FOOTBALL PORTRAITS - Drogba, il DD-Day è arrivato (2006)


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Il grande giorno è arrivato. Con la tripletta al Levski Sofia in Champions League, l’Europa ha scoperto quello che il mondo sapeva già: il centravanti ivoriano è un fuoriclasse assoluto

di Christian Giordano, Guerin Sportivo (2006)

Spendere 45 milioni di euro e scoprire che uno Shevchenko ce l’avevi in casa. Può capitare se ti chiami Roman Abramovich e destate ti viene luzzolo di spenderne 133 per toglierti lo sfizio di vestire di Blue Ballack e Kalou, Mikal e, appunto, quel gioiellino che parla la tua stessa lingua, e che la coppa dalle grandi orecchie lha già alazata col Milan.

E pazienza se per fargliela alzare col club che ti sei comprato a Stamford Bridge devi strtavolgere la squadra che ha già vinto due Premier League consecutive e sacrificare lo Sheva di due anni fa, Didier Drogba, che di miloni di euro ne costò pochi di meno, 37.5, e che, dicevano i maligni, era bravo, sì, ma non abbastanza da farti vincere la Champions League. 

In fondo è sempre andata così a Tito, come lo chiamava la mamma a Yop. Yop sta per Yapougon, quartiere popolare alla periferia sudovest di Abidjan, la capitale economica della Costa dAvorio (quella politica è Yamoussoukro).

Una storia come tante la sua: giovane talento africano lascia la sua terra – meglio se dilaniata dalla guerra civile, dicono faccia vendere – per cercare fortuna nel Paese che di quella terra fu, e magari è, colonizzatore: un film già visto. Stavolta con un asso nella manica: il ragazzino sarà forse squattrinato, ma non sprovveduto. È figlio di bancari, e conosce bene il copione, colpi di scena compresi, perché già interpretato e con buon successo dallo zio Michel Goba, discreto centravanti (fortissimo di testa, come il nipote darte) della seconda divisione francese (a Brest, Angoulême e a Dunerkque) e della nazionale ivoriana negli anni Ottanta.

Nato l’11 marzo 1978, Didier arriva in Francia a cinque anni. Goba, allora professionista con il Brest, lo tiene con sé per tre anni e poi ne seguirà tutta la carriera, dai pulcini a Stamford Bridge. «Sono cresciuto guardando mio zio Michel e i suoi video di Marco van Basten – dice Drogba – Era il più completo e il mio idolo, anche se quando ero ragazzino era mio zio il calciatore che ammiravo di più. Quando ho cominciato lui voleva essere sicuro che sapessi bene in che “guaio” mi stavo cacciando, e una volta capito che facevo sul serio, ha fatto tanti sacrifici per vedermi arrivare. È stato lui ad aiutarmi ad ottenere il mio primo contratto professionistico, al Le Mans. Gli devo tutto».

Goba sarà presente anche al primo match di Didier con la maglia dell’Olympique Marsiglia, anch’essa finita nella sua ricca collezione. Già, le maglie, contiamole perché non sono poche: da Dunkerque a Vannes, passando per Abbeville e Tourcoing, queste le prime tappe del tortuoso viaggio che ha portato Drogba verso Marsiglia. Lungo il percorso, oltre alle divise, il giovane talento cambia anche ruolo. Agli esordi, gioca da terzino destro, ma questo non gli impedisce di spingersi in avanti e di segnare. Nel farlo però mostra ancora qualche riserva fino a quando, ai tempi di Abbeville, compie il grande passo e “decide” di diventare attaccante. Segna molto, Didier, ma poi, a Tourcoing, la situazione torna a capovolgersi. In rosa gli attaccanti sono tanti e in più, se c’è qualcosa che non gli garba, il Nostro è uno che non le manda a dire. All’inizio prova a giocarsela ma poi molla. «Ne ho sofferto – ammette – La rotazione degli efffettivi c’era ma io non seppi approfittarne». Le conseguenze per la sua carriera avrebbero potuto essere devastanti: Drogba aveva ormai 15 anni e all’improvviso, in piena crisi adolescenziale, decise di lasciar perdere. Sul calcio aveva investito tutto. Studi interrotti al quarto anno di scuola superiore e ora davanti a una strada che appariva senza uscita, non se la sentiva di continuare. Addio sogni di gloria? Per un anno soltanto, perché «senza il calcio io sono nulla». Infatti, la stagione seguente ci riprova da attaccante a Levallois, dove muove i primi passi nel calcio vero. Lì Didier viene immediatamente messo sotto le cure di Srebencko Repcic, ex nazionale jugoslavo e allora direttore tecnico del club. Drogba dimostra subito la serietà delle prooprie intenzioni. «Nonn andava al night la sera prima delle partite come invece facevamo i suoi compagni – ricorda Repcic – Era un tipo molto sensibile». E di gran talento, pure. Presto i campetti di quellarea di Parigi diventano il “suo” terriotorio.Diventa la stellina della squadra Under 17, allenata da Christian Pornin. In due stagioni (1994-95 e 1995-96), il giovane centravanti segna trenta reti e la stagione dopo viene aggregato alla prima squadra, allenata da Jacques Loncar e militante in seconda divisione. 

