Crespo, campione d'altri tempi
Hernan Jorge Crespo è uno dei pochi calciatori a non essere mai stato fischiato nonostante abbia girato molte squadre. La sua storia ci spiega perché
05-11-2015, di Daniele Berardi, Vavel.it
Se chiedete agli argentini quale sia il giocatore che più di ogni altro incarna lo spirito del futbol asado, otterrete opinioni discordanti. Si va da Maradona, Caniggia e Batistuta fino ai più freschi Messi, Tévez e Riquelme. Ma ci sarà certamente qualcuno, tra la folla, che avrà un parere diverso. Già, perché l'Argentina è sempre stata abituata a grandi campioni capaci di conquistare il mondo partendo dalla polvere dei campi di periferia. Molti di questi si sono presi la ribalta del grande calcio in punta di piedi, senza far rumore, conquistando l'Europa a colpi di fioretto. Uno di questi è Hernan Jorge Crespo.
Più che un calciatore un uomo d'altri tempi: mai una parola fuori posto, attaccamento alla maglia e rispetto per lo sport anzitutto. Prototipo dell'attaccante moderno, Crespo era una prima punta tosta che abbinava una buona tecnica individuale ad un eccezionale senso del gol. Insomma il centravanti che ogni allenatore vorrebbe con sé.
Sempre decisivo e sempre amato dai suoi tifosi, non è mai riuscito a farsi odiare; neanche quando nell'agosto del 2006 fa ritorno all'Inter dopo le parentesi con i cugini rossoneri e il Chelsea di Claudio Ranieri.
Basta un semplice sguardo per capire che il Crespo calciatore è molto simile al Crespo fuori dal campo. Tenacia, sacrificio e forza di volontà gli hanno permesso di superare i momenti bui della sua carriera e rimettersi in gioco nonostante i numerosi infortuni. Ma d'altronde si sa, nel calcio nulla è lasciato al caso e le origini di questo ragazzo sono l'immagine della sua personalità e della sua voglia di arrivare.
È soprannominato "Valdanito" per l'affinità tecnica e fisiologica con l'ex attaccante argentino Jorge Valdano (gran puntero del Real Madrid degli anni '80). Già, il soprannome. Se in Argentina non hai un soprannome non sei nessuno. Gli apodos sintetizzano la personalità e le qualità principali di un giocatore. All'apparenza sembrano dei nomignoli banali, ironici, sfruttati dal volgo per apostrofare i propri beniamini. Ma sono molto di più. Certo, non brilleranno per fantasia (se sei magro sei el flaco, se sei grasso sei el gordo) ma ti accompagnano per tutta la vita. Ti identificano in maniera tale da essere conosciuto ancor prima di scendere in campo. Sei legato a quel soprannome, la tua carriera è legata a quel soprannome.
E Crespo lo sa. Sin da quando, a 5 anni, indossava la maglia del River nelle giovanili e sognava di diventare un campione,sognava di calcare i campi d'oltreoceano e vestire la casacca albiceleste.
Hernan nasce il 5 luglio 1975 a Florida. Dopo la trafila nel settore giovanile dei Millonarios arriva all'esordio in prima squadra nella stagione 1993-1994, davanti al bollente pubblico della Bombonera. Due anni dopo approda al Parma del patron Calisto Tanzi (per circa 8 miliardi di lire). Un trasferimento che cambierà il suo modo di giocare e di pensare. "Quando siamo in Italia,siamo stanchi dell'Italia. Ma quando non siamo in Italia, l'Italia ci manca" dirà qualche anno più tardi.
Passare da uno stadio da oltre 100 mila posti a uno da nemmeno 20 mila non è il massimo, ma poco importa. Il suo talento viene fuori grazie anche a un personaggio fondamentale per il suo percorso di crescita: Carlo Ancelotti. Che cosa aveva Carletto di così speciale? Ci risponde proprio Hernan: "Nulla. Per lui sei sempre la stessa persona. Se ti stima, lo fa sia che tu vinca sia che tu perda. Per altri allenatori il risultato cambia la prospettiva, per lui no". Manco a dirlo, quel Parma sfiorerà lo scudetto (arrivando a -2 dalla Juventus) grazie a talenti quali Buffon, Thuram e Zola. In 4 anni vinsero una Coppa Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa Italiana.
Crespo segnò tre reti pesantissime in ognuna di quelle finali: pallonetto al Marsiglia, splendido gol di tacco alla Fiorentina e tuffo di testa contro il Milan. Il colpo di tacco sarà un suo marchio di fabbrica (si guadagnerà addirittura il soprannome “Tacco di Dio”, non ce ne voglia il buon Socrates). Ne segnerà altri 3 con la maglia del Parma, contro Bordeaux, Juventus e Milan. Per la cronaca è tuttora il miglior marcatore in A degli emiliani con 72 reti in 163 presenze.
