Finisce una bella avventura

«In quattro anni siamo diventati l’orgoglio di un Paese e dei colombiani nel mondo. Abbiamo fatto crescere tanti ragazzi e partecipato a grandi corse: credo che fossero ormai maturi i tempi per rivedere un team sudamericano al Tour» 

di Giulia De Maio, TuttoBici, n. 11, novembre 2015

Avremmo voluto intervistarlo per parlare dei propositi per il 2016, invece questa volta a Claudio Corti dobbiamo limitarci a dire un arrivederci. L’avventura del Team Colombia si conclude dopo 4 stagioni, a seguito dell’impossibilità manifestata dalla sua prima fonte di sostegno, il Ministero dello Sport Colombiano “Coldeportes”, di confermare il budget necessario alla prosecuzione dell’attività agonistica.

- Come stai Claudio?
«Sono dispiaciuto, ma non essendo riusciti a completare il budget non avremmo avuto la possibilità di portare avanti un lavoro come si deve. Quest’anno ci sono mancati dei risultati che avrebbero contribuito a tenere alto l’entusiasmo di chi ha investito nel team, ma non è facile avere una squadra di soli colombiani, non basta nascere in Colombia per andare forte e, dopo le prime due stagioni in cui abbiamo lanciato i migliori talenti, ci è mancato qualche finalizzatore».

- Il rammarico più grande?
«Mettere la parola fine a un ciclo aperto con entusiasmo e grandi speranze, dopo esserci guadagnati la considerazione di tutti. Mi rimarrà il rimpianto di non essere arrivati a riportare la bandiera colombiana al via del Tour de France: credo che i tempi fossero ormai maturi per centrare questo traguardo. Il cammino degli Escarabajos si conclude con 11 successi, due partecipazioni al Giro d’Italia, una Vuelta a España, quattro Lombardia, due Milano-Sanremo, una Liegi, due Tirreno-Adriatico e tante altre corse prestigiose».

- Il ricordo più bello?
«Questo team è stato qualcosa in più di un semplice progetto ciclistico. Il valore della presenza di questa squadra non va commisurato sui puri risultati sportivi, ma sull’impatto che ha avuto per l’immagine della Colombia nel panorama sportivo e non solo, nella promozione della sua identità, cultura e turismo. Lo sport colombiano si è dimostrato professionale e capace di competere ai massimi livelli e questo è il traguardo più importante centrato. L’accoglienza che gli sportivi colombiani di tutto il mondo hanno tributato alla nostra formazione, diventata un vero punto di riferimento, dimostra in modo eloquente il valore di quanto abbiamo fatto in queste stagioni».

- Cosa ti resta?
«L’invito al Giro, alla Vuelta, la prima vittoria in cima al Pordoi al Giro del Trentino con Atapuma, il primo sigillo World Tour al Giro di Polonia sempre con Darwin. Mi rimane l’orgoglio di vedere primeggiare Chaves e altri nostri ragazzi come Pantano in formazioni di prima fascia. Purtroppo, la decisione finale di Coldeportes ci è stata comunicata solo a metà ottobre, privandoci della possibilità di attivarci ulteriormente nel confronti dell’UCI e di dare un’opportunità in più a tutto il team che ha lavorato con noi in quest’ultimo anno. Un ringraziamento speciale va alla Wilier, per il sostegno offerto in questi anni con le sue biciclette di altissimo livello. A tutti coloro che hanno preso parte e collaborato a questo progetto in questi anni, rivolgo il mio sincero ringraziamento, così come al Presidente della Repubblica Colombiana, Juan Manuel Santos, e al Direttore di Coldeportes, Andres Botero, che in questo percorso hanno fortemente creduto».

- Ora che farai?
«Per prima cosa voglio chiudere ciò che è rimasto in sospeso, per tutelare la mia immagine e mantenere la parola data a chi ha lavorato per questo progetto. Non è un segreto che stiamo aspettando i soldi dal governo per coprire gli ultimi mesi di stipendi, ho avuto rassicurazioni ma ci vuol tempo. Dopodiché tornerò a fare il rappresentante di ciclismo, andrò a venderlo in giro, insomma a cercare sponsor per tornare con una squadra e delle aziende, che possano far bene a tutto il movimento».

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