Spinto dai dirigenti il ragazzo-prodigio che in CFA (il campionato dilettanti) segnava parecchio e in modi sempre più spettacolari, fa domanda a vari centri di formazione (come oltralpe chiamano i settori giovanili). Gli risponde il Rennes, ma una raccomandazione – in senso buono – di Loncar gli fissa un provino all’En Avant Guingamp. È il 1996-97 e il sogno che pareva realtà («rimanevo incantato nel vedere da vicino giocatori del calibro di Vincent Candela o Stéphane Carnot…») rischia di trasformarsi in incubo: «Una frattura a un alluce e finii presto nel dimenticatoio». Didier continua lapprendistato, comprese le lezioni per lui più dure, come imparare ad avere pazienza, e a rispettare le decisioni dellallenatore specie quando non le condividi. Anche se per Repcic, era «il migliore nella squadra», non aveva la completa fiducia del tecnico e si ritrovò a scaldare la panchina pwer gran parte del tempo. Giocò appena dieci minuti in seconda divisione , ma riuscì lo stesso a segnare contro il Fontainebleau. Nonostante lo scarso impiego sul terreno di gioco, le voci cortrono e al giovane attaccante si interessano Guingamp, Le Mans, Lens e Paris Saint-Germain, che lo seguono da vicino.

La trama di cui sopra prevede nuovi e imprevedibili sviluppi. Stavolta è Parigi (PSG) a farsi viva, ma se per il resto del mondo la capitale vale bene una messa, lui alle luci e al fascino della caotica capitale preferisce la tranquillità di Le Mans, 150 mila anime raccolte nella terra dei celebri castelli, la valle della Loira. Il paesone, famoso per le grandi officine di una nota casa autombilistica e soprattutto per il vicino autodromo dove si disputa – dal 1923 – la storica “24 ore”, ha le dimensioni e il club giusti per lanciarlo ai massimi livelli. «Mio zio non aveva la scorza adatta per Parigi», sorride al ricordo Didier. Subito dopo la proposta parigina, sfumata anche per via di quella frattura a un alluce occorsagli contro il Caen, si fece avanti – su segnalazione di Loncar - il Le Mans, allenato da Marc Westerloppe, il quale seppe subito toccare le corde giuste: «Sapevo che aveva le doti per diventare un attaccante di livello mondiale – dice Westerloppe del suo pupillo – Aveva tutte le qualità di cui una punta ha bisogno: gran tocco, lo scatto fulminante e il fiuto per trovare la porta, ma a frenarlo era la scarsa fiducia in se stesso. Era uno di quei giocatori che maturano tardi». Anche fisicamente. Didier era arrivato a 1.86 x 74 kg, una montagna d’uomo dalla coordinazione straordinaria «Se non fosse stato per Marc probabilmente non sarei qui oggi – dice l’allievo prediletto riferendosi al proprio mentore – Mi ha insegnato tanto, non solo sul calcio, ma anche sulla vita fuori del campo. Mi ha fatto capire che le due cose inestricabilmente legate. Mi ha insegnato a non tirarmi mai indietro sul terreno di gioco, a non buttarmi, a non simulare». Sul tema, però, delle due l’una: o Westerloppe e il suo vice, Alain Pascalou, non hanno fatto un gran lavoro – improbabile, visto che da una gemma grezza, hanno tagliato un diamante – o Drogba, nello specifico, non è stato uno studente modello perché Didier predica bene e razzola malissimo. Ci arriveremo. A 19 anni, intanto, era finalmente un calciatore professionista, anche se con un contratto da apprendista.

Il Le Mans poteva essere il definitivo trampolino di lancio verso la grande ribalta, ma anche lì, nei due anni da di praticantato, non tutto fila per il verso giusto. Il giovane virgulto fatica a sbocciare: 2 presenze nel secondo anno, il 1998-99, 30 (con 7 gol e il contratto da pro finalmente firmato) nel 1999-2000 e soltanto 11 (senza reti) nel 2000-01. Il computo delle fredde cifre non tiene però conto di alcune cosette mica da ridere: infortuni, paternità, il rapporto, mai nato, con Thierry Goudet, il successore di Westerloppe sulla panchina del Le Mans. 

