FOOTBALL PORTRAITS - Drogba: Ebony & Ivory (2004)


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Didier Drogba, attaccante ivoriano esploso nel 2002-03 nel Guingamp, è diventato al Marsiglia uno dei crack del mercato internazionale. Ma il gigante d’ebano non vuole andarsene, perché vincere con l’Olympique era il suo sogno di bambino

di Christian Giordano, Calcio Gold

Una storia come tante quella di Didier Drogba. Giovane talento africano lascia la sua terra – meglio se dilaniata dalla guerra civile, dicono faccia vendere – per cercare fortuna nel Paese che di quella terra aveva fatto una colonia: già letto, visto, sentito. Ma con una differenza, anzi un vantaggio: il ragazzo conosce bene la trama, colpi di scena compresi, perché già interpretata, con buon successo, dallo zio Michel Goba, discreto goleador della seconda divisione transalpina (soprattutto a Brest e a Quimper) e della nazionale ivoriana negli anni Ottanta. Come il nipote anche Goba era un centravanti fortissimo di testa, peculiarità tecnica evidentemente insita nel patrimonio genetico di famiglia.

Didier nasce ad Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio (quella politica è Yamoussoukro) l’11 marzo 1978 e arriva in Francia a cinque anni. Goba, allora professionista con l’Angoulene (D2), lo prende a carico e ne segue passo passo tutta la carriera, dai primi calci nelle giovanili alla Champions League. «Sono cresciuto guardando mio zio Michel e i suoi video di Marco van Basten – ricorda oggi il nipote d’arte –. Era il mio idolo. Era il più completo. Ma quando ero ragazzino era mio zio il calciatore che ammiravo di più. Quando ho cominciato voleva essere sicuro che sapessi bene in che “guaio” mi stavo cacciando, e una volta capito che facevo sul serio, ha fatto molti sacrifici per vedermi arrivare. È stato lui ad aiutarmi ad ottenere il mio primo contratto professionistico, al Le Mans. Gli devo tutto».

Goba sarà presente anche al primo match di Didier con la maglia dell’Olympique Marsiglia, anch’essa finita nella sua ricca collezione. Già, le maglie, contiamole perché non sono poche: da Dunkerque a Vannes, passando per Abbeville e Tourcoing, queste le prime tappe del tortuoso viaggio che ha portato Drogba verso Marsiglia. Lungo il percorso, oltre alle divise, il giovane talento cambia anche ruolo. Agli esordi, gioca da terzino destro, ma questo non gli impedisce di spingersi in avanti e di segnare. Nel farlo però mostra ancora qualche riserva fino a quando, ai tempi di Abbeville, compie il grande passo e “decide” di diventare attaccante. Segna molto, Didier, ma poi, a Tourcoing, la situazione torna a capovolgersi. In rosa gli attaccanti sono tanti e in più, se c’è qualcosa che non gli garba, il Nostro è uno che non le manda a dire. All’inizio prova a giocarsela ma poi molla. «Ne ho sofferto – ammette – La rotazione degli efffettivi c’era ma io non seppi approfittarne». Le conseguenze per la sua carriera avrebbero potuto essere devastanti: Drogba aveva ormai 15 anni e allimprovviso, in piena crisi adolescenziale, decise di lasciar perdere. Sul calcio aveva investito tutto. Studi interrotti al quarto anno di scuola superiore e ora davanti a una strada che aoppariva senza uscita, non se la sentiva di continuare. Addio sogni di gloria? Per un anno soltanto, perché «senza il calcio io sono nulla». Infatti, la stagione seguente ci riprova da attaccante a Levallois, dove muove i primi passi nel calcio vero.

Spinto dai dirigenti il ragazzo-prodigio che in CFA (il campionato dilettanti) ha preso a segnare parecchio e in modi sempre più spettacolari, fa domanda a vari centri di formazione (i settori giovanili). Gli risponde il Rennes, ma una raccomandazione – in senso buono – del suo allenatore Jacques Loncar gli fissa un provino all’En Avant Guingamp. È il 1996-97 e il sogno che pareva realtà («rimanevo incantato nel vedere da vicino giocatori del calibro di Vincent Candela o Stéphane Carnot…») rischia di trasformarsi in incubo: «Una frattura a un alluce e finii presto nel dimenticatoio». 

