FOOTBALL PORTRAITS - van der Vaart, i capolavori di Rafaël (2003)


Come il suo celebre omonimo rinascimentale, a 17 anni van der Vaart – altro predestinato con il genio dentro – era già un “artista” di fama internazionale. Da qui a farne un campione ne correva, ma il vivaio dell’Ajax, in materia, vale un master alla Sorbona. 

Rafaël Ferdinand van der Vaart (Heemskerk, 11/2/1983) è uno che non perde tempo. I primi calci li tira a 4 anni, a 6 entra nel De Kennemers di Beverwijk e a 10, i genitori lo portano all’Ajax perché prenda parte ai cosiddetti «Talentendagen», i giorni del talento, le selezioni che il club periodicamente organizza per rastrellare la crema delle giovani promesse locali. Dopo due settimane di prova è nel settore giovanile. 

Si narra che da ragazzo amasse “allenarsi” in un parcheggio di caravan puntando, e centrando, sequele di bottiglie e lattine di birra. Nel 1999 arriva la nomina di miglior talento dell’Ajax. Il 19 aprile del 2000 Co Adriaanse lo fa debuttare in campionato (1-1 con il Den Bosch, l’unica presenza nel torneo) appena 17enne, come Cruijff e Van Basten tanto per buttarla lì. 

In luglio la società gli rinnova il contratto fino al 2006, accordo che il direttore tecnico Leo Beenhakker ha acconsentito di rinegoziare lo scorso 6 marzo includendo una clausola che vieta a van der Vaart il trasferimento ad altri club olandesi. La stagione successiva Adriaanse lo aggrega alla prima squadra e la recluta soffia il posto al veterano Richard Witschge. La prima rete la segna il 21 ottobre, contro il Roda Kerkrade, firmando al 67’ il momentaneo 3-0. 

Van der Vaart dimostra subito di possedere i colpi del campione. La sua rete contro il Feyenoord, per esempio, è una gemma rara quanto il suo talento: azione personale sulla sinistra e conclusione imparabile. Compiuta l’intera trafila nelle rappresentative giovanili, in quella stessa estate partecipa ai mondiali Under-20 in Argentina. L’Olanda esce ai quarti perdendo 2-1 con l’Egitto; il gioiello va in rete ma becca due «gialli» e per gli «oranje» addio sogni di gloria. L’esordio nelle competizioni europee per club avviene il 12 settembre 2000, in una trasferta di Coppa UEFA contro i belgi del Gent: 6-0 per l’Ajax, il quinto sigillo, all’82’, è suo. 

Quell’anno, realizza anche due gol nella finale per il terzo posto agli Europei Under 16, contro la Grecia. Il 6 ottobre 2001, nel 4-0 alla malcapitata Andorra, il Ct Louis Van Gaal lo fa debuttare in nazionale A. Rafaël rileva al 66’ il neocompagno di club Viktor Sikora, che Ronald Koeman si era portato dal Vitesse appena sedutosi sulla panca degli «ajacidi». 

Il primo gol nella selezione maggiore arriva nella prima amichevole della gestione Dick Advocaat, contro gli Stati Uniti, al 75’, approfittando di un’incertezza del portiere Friedel. Nel frattempo continua a far parte dell’Under 21 del Ct Mark Wotte che saluta gli Europei di categoria andando a cozzare con l’Inghilterra di Platt (1-0 fuori e 2-2 in casa, a Utrecht, nonostante il doppio vantaggio e una sua grande prova coronata dal gol dell’1-0). 

In Eredivisie, la Serie A olandese, il 27 maggio, contro l’AZ 67 di Alkmaar, firma la sua prima doppietta (22’ e 30’). Il 19 dicembre 2001, nel 5-1 per l’Ajax contro il Vitesse, tocca alla tripletta (15’, 26’ e 82’). 