«Ero spesso infortunato (quattro fratture: due a un metatarso, a una fibula e a una caviglia, ndr) e non sempre seguivo i consigli dei tecnici» si giustifica senza cercare scuse il futuro marsigliese. In più, in quel periodo nacque Isaac, il primo dei suoi due figli. «Fu il punto di svolta della mia vita. Misi la testa a posto».

Ma le prestazioni della squadra nel 2000-01 non soddisfano le aspettative dei dirigenti. A Westerloppe subentra appunto Goudet e nel frattempo, con Drogba in infermeria già dal precampionato, in avanti stava giocando bene Daniel Cousin, che si era conquistato la fiducia dell’allenatore. Quando Didier torna in squadra non lo fa più al centro dell’attacco bensì all’ala. Gli zero gol in 11 presenze di cui sopra non sono un caso. La stagione seguente, i 5 in 21 gli valgono il redivivo interesse del Guingamp, dove aveva sostenuto un provino nel 1998. In cerca di un centrtavanti in seguito alla partenza di Fiorèse alla volta del PSG e dellinfortunio di Guivarc’h, la dirigenza della squadra si rivolse sul giovane africano. Nella finestra di gennaio 2002, alla veneranda età di 24 anni, Drogba lascia Le Mans per la sua prima esperienza in Ligue 1.

Il vento comincia a soffiargli alle spalle quando a mettergli gli occhi addosso è Guy Lacombe, allora responsabile tecnico del Guingamp, club di prima divisione. «Convinsi i dirigenti del Le Mans a lasciarlo libero in gennaio – ricorda il futuro tecnico del Sochaux e oggi mago del Lione che a Drogba telefona a tutte le ore per convincerlo ad andare all’OL – Dissi loro che avrebbero fatto meglio a venderlo subito, sennò lo avrei avuto gratis sei mesi dopo, da svincolato». 

A questo punto il cronista attaccherebbe con un classico: fiutando l’affare, Lacombe decise di bruciare tutti sul tempo e… «Non proprio – precisa Lacombe – Ero il solo col presidente Aubert a volere Drogba, in quelmomento. Ed entrambi ci siamo giocati la testa». Nei suoi primi 11 match in Ligue 1, fino al giugno 2002, Drogba segna “solo” tre volte. La testa di Lacombe e quella del suo presidente sembrano in pericolo, ma i fatti avrebbero dato loro ragione. «L’affare l’avevo fiutato sin dal primo giorno di Didier a Guingamp – s’infervora Lacombe – Che ci crediate o no, era troppo forte per la L2, troppo tecnico. È raro che un giovane non necessiti di quel genere di tappa di avvicinamento, eppure per lui è andata così. Non aveva più niente da imparare a quel livello, solo da perdere». Il seguito è storia: di lì in poi la sua vita e quella del club bretone non sarebbero più state le stesse. 

Acquistato più che altro come cambio per i più quotati Bardon, Saci o Eloi, la stagione 2002-03 è esploso e con lui il piccolo Guingamp (settimoposto in campionato e qualificazione per la Coppa Intertoto) di Bertrand Marchand, l’allenatore che ha saputo dargli fiducia e valorizzarlo: 17 gol in 34 partite di L1, terzo cannoniere dietro Shabani Nonda (26), congolese allora al Monaco e futura meteora romanista, e Pedro Pauleta (23), centravanti della nazionale portoghese ai tempi al Bordeaux, ma davanti a grossi nomi come Henry Camara, senegalese del Sedan e Djibril Cissé dell’Auxerre, entrambi a 14.

Al Guingamp, Didier faceva coppia con Florent Malouda, centrocampista mancino veloce e versatile capace di giocare su tutta la fascia sinistra, alle spalle delle punte e persino da attaccante esterno. Proprio in quest’ultima veste, nel 2002-03 ha formato con Drogba uno degli attacchi più prolifici della Première Division: 27 gol in due. Inutile dire che insieme in Bretagna non potevano rimanere a lungo. Drogba ha provato a portarselo al Marsiglia, ma alla fine Malouda ha preferito l’Olympique Lione. Dider invece non ha avuto tentennamenti: «Non appena il Marsiglia ha fatto capire di essere interessato a me, avevo già deciso. Ho tifato per loro così a lungo, è sempre stato il mio sogno indossare la maglia con la famosa striscia bianca» (presente, nello stemma sociale, sotto la scritta “Droit au but”, che vuole dire “dritti all’obiettivo” ma anche “al gol”, in francese “but”, ndr).

