FOOTBALL PORTRAITS - Di Stéfano



di CHRISTIAN GIORDANO ©

A portarlo in Europa il destino ci prova già nel 1949, quando il River Plate di Stéfano, il 26 maggio, gioca un amichevole in memoria del grande Torino, perito il 4 maggio nella sciagura aerea di Superga. Al giocatore è interessata la Juventus, ma alla richiesta di 45 milioni di lire la trattativa sfuma e così gli argentini tornano in patria assieme al loro gioiello più prezioso, assurto già a fama internazionale. 

Ma nel 1953 le cose prendono un’altra piega. Il real Madrid celebra il proprio cinquantenario invitando in tournée i colombiani del Millonarios, un nome, un programma. Ai tempi il Real è un club di piccola caratura, campione di Spagna nel 1932 e nel 1933, che però il presidente Santiago Bernabéu vuol rendere grande, grandissimo. Come Di Stefano. L’uomo che cambierà la storia, delle Merengues e del calcio mondiale.

1) RIVER PLATE

Alfredo Di Stéfano il 4 luglio 1926 a Barracas, “barrio” alla periferia di Buenos Aires, in una famiglia di origini italiane (il nonno era di Capri). Il padre, ex giocatore del River Plate, possiede una piccola fattoria e per il figlio maggiore, che cresce forte e robusto lavorando nei campi, sogna un futuro da ingegnere agronomo. 

La vita di campagna è dura, ma non abbastanza perché il ragazzo abbandoni la sua grande passione: la palla. Quel magico giocattolo che gli terrà compagnia fino a 40 anni e al quale, a fine carriera, erigerà lungo il vialetto di casa un monumento in bronzo con una targa: «Gracias, vieja», grazie, vecchia mia, non a caso il titolo della sua autobiografia.

A 12 anni, Di Stéfano entra in una squadra giovanile, i Los Cardales, e vince il campionato. A 15 passa al fortissimo River Plate dei primi Anni 40, per giocare nella seconda squadra. A 16, ha già il posto nella prima ma l’esordio avverrà solo tre anni dopo, il 15 giugno 1945.

All’epoca il River Plate schiera una leggendaria prima linea ribattezzata “La Máquina”, la macchina. Da gol, ovviamente, e per la precisione delle giocate. Ne fanno parte per sole 18 ma indimenticabili partite i “Caballeros de la angustia” Juan Carlos Muñoz, José Manuel Moreno, Ángel Labruna e Félix Loustau, così detti per la angoscia che provocavano nelle difese avversarie. 

Di Stéfano, un centravanti, vi debutta all’ala destra, perché al centro dell’attacco gioca "el Maestro" Adolfo Pedernera, uno dei giocatori argentini più forti di sempre. Secondo la storiografia ufficiale, il club manda la giovane promessa a farsi le ossa all’Huracán. In realtà Di Stefano vi resta in prestito una stagione per via del mancato accordo sul contratto con i dirigenti del River. 

Ironia della sorte, quando affronta la sua ex squadra, segna il gol vincente e dopo appena 15 secondi di gioco, un record. Uno dei tanti di quel talentuoso ragazzino, volto scavato e baffetti sottili, la cui carriera parte col botto: 10 gol in 7 partite nel campionato del 1946.

Nel 1947, per 140 mila pesos, il River Plate cede Pedernera all’Atlanta, perché ha pronto in casa l’erede. Il club richiama il 20-enne Di Stéfano, che finalmente corona il proprio sogno: giocare nel ruolo del suo idolo, il centravanti paraguaiano dell’Independiente Arsénio Erico, con 293 centri in 330 partite il “goleador máximo” nella storia del fútbol argentino.