Il 10 febbraio 2002 vive per la prima volta l’incubo di ogni atleta, gli infortuni. Contro l’RKC Waalwijk si rompe il ginocchio destro. Dopo un intervento di pulizia al menisco, non perfettamente riuscito, torna sotto i ferri per asportarlo. A settembre è la volta dell’altro ginocchio. Nel 3-0 alla Bielorussia del 7 settembre, dopo 8’ dribbla due avversari e viene steso. Nell’impatto la gamba resta impiantata nel terreno: lesione al legamento mediale, sei settimane fuori. L’Ajax, vistasi scoperta nel cruciale ruolo di trequartista, corre ai ripari richiamando in gran fretta il cavallo di ritorno Jari Litmanen. 

Sinistro naturale, ma calcia bene anche di destro, brevilineo, compatto, veloce di gambe e di testa, tecnico, gran visione di gioco, come nella miglior tradizione “ajacide” Van der Vaart con la palla sa fare tutto. In più si muove molto, non se ne sta ad aspettare il pallone, va a procacciarselo. Rafaël nasce come regista davanti la difesa ma il suo fiuto del gol, la facilità di calcio, intesa nel senso più pieno del termine, suggeriscono a Koeman di impostarlo definitivamente come seconda punta/trequartista, nel solco della tradizione perpetrata nel ruolo da Johan Cruijff, Dennis Bergkamp e lo stesso Litmanen. Il risultato è da stropicciarsi gli occhi: assist, numeri ad effetto e gol, tanti e in tutti i modi: di sinistro, ovvio, ma anche di destro e persino di testa, grazie soprattutto alle doti di tempismo e di elevazione, vista la statura non propriamente da corazziere. 

Piccolo e sgusciante (1.74 per 70), il numero 10 biancorosso (da quest’anno ha abbandonato il «23») è un centrocampista offensivo, preferibilmente centrale, dal sinistro vellutato che «vede» la porta: 7 gol in 27 partite di Eredivisie nel 2000-01; 14 in 20 (9 nelle prime 10 giornate) e il premio di miglior giovane del campionato, davanti a Robin van Persie e ai compagni Mido, Maxwell e Yakubu, vinto, assieme alla Coppa d’Olanda, due stagioni fa; e 18 in 21 la stagione scorsa, chiusa con due successi minori, il Torneo di Amsterdam (2-1 al Manchester United e 4-3 al Barcellona) e lo “Johan Cruijff Schaal, la Supercoppa d’Olanda (3-1 al PSV Eindhoven). 

Non disdegna neppure la soluzione a giro «alla Del Piero» (o meglio, quella che “Pinturicchio” trasformava in gol fino a sette-otto anni fa…), i ribaltamenti di fronte, sa dribblare ma non eccede in personalismi. A volergli trovare un difetto, un pizzico di continuità in più, una lieve tendenza al tuffo facile (in Champions League, nel 2-0 al Bruges, l’arbitro inglese Paul Barber non gli ha risparmiato la sacrosanta ammonizione) e una maggiore propensione alla leadership, specie ora che è capitano, ma siamo al pelo nell’uovo: la stoffa c’è. Eccome. 

Curiosità sparse. Come il fratello Fernando deve il proprio nome alla madre, spagnola di Barcellona. Idolo delle ragazzine olandesi, dopo aver avuto una storia con la bionda presentatrice tv Sylvie Meis, è fidanzato con Nancy, 18enne studentessa, ma vive ancora con i genitori nella casa dove è cresciuto. Adora il tennis e Pete Sampras, la tv, la musica e, attenzione, il Camp Nou. 

Futuro. Nel gennaio del 2002 l’Inter lo aveva opzionato (assieme a Heitinga) nell’affare, poi sfumato, che avrebbe dovuto portare in nerazzurro Chivu, lo scorso aprile sembrava vicinissimo al Milan, per seguire le orme del suo idolo Van Basten, come aveva lasciato intendere lo stesso giocatore in un’intervista rilasciata al quotidiano olandese Nrc Handelsblad

«[Il 31 marzo, ndr] Søren Lerby, il mio agente, ha parlato a lungo con Adriano Galliani. Mi piacerebbe restare all’Ajax, ma l’offerta è importante e va tenuto conto anche del volere della società. Giocare con la maglia dell’altro club che fu di Marco van Basten, sarebbe però fantastico». Carlo Ancelotti, che in vista dei quarti della scorsa Champions League si presentò a Eindhoven in compagnia di Van Basten per assistere a PSV-Ajax, è avvisato: al suo orizzonte potrebbe profilarsi l’ennesimo trequartista. Questo, però, fa gol. 