Sulla scia di quella straordinaria annata, per averlo si aprì un’asta che neanche da Christie’s. PSG, Inter, Milan e Juventus (ai tempi l’addio a Trézéguet pareva certo) lo inseguivano ma non concludevano. Al Lione piaceva per sostituire nientemeno che Sonny Anderson, giunto a fine contratto e sicuro partente. Il Monaco dellultima gestione Jean-Louis Campora presidente da 28 anni lo voleva ma non poteva permetterselo: 53 milioni di euro di deficit, e in Francia queste cose le prendono sul serio. Il Marsiglia vedeva in lui il fromboliere inseguito dai tempi dell’addio di Papin e alla fine, per 6 milioni di euro, lo prenderà prima che il giocatore, pur innamorato dell’OM, cedesse alla tentazione di attraversare la Manica. «Quando guardo in tv la Premiership mi rendo conto che il calcio vero si gioca lassù» aveva dichiarato con convinta ammirazione. Alla (retorica) domanda «Che cosa farebbe Didier in Premiership?» ecco l’interessato parere del suo procuratore inglese, Willie McKay: «Sfracelli. È un incrocio tra Nicolas Anelka (possente centravanti francese allora al Manchester City, ndr) e Frédéric Kanoute (flessuoso attaccante maliano all’epoca al Tottenham Hotspur, ndr). Ed è proprio in Premier League che in tempi non sospetti McKay aveva cercato di piazzare il proprio assistito. «Nell’estate 2003 – prosegue – avevo preso contatto con otto club europei, consigliando loro di prenderlo al volo, ma non mi diedero retta. O meglio: diversi osservatori andarono a vederlo dal vivo, ma quando si è trattato di mettere mano al portafoglio, hanno esitato troppo. Mi riferisco in particolare al Southampton, che ha offerto un milione e mezzo di sterline. Se avessero capito di che razza di campione si tratta, non avrebbero offerto una cifra così ridicola». 

Passi per il parere dell’agente, ma che dire dell’appassionato giudizio espresso proprio da Jean-Pierre Papin, uno che nel “clan dei marsigliesi” ha sempre voce in capitolo? « È già fortissimo – attacca il disco JPP – e ha ancora enormi margini di miglioramento; se continua così finisce al Real Madrid». Quasi a voler dimostrare l’assunto secondo cui un campionissimo non è tale se prima o poi non indossa la celeberrima camiseta blanca delle Merengues, proprio al Santiago Bernabéu l’ivoriano si metterà in mostra siglando, al debutto in Champions League, l’illusorio vantaggio dei transalpini, poi inevitabilmente travolti (4-2).

Dopo quella batosta, che pure sul piano tecnico ci stava eccome, lo spogliatoio si ribellò alleccessiva prudenza tattica ma soprattutto ai modi inurbani del tecnico Alain Perrin. Il portiere titolare Vedran Runje, dalmata duro e puro, pagherà per tutti con il declassamento il panca e larrivo del cavallo di ritorno Fabien Barthez, ma alla fine anche Perrin prenderà atto (e il ritardo gli costerà il posto) che la forza di quel Marsiglia era l’attacco. La coppia Drogba-Mnido, bocche da fuoco agili e potenti e dotate di otttimi piedi, in Europa ha pochi eguali. È una gioia giocartgli accanto – dice Didier dell’egiziano transfuga all’Ajax via-Celta Vigo – Ha un talento eccezionale ed è bravissimo a saltare l’uomo per poi lanciare i coimpagni. E se non bastasse cè anche il redivivo Steve Marlet, che a differenza del giovane russo Dmitri Sychev, tornato in patria al Lokomotiv Mosca, ha saputo aspettare la propria occasione. 

Come gli era capitato ai tempi di Troyes il 47enne Perrin, abile PR di se stesso, ha cercato di fare di un problema una opportunità, ma stavolta il giochino non ha funzionato e così, dopo averlo difeso a oltranza – a costo di qualche diverbio con il diretto interessato – il presidente Christophe Bouchet si è visto costretto a sostituirlo con José Anigo, responsabile del settore giovanile ed ex giocatore del club.