La trama di cui sopra prevede nuovi e imprevedibili sviluppi. Stavolta è Parigi a farsi viva, ma lui spiazza tutti: alle luci e al fascino della caotica capitale, preferisce la tranquillità di le Mans, 150 mila anime raccolte nella terra dei celebri castelli, la valle della Loira. Il paesone, famoso per le grandi officine di una nota casa autombilistica e soprattutto per il vicino autodromo dove si disputa – dal 1923 – la storica “24 ore”, ha le dimensioni e il club giusti per lanciarlo ai massimi livelli. «Mio zio non aveva la scorza adatta per Parigi», sorride al ricordo Didier. Subito dopo la proposta parigina si fece avanti il Le Mans tramite Marc Westerhope, che seppe toccare le corde giuste: «Sapevo che aveva le capacità per diventare un attaccante di classe mondiale – dice Westerhope del suo pupillo – Aveva tutte le qualità di cui un attaccante ha bisogno: gran tocco, lo scatto fulminante e il fiuto per trovare la porta, ma a frenarlo era la scarsa fiducia in se stesso. Era uno di quei giocatori che maturano tardi». Anche fisicamente. Didier era arrivato a 1.86 x 74 kg, una montagna d’uomo dalla coordinazione straordinaria «Se non fosse stato per Marc probabilmente non sarei qui oggi – dice l’allievo riferendosi al suo mentore – Mi ha insegnato tanto, non solo sul calcio, ma anche sulla vita fuori del campo. Mi ha fatto capire che le duue cose inestricabilmente legate. Mi ha insegnato a non tirarmi mai indietro sul terreno di gioco, a non buttarmi, a non simulare».

Il vivaio del Le Mans poteva essere il definitivo trampolino di lancio verso la grande ribalta, ma anche lì non tutto filò per il verso giusto. «Ero spesso infortunato e non sempre seguivo i consigli dei tecnici» si giustifica senza cercare scuse il futuro marsigliese. Infatti il giovane virgulto fatica a sbocciare: 2 presenze nel 1998-99, 30 (con 7 gol) nel 1999-2000 e soltanto 11 nel 2000-01. Il computo delle redde cifre non tiene però conto del rapporto, mai nato, con Thierry Gouget, il successore di Westerhope sulla panchina del Le Mans.

Tutto cambia di nuovo quando a mettergli gli occhi addosso è Guy Lacombe, allora responsabile tecnico del Guingamp, club di prima divisione. «Convinsi i dirigenti del Le Mans – ricorda l’attuale tecnico del Sochaux – a lasciarlo libero in gennaio, dicendo loro che avrebbero fatto meglio a venderlo subito, perché tanto lo avrei avuto gratis sei mesi dopo, da svincolato». 

A questo punto il cronista attaccherebbe con un classico: fiutando l’affare, Lacombe decise di bruciare tutti sul tempo e… «Non proprio – precisa Lacombe – Ero il solo col presidente Aubert a volere Drogba, in quelmomento. Ed entrambi ci siamo giocati la testa». Nei suoi primi 11 match in Ligue 1, fino al giugno 2002, Drogba segna “solo” tre volte. La testa di Lacombe e quella del suo presidente sembrano in pericolo, ma i fatti avrebbero dato loro ragione. «L’affare l’avevo fiutato sin dalprimo giorno di Didier a Guingamp - s’infervora Lacombe – Che ci crediate o no, era troppo forte per la L2, troppo tecnico. È raro che un giovane non necessiti di quel genere di tappa di avvicinamento, eppure per lui è andata così. Non aveva più niente da imparare a quel livello, solo da perdere». Il seguito è storia: di lì in poi la sua vita e quella del club bretone non sarebbero più state le stesse. 

Acquistato più che altro come cambio per i più quotati Bardon, Saci o Eloi, la stagione 2002-03 è esploso e con lui il piccolo Guingamp (settimoposto in campionato e qualificazione per la Coppa Intertoto) di Bertrand Marchand, l’allenatore che ha saputo dargli fiducia e valorizzarlo: 17 gol in 34 partite di L1, terzo cannoniere dietro Shabani Nonda (26), congolese allora al Monaco, e Pedro Pauleta (23), centravanti della nazionale portoghese e ai tempi al Bordeaux, ma davanti a grossi nomi come Henry Camara, senegalese del Sedan (poi al Wolverhampton Wanderers) e Djibril Cissé dell’Auxerre, entrambi fermi a 14.

Al Guingamp, Didier faceva coppia con Florent Malouda, centrocampista mancino veloce e versatile capace di giocare su tutta la fascia sinistra, alle spalle delle punte e persino da attaccante esterno. Proprio in quest’ultima veste, nel 2002-03 ha formato con Drogba uno degli attacchi più prolifici della Première Division: 27 gol in due. Inutile dire che insieme in Bretagna non potevano rimanere a lungo. Drogba ha provato a portarselo al Marsiglia, ma alla fine Malouda ha preferito l’Olympique Lione. Dider invece non ha avuto tentennamenti: «Non appena il Marsiglia ha fatto capire di essere interessato a me, avevo già deciso. Ho tifato per loro così a lungo, è sempre stato il mio sogno indossare la maglia con la famosa striscia bianca» (presente, nello stemma sociale, sotto la scritta “Droit au but”, che vuole dire “dritti all’obiettivo” ma anche “al gol”, in francese “but”, ndr).