Un anno e mezzo fa valeva 15,5 milioni di euro, che oggi sono solo la base d’asta. Barça e Milan sono in pole position, Juventus, Real Madrid, Manchester United e Liverpool non mollano, lui sogna il «blaugrana». Nessuna sorpresa, quindi, se il giovane maestro olandese dovesse lasciare il Rijksmuseum per esporre al catalanissimo Museu Picasso. 
Christian Giordano, Guerin Sportivo (2003)

Gioielli fatti in casa/Il nuovo Cruijff? 
Non fosse per il fatto che è mancino, che non ha patito la fame, che non sta sull’anima a nessuno e che alla sua età (20 anni e mezzo) si rompe un po’ troppo spesso, il paragone sarebbe scontato. Fosse argentino, l’avrebbero subito dipinto come l’ennesimo erede di Maradona – etichetta che laggiù si spreca e che ha fatto più danni della grandine; un nome per tutti: Ariel Ortega. 

Van der Vaart però è olandese, proviene da un sobborgo della capitale, è cresciuto nell’Ajax, nel quale è entrato a 10 anni e nella cui prima squadra ha debuttato 17enne, ha talento da vendere e un senso del gol, per un trequartista, innato: esattamente come il più illustre dei suoi predecessori in maglia ajacide, Johan Cruijff. 

Rispetto all’ex Papero d’oro, Rafaël, che pure nasce playmaker davanti la difesa, è molto meno regista e più goleador. Dal punto di vista della personalità, però, ne è lontano decenni-luce. Van der Vaart ama rifinire più che orchestrare e all’occorrenza sa giocare anche da seconda punta tanto da insidiare il posto in Nazionale a un certo Kluivert. A proposito di «blaugrana», lo stadio preferito di Rafael è il Camp Nou e sua madre è di Barcellona. E siccome in Catalogna sono approdati – via-Ajax – Cruijff e Neeskens, Overmars e lo stesso Kluivert, vuoi vedere che... 
(chgiord)

Dicono di lui/Genio e regolatezza 

Da noi il cognome van der Vaart suona familiare anche al grande pubblico, che forse però non lo ritiene ancora un grosso “nome”. Agli addetti ai lavori invece è noto dal ’99, quando assieme a Johnny Heitinga, oggi solo un rincalzo, fece faville al «Ferroli» di San Bonifacio. 

Proprio l’Italia potrebbe essere la sua prossima destinazione. Magari interessata, ma non per questo meno interessante la valutazione che ne dà un ex compagno, l’interista Andy van der Meyde: «Infortuni a parte, sarebbe già pronto. 

I continui stop non gli hanno fatto una gran pubblicità, ma è un campione. Chi lo prende fa un affare». Sulla sua etica lavorativa, poi, garantisce una nostra vecchia conoscenza, l’ex genoano Johnny van’t Schip, tornato all’Ajax per guidarne la Primavera: «Non c’è giorno nel quale non lo vedi inventare calcio. In più, ha una voglia pazzesca: per lui non importa se piove, nevica o fa caldo, si impegna sempre come se dovesse giocare la finale mondiale». 

L’unica voce fuori del coro è quella del dg Arie van Eijden, che a Rafaël rimprovera di pretendere troppi soldi. Ma è il gioco delle parti. La giovane stellina sembra avere le idee chiare e fa professione di modestia: «È bello sapere che i maggiori club stranieri sono interessati a me, ma io resterò all’Ajax almeno per i prossimi due anni. è la cosa migliore per me perché voglio crescere, e il miglior club che possa aiutarmi a farlo è l’Ajax». 

Un incoraggiante segno di maturità per lui, un chiaro invito alla clientela prima che il titolo van der Vaart SpA venga ritirato. Per eccesso di rialzo. 
(chgiord)



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