Dopo il grande avvio di stagione, il Marsiglia aveva tirato il freno. Drogba no. Di tempo l’ex stella del Guingamp ne aveva perduto fin troppo e ora, quasi 26enne, fiinalmente arrivato al top, avrebbe fatto di tutto per restarci. La doppietta al Nizza in campionato, la tripletta contro il Partizan Belgrado (3-0) in Champions League: tutto sembrava andare per il meglio. Anche azzardando un pizzico di pessimismo o, peggio, di velenoso spirito anti-OM, sempre presente nell’Esagono, chi poteva immaginare il blackout marsigliese? Nessuno. Figuriamoci luomo che dopo un anno e m,ezzo in prima divisione vantava 20 gol in 45 partite; che in questo scorcio di stagione era andato a segno 15 volte in L1 e 5 in Champions League, capocannoniere alla prima prima partecipazione.

Nominato da France Football, giocatore straniero della Ligue1 2002-03, Drogba è in corsa per il titolo di Giocatore africano 2003 (la premiazione è stata rimandata al 30 aprile a Yaoundé, in Camerun). Nessun ivoriano ha mai vinto quel titolo, potrebbe riuscirci lui ma dovrà vedersela con i favoriti Samuel Eto’o, centravanti camerunese del Real Maiorca, e Augustine “Jay Jay” Okocha, trequartista nigeriano del Bolton Wanderers, i candidati rimasti dopo l’ultima scrematura dei cinque finalisti. La stagione era partita a gonfie vele, ma dopo l’1-4 incassato allo Stade de la Meinau con lo Strasburgo, le cose avevano preso una brutta piega. Il vento contrario è durato fino alla sosta invernale, poi la squadra si è ripresa, anche se rimane lontana dalla capolista Monaco e da Lione e PSG. La strada per il titolo almeno per quest’anno appare sbarrata, ma Drogba non si scompone. E nonostante le voci che lo vorrebbero all’Arsenal (per lo socntento Wiltord più robusto conguaglio), al Barcellona, alla Roma, al Valencia o chissà dove, sul suo futuro ha le idee chiare: “Non voglio lasciare l’OM, posso migliorare molto e quando ho firmato ho detto che venivo per vincere. Non ho cambiato obiettivi. Voglio diventare campione qui”.

A inizio 2003, il Ct della Costa d’Avorio, il francese Robert Nouzaret, meditava di convocarlo in nazionale. Appena un anno dopo, il beniamino del Velodrome è una colonna degli “Elephant”, come vengono soprannominati i giocatori della talentuosa ma inesperta rappresentativa arancio-nero-verde. La selezione ivoriana non si è qualificata per la Coppa d’Africa 2004 un po’ per l’assurdità del calendario internazionale e molto per lo scontro fratricida che dal 2002 all’aprile 2004 si è consumato fra i guerriglieri del nord (mussulmano), dell’ovest e le forze governative (cristiane) filofrancesi. «La gente non ha ancora smesso di soffrire – dice Drogba – Molti sono morti e il Paese è spaccato. Le infrastrutture sono state distrutte e per ricostruire ci vorrà tanto tempo. Ho ancora dei parebnti ad Abidjan, appena posso cerco di tenermi in contatto con loro, via e-mail o per telefono». Ma ormai la sua vera casa è l’Olympique. «Trascorro tutte le mie giornate, in campo e fuori, con i compagni di squadra. Siamo grandi amici. Squadra e società sono un modello di integrazione. Spero possano essere da esempio per gli altri club in tutto il mondo. Il Marsiglia è il club del futuro».

A Marsiglia e dintorni hanno sempre amato questo genere di storie. La storia di un uomo di grande talento ma dal cammino incerto e talvolta a ritroso: Drogba è il cannoniere che l’OM attendeva da anni e fa parte di quei personaggi che, nonostante le avversità, hanno dalla loro la forza della vocazione. Determinato sin da bambino, sognava di emulare lo zio Michel fra folle in delirio. Adolescente ribelle, non ascoltava che il proprio istinto. Una volta adulto, ha faticato l’impossibile per sfondare. E il sogno di Didier, c’è da crederlo, non si fermerà qui. No, a pensarci bene quella di Drogba non è una storia come tante. Perché è ancora tutta da scrivere.


Icona d'avorio
La storia calcistica della Costa d'Avorio si può suddividere in due periodi distinti: prima di Drogba e dopo Drogba. È vero che in passato la nazione africana ha espresso altri campioni come Laurent Pokou, Youssouf Fofana, Joel Tiehi e Ibrahima Bakayoko, ma nessuno di loro aveva lo spessore tecnico ed atletico di colui che oggi rappresenta il prolifico centravanti ed il leader di una nazionale che non a caso si appresta a disputare il suo primo storico Mondiale. 