Con compagni di reparto come Moreno e Labruna, il velocissimo Di Stéfano, che in patria chiamano “Saeta Rubia” (la freccia bionda), forma uno degli attacchi più temuti nel Sudamerica. Quell’anno, contro l’Atlanta dell’ex River Plate Pedernera, Di Stéfano segna il gol della vittoria e viene aggredito dai tifosi della squadra avversaria, che lo mandano all’ospedale. In seguito a quell’aggressione, l’Atlanta viene retrocessa a tavolino.

Il River Plate vince il campionato, e con una media di 3 gol a partita. Un terzo del totale sono del 21enne Di Stéfano, capocannoniere con 27 in 30 gare. Quasi consequenziale il debutto in nazionale, che avviene a Guayaquil il 4 dicembre 1947: 7-0 alla Bolivia nelprimo match di Coppa America, normale amministrazione per assi quali Moreno, Pontoni, Pedernera e Labruna. Proprio un infortunio occorso a Pontoni dà a Di Stéfano, inzialmente in squadra come riserva, la chance di scendere in campo, e Alfredo non se la lascia scappare trascinando i suoi alla goleada contro i padroni di casa.

Di Stéfano segna altre 5 reti in 5 partite, finendo il torneo come secondo miglior marcatore dietro l’uruguaiano Falero ma col titolo sudamericano. Ma con l’Argentina i successi finiranno qui, perché a parte quella vittoriosa Coppa America il fuoriclasse giocherà in biancoceleste solo un’altra partita.

2) MILLONARIOS (COLOMBIA)

Dopo lo sciopero dei giocatori professionisti iniziato in Argentina nel 1949, molti dei milgliori giocatori locali si trasferirono nella colombiana Di Mayor, una lega dove si praticava un professionismo spinto. Non avendo il riconoscimento della Fifa, i club di quella lega non rispettavano l’obbligo di versare l’indennizzo alle società dalle quali i giocatori erano stati prelevati e anche così si spiegavano ingaggi stellari.

Sono tante le stelle che vengono attirate dal nuovo Eldorado sudamericano. Oltre al difensore Zuloaga e al portiere Cozzi, i Millonarios di Bogotá reclutano Di Stéfano e i suoi connazionali Héctor Rial, proveniente dal Santa Fe e che Alfredo ritroverà anche oltreoceano, Néstor Rossi, uno dei migliori centrocampisti dell’epoca, e Pedernera, che presto diventa giocatore-allenatore. Sotto la guida del “Napoleón del fútbol”, e soprattutto con i gol di Di Stefano (267 in 294 gare), secondo marcatore nella storia del club, i Millonarios vincono 4 campionati su 5 e regalano spettacolo. Per il modo di giocare danzando in punta di bulloni e il colore delle divise si meritano l’appellativo di Ballet Azul, il Balletto azzurro.

In particolare le prestazioni Di Stéfano sono tali che a furor di popolo ne viene chiesta la naturalizzazione per schierarlo nella nazionale colombiana, anche se ha già difeso i colori dell’Argentina. Ma la scarsa attività internazionale di allora consente all’Aleman, il tedesco, un altro dei suoi soprannomi, appena 4 presenze ma senza gol.

Nel 1953, Di Stéfano è il miglior giocatore sudamericano: ha 27 anni ed è pronto per l’Europa. Lo vogliono il Barcellona e il Real Madrid. I blaugrana seguono la via ufficiale trattando con il River Plate, Santiago Bernabéu spedisce il fido segretario Raimundo Saporta su quella giusta per un accordo coi Millonarios. Tra i club storicamente rivali scoppia la bufera: la Federcalcio spagnola tenta un’improbabile mediazione che vorrebbe il giocatore a stagioni alternate, un anno in blaugrana e un anno coi bianchi di Madrid. Il Barcellona rifiuta e così i fedelissimi del Chamartín ammireranno per undici anni il più forte calciatore del pianeta all’apice della propria carriera. La superstar che farà del Real Madrid, vincitore delle prime cinque edizioni della Coppa dei campioni, il miglior club al mondo. 

