Tour 2015: brava Amaury, ma basta

di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 28 luglio 2015

Meritato bis di Chris Froome alla Grande Boucle: edizione che annunciammo tosta e complicata, alla prova della strada ancor di più. Un bel Tour de France, di sicuro troppo monodico (e duro) per questo evo del ciclismo professionistico. Ma, in fondo, l'Amaury è come un dittatore: ha sempre ragione.

IL GIORNO DELLA MARMOTTA
Curiosa la fotografia del podio sui Campi Elisi, quasi identica a quella del 2013. I due scherzi della natura, i più forti corridori da Grandi Giri, l'anglo-keniano pallido in giallo, l'indio colombiano Nairo Quintana in bianco e uno spagnolo di lungo corso in terza posizione.
Un paio di anni fa fu Purito Rodriguez, stavolta Alejandro Valverde, a suggello di una carriera controversa quanto gloriosa. All'Alpe d'Huez, dopo il traguardo, piangeva commosso.

IL PRINCIPE RANOCCHIO
Froome è stato l'unico dei pretendenti, nell'incipit affiancato dal solito Alberto Contador, ad aver fatto corsa di testa fin dai Paesi Bassi. Gli altri, i Movistar soprattutto, hanno vissuto di rendita, della scrematura passiva giorno dopo giorno.
Formidabili per la continuità, e la lucidità tattica, i neroblù del Team Sky: corrono tutti una staffetta per il loro capitano Froome; prima Geraint Thomas e Stannard, poi Roche, Poels e Porte.
Il freak britannico assesta il montante decisivo - in faccia agli avversari - sulla prima salita dei Pirenei, a La Pierre-Saint-Martin, nella canicola, in un dì perfetto per esaltarne le doti.
Il resto è conservazione del primato col Metodo Indurain (regalie e permessi di fughe) e un calo fisiologico accentuato da due fattori: il miglior scalatore al mondo, Nairo Quintana, e una fastidiosa bronchite.
D'altronde, sottile al pari di un fuscello, pelle e ossa, basta poco. Vabbè i wattaggi e le frequenze di pedalata ma è la testa - durissima - di Froomey a sorprendere.
Nel bel mezzo di un caos senza senso, le pressioni, la gara pancia a terra, la folla, i media, gli insulti, il nostro sembra possedere una motivazione speciale.
E' lo stesso sconosciuto che, nel 2006, mica mezzo secolo fa, si presentò ai Mondiali di Salisburgo come capo di una delegazione - il Kenya - con solo un atleta: lui.
Che smarrì, a piedi - trascinando con sé le sacche con le bici - sotto un temporale, la via del bed and breakfast prenotato.
Oggi, milionario, perfeziona una dieta esigentissima: aboliti i cibi col glutine, le verdure vengono assunte tramite frullati, sorseggia un beverone ultraproteico (banana, avocado, kiwi, latte di mandorla) pasteggiando con succhi di carota e barbabietola rossa. Alla mattina, per colazione, zuppa d'avena, riso e frittata. E poi la respirazione diaframmatica a mo' di mantra. Un regime folle, pure negli allenamenti, che Bradley Wiggins ha retto per qualche tempo prima di scoppiare. 

I GIORNI DEL CONDOR
Nemmeno strano che i rivali del Tour 2015 siano in ottimi rapporti, addirittura amici, e condividessero il rituale dei rulli di defaticamento post-gara.
Nairoman ha in comune con Froome la provenienza ciclistica: Terzo o Quarto Mondo, scegliete voi, lontani dalle terre tradizionali di questo sport.
Quintana arriva dalla fame vera, al contrario di Chris che è d'estrazione borghese: a La Concepción,  nella Boyacá, cominciò con la bicicletta - una mountain bike di seconda mano - per raggiungere la scuola. Trentadue chilometri, andata e ritorno. 
Il colombiano, nell'epilogo alpino, procedeva in salita con una levità ammirata raramente; Lucho Herrera 2.0, freddo, calcolatore, si è reso conto tardi della situazione favorevole.
Pensiamo abbia imparato la lezione e che, controllando la data di nascita, e se l'Amaury proseguirà a disegnare Tour con tante ascese, la metterà in pratica nel prossimo lustro.