Con ogni probabilità il calcio è impresso nel codice genetico di Didier Drogba. Nato a Yopougon, uno dei quartieri più poveri della capitale Abidjan, a soli cinque anni l’attuale capitano ivoriano si trasferì in Francia per raggiungere lo zio Michel Goba, ex giocatore della nazionale. Il ragazzo iniziò ben presto a seguire le orme di famiglia. Nel 1991, all'età di 13 anni, mosse i primi passi nel Vannes, giocando in diverse posizioni e con il passare del tempo cominciò a rendersi conto che forse avrebbe potuto trasformare il suo hobby in una professione. 

Successivamente si trasferì al Levallois-Perret, squadra della periferia parigina. Malgrado la tenera età, Didier metteva già in mostra notevoli doti fisiche, ma preferì rimanere quattro anni a farsi le ossa nei sobborghi. Spesso si fermava dopo gli allenamenti per arrivare al livello dei suoi compagni, favoriti dall’aver imparato molti trucchi del mestiere nelle scuole calcio specializzate. Nel 1997 vi fu la svolta rappresentata dall’ingresso nel calcio professionistico nelle fila del Le Mans, formazione che all’epoca militava nelle seconda divisione francese e in cui Drogba visse cinque stagioni ricche di alti e bassi. Vittima di frequenti infortuni mise a segno soltanto 12 reti in 64 gare, un bottino sufficiente, comunque, a suscitare l'interesse del Guingamp, appena promosso nella massima divisione. 

Alla prima stagione in Ligue 1, Drogba mise a segno 17 gol, formando con Florent Malouda un tandem d'attacco esplosivo. Il suo nome era ormai sulla bocca di tutti e tutti i migliori club francesi gli facevano la corte: PSG, Marsiglia, Lione e Monaco. A spuntarla fu il Marsiglia e Drogba, da quel momento, non certo lasciato nulla di intentato per mettere a tacere i critici, secondo i quali la sua fase di ambientamento in una grande squadra sarebbe stata lunga. L’esplosione marsigliese di Drogba è stata repentina e sensazionale. Il centravanti ha conquistato subito i cuori di una tifoseria notoriamente diffidente come quella del Velodrome ed è diventato una stella del calcio internazionale. A fine stagione il Marsiglia è arrivato in finale di Coppa UEFA e Drogba è stato eletto Miglior giocatore del campionato francese. 


Il colpaccio del Chelsea
Il bottino di 19 gol in campionato, completato da undici segnature in Europa, è stato più che sufficiente a catturare l'attenzione di Roman Abramovich, il multimiliardario proprietario del Chelsea. Il tecnico dei Blues José Mourinho ha convinto Drogba a lasciare Marsiglia per Londra ed il fuoriclasse ivoriano è approdato in Inghilterra per una cifra record. 

Nel frattempo le prestazioni in nazionale hanno rispecchiato quelle in campionato. Drogba ha esordito nel 2003 contro il Sudafrica sotto la guida del c.t. Robert Nouzaret, in una serata che, pur non avendolo visto andare in gol, ha sancito il primo passo di una straordinaria carriera con la maglia della Costa d'Avorio. Al terzo anno è poi giunta anche la fascia di capitano della nazionale. Drogba ha grande senso della posizione ed un micidiale fiuto del gol. In area di rigore fa valere il suo fisico possente e sa concludere a rete con entrambi i piedi, oltre ad essere fortissimo nel gioco aereo. 

Con nove centri si è classificato secondo fra i migliori cannonieri delle qualificazioni africane a Germania, gol che sono serviti ad accrescere ulteriormente la sua fama in Patria. In suo onore sono state scritte canzoni ed inventate danze, la sua immagine campeggia su bevande e altri prodotti. A memoria d'uomo nessun Elefante aveva mai riscosso un tale successo. 
Christian Giordano, Guerin Sportivo (2006)


Il gol nel vento
Che centravanti. Calcia a rete con forza e precisione con entrambi i piedi e da ogni posizione, protegge palla e si gira in un lampo (memorabile la prodezza al Liverpool in campionato, con Carragher che ancora deve capire che cosa è successo), fa sponda. In velocità e nello stacco è insuperabile, non avrà un dribbling stretto da funambolo, ma in campo aperto o in area uno così come, e soprattutto con chi, lo marchi? Per non parlare di voci che non vanno a referto ma fondamentali come leadership, cuore, coraggio, capacità di coinvolgere e trascinare i compagni, specie quando conta. 

Il suo tecnico José Mourinho per lui si è esposto pubblicamente. Va bene Shevchenko, ma Didier resta. Almeno per gli altri due anni previsti dal contratto. Capitan Frank Lampard condivide e non solo per la tripletta realizzata dal compagno allo stadio nazionale Vassili Levski di Sofia, in Champions League contro il Levski, la seconda della carriera dopo quella quando ancora era all’OM.