3) REAL MADRID

In quel torneo, che i Millonarios vincono a mani basse, la Spagna scopre un giocatore e un modo di giocare mai visti prima. Di Stéfano è semplicemente di un altro pianeta, non solo come straordinario centravanti ma come giocatore a tutto campo capace di dominare da un’area all’altra e di fare tutto benissimo, con una tecnica eccezionale abbinata a una velocità supersonica. Il calciatore totale venti anni prima che il calcio totale venisse inventato.

Non sorprende che i due maggiori club spagnoli lo cerchino già a fine gara. Su tutti Santiago Bernabéu, l’ambizioso padre-padrone del Real Madrid. Per fare del club “merengue” la massima potenza del calcio europeo, Bernabéu sei anni prima ha fatto costruire l’enorme impianto del Chamartin e adesso cerca la superstar in grado di stiparne gli spalti e la bacheca. E Di Stéfano è il calciatore ideale per assolvere al duplice scopo: il fuoriclasse attorno al quale costruire uno squadrone capace di dominare in Spagna e in Europa.

Saputo che il Barcellona sta trattando con il River Plate, il vecchio club di Di Stéfano, gli uomini del Real Madrid volano in Colombia per negoziarne il trasferimento con il nuovo, i Millonarios. Raimundo Saporta, segretario dei bianchi madridisti e braccio destro di Bernabéu, risulta decisivo nel portare Di Stéfano al Real. Poco impressionato dalle prime prove madridiste di Di Stéfano (secondo i maligni, appositamente giocate sotto tono), il Barcellona propose agli storici rivali di cedere i rispettivi diritti sul giocatore alla Juventus. Ma Di Stéfano rifiutò e così fece il Barcellona quando la Federcalcio spagnola propose la pilatesca e assurda soluzione di far giocare Di Stefano alternativamente una stagione con il Madrid e una con il Barça. I blaugrana rinunciano ai diritti sul giocatore e finalmente “don Alfredo”, come lo chiamano già per l’inarrivabile carisma e le doti da condottiero, si veste di “blanco” per l’equivalente di 70 mila dollari dell’epoca, bruscolini in confronto alle cifre che regolano il mercato dei calciatori e niente in rapporto all’impatto che il campione avrebbe prodotto di lì a un decennio nel calcio spagnolo, europeo e mondiale. 

Il giorno dopo la firma, Di Stéfano debutta nella Liga battendo proprio il Barcellona e per 5 a 0, una partita di cui in Spagna si parla ancora anche perché quattro gol li segna proprio lui, Di Stefano. 

In quell’incontro gioca anche una velocissima e giovane ala sinistra, Francisco “Paco” Gento. Bernabéu lo ingaggia nello stesso anno in cui prende Di Stéfano: la spina dorsale del formidabile attacco che presto dominerà l’Europa è fatta.

Ispirati dai cross di Gento, Hector Rial e, soprattutto, Di Stéfano trascinano il Real Madrid alla vittoria nel campionato 1953/54. Di Stéfano, capocannoniere con 29 gol, ha ormai scalzato il blaugrana Ladislao “Laszlo” Kubala come miglior giocatore di Spagna.

La stagione successiva il Real Madrid rivince il campionato e si qualifica per la prima edizione della Coppa dei Campioni, la manifestazione su cui edificherà la propria leggenda.

Il torneo 1955-56 vede al via solo 16 squadre e il Real batte gli svizzeri del Servette, gli jugoslavi del Partìzan Belgrado e il Milan. Nella finale di Parigi, il 13 giugno al parco dei Principi, batte 4-2 i francesi dello Stade Reims guidati dal funambolico Raymond Kopa, considerato il miglior giocatore francese fino all’arrivo di Michel Platini. Il Real va sotto due volte, per i gol di Leblond al 6’ e al 10’, ma Di Stéfano al 15’, la doppietta di Ríal (al 30’ e al 79’) e il sigillo di Marquitos al 67 regalano ai “merengues” la prima Coppa dei Campioni.