FESTINA BOY, IL PRICE TAG E CORINNA 
L'analisi delle VAM e di tutto il resto, a metà tra la scienza e l'incoscienza, è la passione di questo evo ipertecnologico. Si danno i numeri (...).
L'evidenza racconta altro, per esempio di una competizione decisa da un ventaglio nella Zelandia.
Malgrado un Tour con cifre abbastanza mediocri, il super Quintana sull'Alpe - in una frazione di appena 110 km - ha fatto registrare il ventitreesimo tempo di sempre, l'approccio colla maglia gialla è stato brutale.
Processo in piazza con proposta di rogo, la gogna: in Francia, in prima fila, il "Festina Boy" Antoine Vayer (@festinaboy) e il quotidiano Liberation. La fisiologia sportiva non ha certezze, ma implementare dogmi permette una posizione di rendita: invece modificare i testi sacri costa, se poi le scoperte sono da riconoscere ad altri...
Allora qualcuno, sull'asfalto, magari dopo aver prosciugato la riserva di alcolici, si sente in dovere di punire il robot in giallo. Il Price Tag delle salite sulle Alpi si concretizza in un cretino, italiano, che sputa addosso a Froome. Scenette tristi, che riportano alla memoria certi Giretti a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta: forse il nipotino di un Moseriano di quegli anni ruggenti, quando si prendevano a ombrellate i Baronchelli e si insultavano e colpivano i Visentini e i Fignon.
D'altronde, ad assistere ai salotti della Rai durante la "Festa di Luglio", l'impressione era la stessa del circo a tre piste di "Boris".

DON VINCENZO E VINO
Avevamo previsto un'ultima settimana più gagliarda da parte del vincitore 2014: Vincenzo Nibali riscatta una Grande Boucle così così nella Saint Jean de Maurienne-La Toussuire.
Un assolo di cinquanta chilometri, esaltante, che giustifica (parzialmente) un anno disastroso, passato a rincorrere la concorrenza e la gamba giusta.
Il siciliano e il suo gruppo vivono separati in casa in una squadra, l'Astana, comandata da un giemme - Aleksandr Vinokourov - padre padrone. Lo Squalo, per la seconda (e ultima) parte della carriera, dovrebbe rivolgersi ad altri lidi (la Cannondale-Garmin?) magari rinunciando a qualche soldo, in cambio però di una programmazione più libera. 
Nel futuro prossimo, fine agosto 2015, si racconta della Vuelta in condivisione con i rampanti Fabio Aru e Mikel Landa (radioplotone dà il basco nel 2016 al Team Sky, come l'iridato Michał Kwiatkowski : ne vedremo delle belle, stile Le Vie Claire 1985-86...).
LA CADUTA DI THOMAS, QUEL FENOMENO DI SAGAN, L'ORGOGLIO DI FRANK E I GIOVANI
Il 20 luglio, verso Gap, scendendo dal Col de Manse, una picchiata pericolosa (per referenze chiedete a Joseba Beloki), il promettente Warren Barguil sbaglia una curva e travolge l'ignaro Geraint Thomas, che scivola in un fosso dopo aver sfiorato, colla testa, un palo di cemento: per fortuna, dopo qualche secondo di terrore, il gallese emerge dal bosco e risale sulla Pinarello.
Un dottore, per assicurarsi della sua lucidità, gli chiede il nome. La risposta - "I'm Chris Froome!" - depone a favore del tipico umorismo britannico.
Thomas è un campione, nel 2015 è sempre stato davanti: dalla Volta ao Algarve al Tour de Suisse, passando dal trionfo di Harelbeke, la sua versatilità (figlia di un eccezionale curriculum da pistard) ha pochi paragoni.
Peter Sagan, quarta maglia verde in fila, è l'esempio massimo dell'universalità contemporanea: non vince una tappa in Francia dal 2013 ma deborda e strabilia ovunque. Uno spettacolo: fuggitivo, sprinter, discesista, gregario del "Pistolero" Contador. Chissà che al mondiale di Richmond riesca a sfatare il sortilegio nei grandi appuntamenti.
La Svizzera, nel suo microcosmo, aspetta di far passare il tempo tra "Spartacus" Cancellara e Stefan Kueng; il Tour di Mathias Frank, ottavo nella generale, vale tantissimo e non solo per la IAM Cycling.
Il lucernese è stato un cagnaccio indomabile, in attacco (il golpe riuscito a Pra Loup) e in difesa, irriducibile nell'elastico col plotoncino dei ras. Se poi non avesse trovato un connazionale deficiente nella baraonda de l'Alpe d'Huez, che inavvertitamente gli ha messo una bandiera rossocrociata nella ruota facendolo cadere, avrebbe fatto ancora meglio.
Delle giovani rivelazioni, al di là delle classifiche, segnaliamo il ventitreenne lussemburghese Bob Jungels, potenzialmente un fuoriclasse completo, e l'imberbe eritreo (ventuno anni!) Merhawi Kudus, entrambi mai a disagio nel cuore della contesa. Se son rose...