«Quelle tre reti rappresentano un buona sintesi delle sue doti – ha spiegato il centrocampista della nazionale inglese – La prima per il fiuto del gol, la seconda per l’eccellente controllo di palla e le capacità di finalizzazione, la terza (di tacco, ma rocambolesca) è stata un po’ fortunosa. Drogba è un grande giocatore, si sa. Controlla molto bene il pallone, lo difende come pochi, apre spazi, è potente e segna molto. È anche rapido e sicuro dei proprio mezzi. È un giocatore con un suo stile e non saprei paragonarlo ad altri». Il segno distintivo dei grandi. (c.g.)


QUI LONDRA/Bittersweet London
«Appena arrivato al Chelsea, vivevo in un hotel vicino allo stadio. E da grande amante della cucina italiana, decisi di setacciare le strade a caccia di qualche gemma da scoprire. Così entrai da Scalini, a due passi da Stamford Bridge. Sapevo già di aver trovato ciò che cercando. Atmosfera raffinata e di gran classe, buona musica e una calda accoglienza, fu amore a prima vista». In questa specie di spot ci sono il recente passato e il presente e forse qualche avvisaglia di futuro di Drogba, anche se non immediato visto che il pesante contratto gli scade nel 2008. Didier a Londra sta benissimo, ma altrove potrebbe stare meglio. Gli manca il suo Paese e adora l’Italia. Per qualcuno, anche un’italiana - pare sia stato visto la scorsa primavera all’hotel De Russie di Roma con la soubrette tv Elisa Canalis: roba per altre testate, e comunque fatti loro – e non sono un mistero né le sue estemporanee apparizioni milanesi né gli ottimi rapporti con il vicepresidente vicario del Milan, Adriano Galliani. Pochino per dire che lascerà la Premier League per la Serie A. Non per registrare come abbia mal digerito, lo scorso marzo, le feroci critiche ricevute per i tuffi in area e le furbate. In particolare quella nella gara in cui la sua doppietta ha deciso la sfida interna con il Manchester City. Man of the Match e schernito dai cosiddetti “boo-boys”, i cui cori di disapprovazione hanno raggiunto decibel da record nel vedere il colosso d’ebano stramazzare nell’innocuo contatto con Richard Dunne, difensore dei Citizens. «Didier si è sentito molto solo in quella circostanza - ha detto lo zio putativo Michel Goba – Non è giusto fargli carico di tutto ciò che nel calcio moderno alla gente non va giù. E se i tifosi del Chelsea continueranno a insultarlo e a fischiarlo, non mi sorprenderei se decidesse di andarsene. Proprio non riesce a capire il perché di un simile trattamento». Il tecnico José Mourinho difese il proprio giocatore dicendo che dalle riprese si vedeva Dunne che fortuitamente metteva un dito in un occhio a Drogba. Ma l’ennesima sceneggiata di una carriera non immune da tuffi inzagheschi e il gol di mano al City, una settimana dopo quello annullatogli contro il Fulham, avevano inciso. «Ho toccata il pallone con la mano, ma fa parte del gioco – si arrampicò sugli specchi l’ivoriano - Ho cercato di segnare e se l’arbitro avesse visto avrebbe fischiato. Non l’ha fatto quindi l’azione era buona. Capisco che mi fischino quando non gioco bene, ma ogni volta che scendo in campo do tutto, e porto sempre un grande rispetto per la maglia che indosso e per il club». 

Come sembrano lontani i tempi in cui l’ex OM sbandierava ai quattro venti che «inserirsi al Chelsea è stato facilissimo, tutti si sono prodigati per darmi una mano. La vita a Londra è eccellente». Tale resta, per ora. Anche accanto a “Sheva” – grazie al quale ritrova il 4-4-2, praticato giocato in tutta la carriera pre-Blues (e che con Mourinho ha visto a sprazzi con Mateja Kezman il primo anno e Hernán Crespo il secondo) – che doveva oscurarlo ed è finito oscurato. Anche qui, per ora. «Dobbiamo solo giocare assieme e conoscerci. È un grande, e i suoi gol arriveranno». (c.g.)