Tuttavia, per spiegare meglio il rapporto tra Crespo e il suo primo allenatore italiano, basta leggere un breve passo della biografia di quest'ultimo: "Siamo al Tardini, primo girone di Coppa contro il Borussia Dortmund, allenato da (Nevio) Scala. Lì, Crespo ha fatto ricredere una città, ha segnato e poi si è portato le mani alle orecchie, credo sia stato il primo calciatore a farlo. Non era sordo, era semplicemente incazzato. Gesto chiarissimo il suo, invitava la gente a fischiarlo. Adesso, dopo che aveva segnato. Il pubblico non gradì, Hernan era stato criticato molto in quel periodo e prima di quel gol aveva ricevuto fischi e pernacchie. Contro il Borussia mi dissero tutti di sostituirlo. "Ma va' a cagher" risposi io. Non l'ho tolto, ha segnato e abbiamo pure vinto. Mi presentai in sala stampa difendendolo a spada tratta, affermando che mai avrei sostituito un calciatore fischiato".
In queste poche righe è descritta l'essenza del Crespo calciatore. Ragazzo serio, maturo ma con quel pizzico di istinto e sregolatezza che il futbol potrero ti lascia sulla pelle. Nel 2000 passa alla Lazio del presidente Sergio Cragnotti dopo un lungo corteggiamento. La squadra parte bene, conquistando la Supercoppa italiana nel pirotecnico 4-3 dell'Olimpico sull'Inter. Crespo non segna, ma dimostra di essersi ambientato a meraviglia negli schemi di Dino Zoff. Terminerà la stagione con 22 gol e il titolo di capocannoniere. Nella stagione successiva il suo rendimento è condizionato dal declino della spettacolare Lazio che per oltre un lustro aveva stupito in Italia e in Europa. Chiuderà con “sole” 13 reti, e alla fine dell'anno sarà ceduto a causa dei pesantissimi debiti accumulati dalla società.
Approda a Milano, sponda nerazzurra, a braccetto con il suo capitano Alessandro Nesta, accasatosi però sulla riva opposta del Naviglio. Amara parentesi, questa. Pochi gol (7) e presenze col contagocce, complici anche numerosi problemi fisici. Sarà girato al Chelsea nell'estate 2003 e anche qui, a causa di una condizione fisica non eccelsa, rimarrà spesso ai box. Tuttavia le sensazioni sono positive. Il campione sta tornando e negli anni a venire tornerà a dimostrare il suo valore. Nel luglio del 2004 passa al Milan, in prestito dai Blues. L'amore con i rossoneri è di quelli fugaci e intensi. Il feeling scatta subito. Il fiore argentino sboccia e mette radici. Segnerà a raffica, trascinando la squadra a un passo dal tricolore e all'amara serata di Istanbul.
Già, Istanbul. Il ricordo di quei 90 minuti è ancora vivo nelle menti dei protagonisti. Alcuni di loro, dopo dieci anni, non riescono a fornire una spiegazione razionale a ciò che è accaduto. Pirlo medita l'addio al calcio, Gattuso e Maldini non si capacitano di aver vissuto attimi simili. Sei minuti di follia che hanno scosso l'intero ambiente rossonero. Hernan gioca un primo tempo sontuoso (segnando 2 gol) ma vede scivolar via la coppa in maniera inesorabile. “Quando il Liverpool ha segnato il rigore decisivo stavo andando nello spogliatoio, poi mi sono fermato e mi sono detto che non era possibile che non stavo vincendo la Champions dopo essere stato in vantaggio di tre gol. Mi sono seduto dietro i fotografi e vedevo Gerrard che alzava il trofeo. Non riuscivo a crederci, sono andato negli spogliatoi senza parole” dirà poi a mente fredda.
La stagione successiva, a causa del mancato riscatto da parte del club allora di via Turati, rientrerà al Chelsea vincendo la Premier League 2005/2006. Tornerà all'Inter (agosto 2006), squadra con cui vincerà 3 scudetti, contribuendo con gol decisivi. Milano, come Parma, è stata uno spartiacque per Crespo. Croce e delizia di una carriera vissuta sul filo del fuorigioco, facendo impazzire difensori e portieri avversari. Il suo girovagare entro i confini della penisola lo porteranno a Genova e poi di nuovo a Parma. “Un giorno vorrei essere come Batistuta” era un ritornello che Hernan si ripeteva spesso. Egli, infatti, non riusciva a rendersi utile senza segnare; capace com'era di vedere la porta e nient'altro sul rettangolo verde.
Chiuderà la carriera nel febbraio 2012, dopo aver raggiunto un certo Diego Armando Maradona nella classifica all-time dei marcatori della Seleccion. Quelle lacrime in conferenza stampa sono il simbolo di un uomo, prima che calciatore, che ha visto interrompersi il suo sogno sul più bello. Molti gli rimproverano di aver fatto poco per quelle che erano le sue potenzialità ma si sa, il calcio è come la società, se non ti conformi a ciò che vogliono gli altri hai poche possibilità di sopravvivere. Hernan è uscito di scena come vi era entrato, dalla porta di servizio. Senza cori né applausi, in un silenzio di chi, come lui, è il simbolo di un calcio d'altri tempi.
Hasta la vista, Valdanito.
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