Sulla scia di quella straordinaria annata, per averlo si aprì un’asta che neanche da Christie’s. PSG, Inter, Milan e Juventus (ai tempi l’addio a Trézéguet pareva certo) lo inseguivano ma non concludevano. Al Lione piaceva per sostituire nientemeno che Sonny Anderson, giunto a fine contratto e sicuro partente. Il Monaco dellultima gestione Jean-Louis Campora presidente da 28 anni lo voleva ma non poteva permetterselo: 53 milioni di euro di deficit, e in Francia queste cose le prendono sul serio. Il Marsiglia vedeva in lui il fromboliere inseguito dai tempi dell’addio di Papin e alla fine, per 6 milioni di euro, lo prenderà prima che il giocatore, pur innamorato dell’OM, cedesse alla tentazione di attraversare la Manica. «Quando guardo in tv la Premiership mi rendo conto che il calcio vero si gioca lassù» aveva dichiarato con convinta ammirazione. Alla (retorica) domanda «Che cosa farebbe Didier in Premiership?» ecco l’interessato parere del suo procuratore inglese, Willie McKay: «Sfracelli. È un incrocio tra Nicolas Anelka (possente centravanti francese allora al Manchester City, ndr) e Frédéric Kanoute (flessuoso attaccante maliano all’epoca al Tottenham Hotspur, ndr). Ed è proprio in Premier League che in tempi non sospetti McKay aveva cercato di piazzare il proprio assistito. «Nell’estate 2003 – prosegue – avevo preso contatto con otto club europei, consigliando loro di prenderlo al volo, ma non mi diedero retta. O meglio: diversi osservatori andarono a vederlo dal vivo, ma quando si è trattato di mettere mano al portafoglio, hanno esitato troppo. Mi riferisco in particolare al Southampton, che ha offerto un milione e mezzo di sterline. Se avessero capito di che razza di campione si tratta, non avrebbero offerto una cifra così ridicola». 

Passi per il parere dell’agente, ma che dire dell’appassionato giudizio espresso proprio da Jean-Pierre Papin, uno che nel “clan dei marsigliesi” ha sempre voce in capitolo? « È già fortissimo – attacca il disco JPP – e ha ancora enormi margini di miglioramento; se continua così finisce al Real Madrid». Quasi a voler dimostrare l’assunto secondo cui un campionissimo non è tale se prima o poi non indossa la celeberrima camiseta blanca delle Merengues, proprio al Santiago Bernabéu l’ivoriano si metterà in mostra siglando, al debutto in Champions League, l’illusorio vantaggio dei transalpini, poi inevitabilmente travolti (4-2).

Dopo quella batosta, che pure sul piano tecnico ci stava eccome, lo spogliatoio si ribellò alleccessiva prudenza tattica ma soprattutto ai modi inurbani del tecnico Alain Perrin. Il portiere titolare Vedran Runje, dalmata duro e puro, pagherà per tutti con il declassamento il panca e larrivo del cavallo di ritorno Fabien Barthez, ma alla fine anche Perrin prenderà atto (e il ritardo gli costerà il posto) che la forza di quel Marsiglia era l’attacco. La coppia Drogba-Mnido, bocche da fuoco agili e potenti e dotate di otttimi piedi, in Europa ha pochi eguali. È una gioia giocartgli accanto – dice Didier dell’egiziano transfuga all’Ajax via-Celta Vigo – Ha un talento eccezionale ed è bravissimo a saltare l’uomo per poi lanciare i coimpagni. E se non bastasse cè anche il redivivo Steve Marlet, che a differenza del giovane russo Dmitri Sychev, tornato in patria al Lokomotiv Mosca, ha saputo aspettare la propria occasione. 

Come gli era capitato ai tempi di Troyes il 47enne Perrin, abile PR di se stesso, ha cercato di fare di un problema una opportunità, ma stavolta il giochino non ha funzionato e così, dopo averlo difeso a oltranza – a costo di qualche diverbio con il diretto interessato – il presidente Christophe Bouchet si è visto costretto a sostituirlo con José Anigo, responsabile del settore giovanile ed ex giocatore del club.