TITOLI DI CODA, ARRIVEDERCI A MONT SAINT MICHEL
Nel pomeriggio parigino, in attesa dei sopravvissuti del Tour, si è disputata - sotto l'acquazzone - La Course femminile, una kermesse extralusso del ciclismo rosa.
Una straordinaria Anna Van der Breggen, reduce dal vittorioso Giro d'Italia, si è aggiudicata la competizione con una sparata di seimila metri. Un po' Van Moorsel, parecchio Tiemen Groen.
Ci si chiede sempre perché l'universo donne continui a essere ostracizzato dal circuito che conta. E' uno dei problemi che riguardano l'avvenire del movimento, egemonizzato - finanziariamente e politicamente - dall'Amaury. Che dispone di ogni cosa, trattando l'interlocutore di turno (le squadre, gli atleti, le Federazioni) come sudditi. Allora, alla Grande Boucle, per massimizzare i guadagni, si può sbattere il personale nelle stamberghe più infami. 
Il Contador di turno in un albergo senza aria condizionata, nel Midi: trentacinque gradi in camera. 
Hai voglia a magnificare l'esposizione dei marchi, l'internazionalizzazione dell'ambaradan, ma un sistema che arricchisce a senso unico gli organizzatori, anzi l'ASO, è privo di logica.
Perché sborsare decine di milioni di euro per partecipare al World Tour quando, alla prova dei fatti, alle formazioni non restano che le briciole dei diritti televisivi e d'immagine?

Nel contesto brilla, per l'assenza, l'UCI; ormai vaso di terracotta al cospetto del vaso di ferro chiamato Tour de France, che - lo predimmo lo scorso autunno - si è inventato un percorso tecnicamente stupido senza pagare pegno. Meglio un tracciato con meno arrivi in salita, stucchevoli, ma almeno un paio di tappe di montagna con chilometraggi prossimi o superiori ai 200 chilometri. Disegni che favoriscano una selezione naturale, non l'incertezza e l'immobilismo tattico: per assurdo, quest'anno, ci si è divertiti maggiormente nelle cosiddette frazioni intermedie, quelle sì bene ideate.
Nel menù deve tornare una cronometro individuale importante: la classifica allungata, con i distacchi pronunciati, invita all'agonismo, agli attacchi, di chi è rimasto indietro.
In sintesi, la Vuelta de Francia non ci piace. Comunque vada, l'appuntamento - ultrasuggestivo - per il 2016, è nel dipartimento della Manica, dall'isolotto di Mont Saint-Michel diretti a Utah Beach, laddove (nel 1944) sbarcarono gli americani. Sono maledettamente bravi quelli di Amaury...
Pubblicato il 28 luglio 2015 da Il Giornale del Popolo

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