che presuppone un’andatura controllata), per stroncare la concorrenza. L’unico con quelle caratteristiche, ma un approccio tecnico opposto, è il keniano bianco; uno che frulla il rapportino a velocità impossibili per gli altri.

Epilogo classico di una Parigi-Nizza, tosta, sul Col d’Eze: cronoscalata che, dal 1968 con alterne fortune, ha visto il meglio di sempre (Merckx, Poulidor, Zoetemelk, Kelly, Roche, Rominger, Bernard, Wiggins...) sul suo tracciato. Domenica ha stravinto un eccellente Richie Porte. Annotiamo la trentacinquesima e la trentaseiesima posizione, a nemmeno due minuti, di una coppia di velocisti “resistenti”: Alexander Kristoff e Lars Boom. Attenti, non solo in prospettiva via Roma, ai due energumeni.

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