In quella gara, il Real rimane così impressionato da Kopa da volerlo a tutti i costi a Madrid. Ma con Di Stéfano che occupa la stessa zona centrale in attacco, il francese dovrà adattarsi a giocare all’ala destra.

Con la superba prima linea formata da Di Stéfano (miglior marcatore in campionato con 24 gol), Rial, Kopa e Gento, il Real arriva secondo in patria (dietro l’Athletic Bilbao), ma si conferma campione d’Europa superando gli austriaci del Rapid Vienna, i francesi del Nizza e in semifinale gli inglesi del Manchester United dei cosiddetti "Busby Babes", tra cui i temibili Bobby Charlton e Duncan Edwards. 

In finale, giocata il 30 maggio in casa contro la Fiorentina allenata da Fulvio Bernardini, Di Stéfano segna (al 70’) su dubbio rigore, il primo gol del 2-0 conclusivo. L’altra marcatura, 6 minuti dopo, è di Gento. Quell’anno, il Real Madrid conquista anche la Liga e Di Stéfano, con 31 gol, il suo terzo titolo di capocannoniere. In seguito alla sua magica stagione, Alfredo vince il Pallone d’Oro e il premio di miglior giocatore di Spagna dell’anno.

In vista della stagione 1957/58, dopo il francese Kopa, al Real Madrid arriva un’altra superstar straniera. È il centromediano uruguaiano José Emilio Santamaría, già protagonista ai mondiali del 1954 in Svizzera. 

Quell’anno Di Stefano, se possibile, gioca in maniera ancora più spettacolare, e con lui la squadra. Che approda ancora in finale di Coppa dei Campioni, stavolta a Bruxelles contro il Milan, in cerca di rivincita dopo la sconfitta in semifinale di due anni prima. Nei rossoneri, capitanati da Cesare Maldini, militano due campioni di livello internazionale come lo svedese Nils Liedholm e l’uruguaiano Juan Alberto Schiaffino. Ma a spuntarla, per 3-2 nei tempi supplementari, è ancora una volta il Real Madrid di Di Stéfano, autore (al 74’) del momentaneo 1-1. Alfredo è anche il top scorer del torneo a quota 10 reti. 

Per restare sul trono europeo il Real Madrid si rafforza prelevando Didì, il regista del Brasile campione del mondo in Svezia e l’asso ungherese Puskas. Ma Didi, asso delle punizioni “a scendere”, gioca – seppure in posizione più arretrata – nello stesso ruolo occupato da Di Stéfano, che per di più mal ne sopporta i ritmi lenti e la scarsa propensione ai contrasti. Caratteristiche poco adatte al calcio spagnolo e che lo costringeranno all’addio. Puskas invece capisce subito tutto: alla sua prima partita, anziché realizzare un gol facile, si fa amico Di Stéfano servendogli un assist al bacio. 

A causa di un infortunio Puskas no ci sarà nel Real Madrid che a Stoccarda il 3 giugno 1959, superando per la seconda volta lo Stade Reims di Albert Batteux, vince la quarta Coppa dei Campioni consecutiva. Il trofeo consola la squadra per la mancata vittoria in campionato, andata al Barcellona nonostante il quinto titolo di capocannoniere (con 25 gol) di Di Stéfano, che chioude l’ennesima annata trionfale con il suo secondo Pallone d’oro.

Nel 1960 si chiude l’epopea del grande Real. In patria la supremazia è ancora del Barcellona, ma in Europa il colore che predomina è sempre il “blanco” madridista. Nella finale dell’Hampden Park di Glasgow, il 18 maggio davanti a 127mila spettatori, l’Eintracht Francoforte va in vantaggio al 19’ con Kress ma nulla può contro lo strapotere di Di Stefano e Puskas: il primo segna tre gol, il secondo addirittura una quaterna. La partita, una delle più grandi di tutti i tempi, finisce 7-3. Per il Real Madrid è il quinto titolo europeo consecutivo.