Dopo il grande avvio di stagione, il Marsiglia aveva tirato il freno. Drogba no. Di tempo l’ex stella del Guingamp ne aveva perduto fin troppo e ora, quasi 26enne, fiinalmente arrivato al top, avrebbe fatto di tutto per restarci. La doppietta al Nizza in campionato, la tripletta contro il Partizan Belgrado (3-0) in Champions League: tutto sembrava andare per il meglio. Anche azzardando un pizzico di pessimismo o, peggio, di velenoso spirito anti-OM, sempre presente nell’Esagono, chi poteva immaginare il blackout marsigliese? Nessuno. Figuriamoci luomo che dopo un anno e m,ezzo in prima divisione vantava 20 gol in 45 partite; che in questo scorcio di stagione era andato a segno 15 volte in L1 e 5 in Champions League, capocannoniere alla prima prima partecipazione.

Nominato da France Football, giocatore straniero della Ligue1 2002-03, Drogba è in corsa per il titolo di Giocatore africano 2003 (la premiazione è stata rimandata al 30 aprile a Yaoundé, in Camerun). Nessun ivoriano ha mai vinto quel titolo, potrebbe riuscirci lui ma dovrà vedersela con i favoriti Samuel Eto’o, centravanti camerunese del Real Maiorca, e Augustine “Jay Jay” Okocha, trequartista nigeriano del Bolton Wanderers, i candidati rimasti dopo l’ultima scrematura dei cinque finalisti. La stagione era partita a gonfie vele, ma dopo l’1-4 incassato allo Stade de la Meinau con lo Strasburgo, le cose avevano preso una brutta piega. Il vento contrario è durato fino alla sosta invernale, poi la squadra si è ripresa, anche se rimane lontana dalla capolista Monaco e da Lione e PSG. La strada per il titolo almeno per quest’anno appare sbarrata, ma Drogba non si scompone. E nonostante le voci che lo vorrebbero all’Arsenal (per lo socntento Wiltord più robusto conguaglio), al Barcellona, alla Roma, al Valencia o chissà dove, sul suo futuro ha le idee chiare: “Non voglio lasciare l’OM, posso migliorare molto e quando ho firmato ho detto che venivo per vincere. Non ho cambiato obiettivi. Voglio diventare campione qui”.

A inizio 2003, il Ct della Costa d’Avorio, il francese Robert Nouzaret, meditava di convocarlo in nazionale. Appena un anno dopo, il beniamino del Velodrome è una colonna degli “Elephant”, come vengono soprannominati i giocatori della talentuosa ma inesperta rappresentativa arancio-nero-verde. La selezione ivoriana non si è qualificata per la Coppa d’Africa 2004 un po’ per l’assurdità del calendario internazionale e molto per lo scontro fratricida che dal 2002 all’aprile 2004 si è consumato fra i guerriglieri del nord (mussulmano), dell’ovest e le forze governative (cristiane) filofrancesi. «La gente non ha ancora smesso di soffrire – dice Drogba – Molti sono morti e il Paese è spaccato. Le infrastrutture sono state distrutte e per ricostruire ci vorrà tanto tempo. Ho ancora dei parebnti ad Abidjan, appena posso cerco di tenermi in contatto con loro, via e-mail o per telefono». Ma ormai la sua vera casa è l’Olympique. «Trascorro tutte le mie giornate, in campo e fuori, con i compagni di squadra. Siamo grandi amici. Squadra e società sono un modello di integrazione. Spero possano essere da esempio per gli altri club in tutto il mondo. Il Marsiglia è il club del futuro».

A Marsiglia e dintorni hanno sempre amato questo genere di storie. La storia di un uomo di grande talento ma dal cammino incerto e talvolta a ritroso: Drogba è il cannoniere che l’OM attendeva da anni e fa parte di quei personaggi che, nonostante le avversità, hanno dalla loro la forza della vocazione. Determinato sin da bambino, sognava di emulare lo zio Michel fra folle in delirio. Adolescente ribelle, non ascoltava che il proprio istinto. Una volta adulto, ha faticato l’impossibile per sfondare. E il sogno di Didier, c’è da crederlo, non si fermerà qui. No, a pensarci bene quella di Drogba non è una storia come tante. Perché è ancora tutta da scrivere.
Christian Giordano, Calcio Gold


La scheda di DIDIER DROGBA
Luogo e data di nascita: Abidjan (Costa dAvorio), 11 marzo 1978
Statura e peso: 1.86 x 74 kg
Club: Levallois (giovanili), Le Mans (D2, 1998-99 - gennaio 2002), Guingamp (gennaio 2002-2003), Olympique Marsiglia (2003-04), Chelsea (Inghilterra, 2004-)


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