QUI ABIDJAN/Tanto di cappello al leader
Arrivano a tutte le ore gli aerei ad Abidjan. Anche di notte. La strada che conduce dall’aeroporto alla città è piena di soldati. La Costa d’Avorio voleva affrancarsi definitivamente dalla potenza coloniale, cominciando a commissionare grandi opere fuori Parigi. Guarda il caso: nascono gruppi ribelli nel Nord e il Paese si ritrova sull’orlo della Guerra Civile ormai da tempo. Sopra il tappeto rosso De Gaulle e Mitterand parlavano di “Piccola Parigi” indicando Abdjan. Ora la ritrovi con posti di blocco un po’ ovunque, armi in bella vista e troppo verde militare per le strade. In questa tristezza, c’è un cappello da pescatore che fa da passepartout, fisico e magico. Attraversa i posti di blocco, accende l’orgoglio di patria e fa ancora sognare. Il copricapo scende sugli occhi, si intravede appena lo sguardo ed è sempre quello del ragazzino della SICOGI di Yopougon, un quartiere popolare. Dall’alto, le case devono apparire un unicum, invece ci sono viuzze di un paio di metri che le dividono. Anzi: le uniscono, come fosse un corridoio esterno che mette in comunicazione i vicini di casa, che sono, spesso, poco meno di familiari. Dentro quelle case fa un caldo terrificante, non ci sta nessuno se non per costrizione. Drogba bambino, Tito, secondo il battesimo della mamma, cercava il primo pezzo di sterrato per giocare a pallone, ora lo solca con la sua Jeep e passa a trovare amici e parenti praticamente ad ogni estate o appena gli impegni in Europa glielo consentono. “On dit quoi?” ripete, come ogni buon ivoriano, ogni volta che sulla celeberrima Rue Princesse di Yopougon, Drogba entra a "Le Fouquet’s", il débit de boisson, diciamo il bar, che ha aperto a uno dei suoi familiari.

Il cappello è appena sopra gli occhi ma è difficile passare inosservati, specie a “La case Blanche”, uno dei locali “in” della città, i cui proprietari sono i membri del Magic System, gruppo capofila della musica zouglou non una dance band come qualche inesperto li etichetta, famosissimi nel Paese (per gli appassionati di note consigliamo la loro hit “Petit pompier”). Ad Abidjan, Tito è una leggenda, anche se forse l’affetto della maggior parte della città va agli Académiciens, Aruna Dindane, Zokora, Kolo Touré sopra tutti, cresciuti nella scuola calcio più importante del Continente, voluta dal patron dell’Asec, Roger Ouegnin. Drogba, bersagliando le porte di tutta l’Europa è però diventato e riconosciuto il leader della Selephanto, la selezione degli Elefanti, come sono chiamati i giocatori della nazionale ivoriana, da poche settimane affidata al tedesco Uli Stielike. Che cos’è un leader? Dopo la sconfitta casalinga col Camerun che sembrava aver pregiudicato il viaggio ai Mondiali tedeschi (poi ci sarebbe stato il rigore fallito da Wome contro l’Egitto e quindi il suicidio dei Leoni Indomabili), molti avevano preso ad attaccare Bonaventure Kalou, classe cristallina ma eccessiva indolenza: “non ha cuore”, la frase più gentile. In un’intervista a inizio 2006 Drogba fissando l’obbiettivo era stato chiarissimo: “Giocherò la Coppa d’Africa, e la giocherò, insieme ai miei compagni, per vincerla, solo se cesseranno gli attacchi a Kalou, che sono davvero indegni”.

La Coppa d’Africa l’ha sfiorata, perdendo ai rigori la finale con l’Egitto padrone di casa. Ai Mondiali la difesa ballerina ha minato la qualificazione ma gli Elefanti hanno giocato alla pari con Argentina e Olanda, poi hanno sconfitto la Serbia facendo abbracciare una nazione sul precipizio di una guerra civile, che è parecchio più di una vittoria su un campo di calcio. C’è un leader e qualcosa di più, sotto quel cappello.
Carlo Pizzigoni, Guerin Sportivo (2006)


La scheda di DIDIER DROGBA
Luogo e data di nascita: Abidjan (Costa d’Avorio), 11 marzo 1978
Statura e peso: 1.86 x 74 kg
Ruolo: centravanti 
Club: Valves (1991-93), SC Levallois-Perret (1993-97), Le Mans (D2; 1997-gennaio 2002), Guingamp (L1; gennaio 2002-2003), Olympique Marsiglia (L1; 2003-04), Chelsea (Inghilterra; 2004-)
Esordio in Ligue 1: 30-1-2002, Metz-Guingamp xxx
Esordio in nazionale: 8-9-2002, Sudafrica-Costa d’Avorio 0-0 (qualificazioni Coppa d’Africa) 
Presenze (reti) in Nazionale: 34 (24)
Palmarès: due Premier League (2005, 2006), Coppa di Lega inglese (2005), Community Shield (2005); Miglior giocatore di L1 2003-04
Scadenza di contratto: 30 giugno 2008


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