INTERCONTINENTALE

Il primo alloro mondiale arriva in autunno, con la nuova manifestazione denominata Coppa Intercontinentale, nella quale i campioni d’Europa sfidano quelli del Sud America. Gli avversari del Real Madrid sono gli uruguaiani del Peñarol. A Montevideo termina 0-0. Ma a Madrid, l’uno-due Di Stéfano e Puskas fra il 3’ e il 4’ aprono al Real la strada verso lo squillante 5-1 finale che vale il titolo.

IL CREPUSCOLO

È il canto del cigno per quello squadrone leggendario, perché il 23 novembre il Real Madrid subisce la sua prima eliminazione in Coppa dei Campioni. E a infliggergli lo storico smacco è proprio il Barcellona, il rivale di sempre: 2-2 al Chamartin e 2-1 al Camp Nou. La sconfitta segna la fine del cammino continentale del Di Stéfano calciatore. E senza di lui, il Real Madrid non sarà più lo stesso.

In realtà sotto la sua guida il Real raggiunge altre due finali in Coppa dei Campioni, ma le perde. Il 2 maggio 1962, all’Olympischstadion di Amsterdam, 3-5 contro il Benfica di Eusébio, autore di una doppietta. Il 27 maggio 1964, al Prater di Vienna, 1-3 contro la grande Inter di Sandro Mazzola, anche lui due volte a segno, dopo aver vinto il timore reverenziale che all’inizio lo aveva quasi paralizzato alla vista del suo mito, l’ormai 38enne Di Stéfano. La sconfitta coincide con l’addio madridista del campione, che chiude la carriera con un biennio (e 19 reti) nell’Español, la seconda squadra di Barcellona.

Risale invece a due anni prima il più grande rammarico nella carriera dell’asso argentino: l’essere sceso in campo in un Mondiale. Già 36enne, in Cile ha l’ultima occasione per riuscirci grazie alla qualificazione ottenuta dalla Spagna, la sua terza nazionale: un record condiviso con Kubala, che oltre a quella spagnola ha vestito le maglie di Ungheria e Cecoslovacchia. Il Ct è Helenio Herrera, che per lui stravede: «Pelé era il primo violino dell’orchestra, Di Stéfano era l’orchestra».

Il destino, però, ancora una volta ci mette lo zampino, perché Alfredo si fa male a un ginocchio poco prima del torneo. Di Stéfano non recupera in tempo e così pur facendo parte della spedizione non riesce a giocare, perché, incredibilmente, lo squadrone che ha Puskas, Suarez, Gento, Del Sol e Santamaria esce al primo turno. Un’eliminazione che forse la dice lunga su quale fosse l’importanza anche di un Di Stéfano anziano. 

Nel 1966, a quarant’anni, i problemi alla schiena lo costringono al ritiro. Alfredo gioca in lacrime la sua ultima partita, al Chamartìn contro il Celtic.


ALLENATORE

Dopo 32 anni di carriera da giocatore, prova a restare nel calcio come allenatore. Nonostante qualche successo, un ruolo che non si addice. Nel 1969 porta il Boca Juniors al titolo Nacional argentino. Poi guida lo Sporting Lisbona per una parte della stagione 1974-75. Nel 1981, torna al River Plate che con lui torna a laurearsi campione d’Argentina. Torna in Spagna dove vince il campionato con il Valencia (la prima vittoria del club in 24 anni) e la Supercoppa Europea 1980. Ci prova anche con il Real Madrid, per brevi periodi durante le stagioni 1982-83 e 1990-91, prima di diventare a vita presidente onorario del club. Ma in panchina è un altro Di Stefano. «Per allenare ci vuole pazienza, e io non ne ho mai avuta». 

Con la palla tra i piedi, non gli serviva. Gracias, vieja.

CHRISTIAN GIORDANO
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