HOOPS MEMORIES - Larry vs ’Nique: Shootout on Causeway Street



di CHRISTIAN GIORDANO

Il duello fra Paul Pierce (41 punti) e LeBron James (45) in gara7 delle semifinali della Eastern Conference NBA 2008, Celtics-Cavaliers 97-92 di domenica 18 maggio al TD Banknorth Garden? 

Un remake del western girato da Larry Bird e Dominique Wilkins in quella di domenica 22 maggio 1988, Boston-Atlanta 118-116. Shootout on Causeway Street, così passerà alla storia la sparatoria il cui OK Corral fu il vecchio Garden. 

Sembravano due pistoleri uno di fronte all’altro, pronti al duello – ricorda Kevin McHale, ala forte di quella frontline biancoverde, forse la miglior batteria di lunghi d’ogni epoca – Bum! Larry ne metteva uno, Dominique un altro. Larry risegnava, Dominique anche. Fu incredibile. Quattro minuti di basket nella sua forma più pura». 

Era come – si scrisse oltreatlantico – guardare Fred Astaire che duetta nel tip tap con Savion Glover, o ascoltare Jimi Hendrix che arroventa accordi alla chitarra con B.B. King. Sul parquet, quell’incandescente sfida fra opposti stili produsse uno dei più sensazionali confronti individuali nella storia della postseason NBA.

Da una parte il signore del gioco sotto il ferro; dall’altra, in totale e per nulla stridente contrasto, i voli e le schiacciate dello Human Highlight Film. La precisione al tiro e l’eccellenza nei fondamentali facevano di Larry Legend l’idolo dei puristi, mentre le spettacolari acrobazie aeree di ’Nique entusiasmavano le giovani generazioni di appassionati. 

A Bird, un 2.04, Wilkins rendeva un paio di centimetri di statura, ma rispetto a Larry era di gran lunga più saltatore. E pur giocando entrambi da ala piccola, non sempre si marcavano a vicenda. Di solito era sì Dominique a occuparsi del «33» biancoverde, ma quando la palla era degli Hawks, il compito di contenere il «21» biancorosso toccava ai lunghi tentacoli del 2.09 McHale.

I Celtics erano una squadra vecchiotta, giunta alle ultime quattro Finali NBA (e campione in due, 1984 e 1986) e, forse, all’ultima chance di rivincere l’anello. Gli Hawks avevano fatto i playoff per nove volte in 11 anni, ma non erano mai andati oltre il primo turno. 

Per i primi due quarti erano stati McHale (21 dei suoi 33 punti totali, più 9 rimbalzi) e, dall’altra parte, Glenn “Doc” Rivers (10 punti e 12 assist), che per un curioso intreccio del destino sarà, vent’anni dopo, l’head coach della ritrovata grandeur bostoniana, le migliori spalle delle rispettive superstar. Ma con la partita ormai agli ultimi, decisivi momenti, sulla scena restavano solo Bird e Wilkins.

La sparatoria, che covava sottocenere per tutta la gara, si infiammò sull’86-pari, a 10’26” dalla fine. Al jumper con 10’03” da giocare Larry fece seguire una striscia di nove punti in meno di due minuti. Ma gli Hawks rimasero attaccati ai Celtics grazie soprattutto a Nique, che impattò di nuovo, 99-99 a 5’57” dallo scadere. 

Ai successivi undici, sontuosi punti di Bird, tra cui la strepitosa tripla in sospensione su Wilkins a 1’43” dall’ultima sirena e il layup in entrata a 26” dal termine (quello del 114-109 Boston), Wilkins rispose segnandone altrettanti, e in particolare i sette degli ultimi 1’31” che tennero vivi i suoi: 114-111 grazie al canestro segnato dopo aver preso il rimbalzo nato da un suo errore al tiro. «[Bird] infilò quella tripla pur avendo le mie mani in piena faccia – cosa puoi fare?» dirà poi lo sconfortato Wilkins che, dieci anni dopo, in maglia Fortitudo, regalerà a Danilovic e alla Virtus Bologna il "gioco da 4 punti" che decise gara5 e scudetto nella forse più emozionante finale nella storia del campionato italiano. «Penso di aver fatto tutto ciò che potevo in attacco, e in difesa gli stavo sempre addosso. Lui infilava i tiri importanti, io pure».

A quel punto, però, Bird fece la miglior giocata del match. Niente di spettacolare o di lezioso, solo la cosa giusta (e più scaltra) nel momento giusto. Insomma, il suo marchio di fabbrica. Non appena quell’ultimo tiro di Wilkins bruciò la retìna, Bird afferrò la palla, mise piede dietro la linea di fondo e servì lo smarcatissimo Danny Ainge, che si trovava a metà campo. Ainge si fiondò verso il cesto di Boston e sbagliò il layup, poi dato valido perché a Rivers venne fischiata interferenza a canestro. 

A 17” dalla fine, i Celtics guidavano 116-111; a un secondo dalla Finale di conference, 118-115. Ma con Wilkins in lunetta per due liberi. Segnato il primo, Nique sapeva che per Atlanta l’unica speranza di rimonta era che lui sbagliasse intenzionalmente il secondo e che un suo compagno riuscisse a prendere il rimbalzo e a pareggiare. E così fece: spedì il tiro libero oltre il ferro, ma a rimbalzo il più lesto fu il centro di Boston, Robert Parish, che schiaffeggiò il pallone verso il proprio compagno Dennis Johnson mentre la sirena emetteva l’ultimo acuto.

Ai Celtics andarono vittoria e serie, ma la loro gioia fu breve perché Detroit li avrebbe eliminati (4-2, come accadrà, a parti invertite, quattro lustri dopo) nelle Finali a est. Atlanta invece non avrebbe più superato il secondo turno dei playoff per il resto del secolo. 

All’apice della carriera, Wilkins aveva tirato con un eloquente 19/23 e firmato 16 punti nel quarto periodo. «Mai stata tanto dura marcare uno che ha fatto 47 punti» il commento di McHale. Eppure qualsiasi cosa Nique infilasse nel cesto bostoniano, quel satanasso d’irlandese trovava il modo di rispondergli, e sempre nei momenti decisivi. 

Dei suoi 34 punti Bird ne segnò 20 nel quarto periodo, anzi negli ultimi 10’03”, infilando nove tiri su dieci (per un totale di 15 su 24). Uno più pesante dell’altro. «Voleva la palla, e alla fine li ha salvati – dirà di lui l’assistant coach degli Hawks, Don Chaney, che nell’ultimo anno da giocatore, stagione 1979-80, lo aveva avuto come compagno in biancoverde – È quella la stoffa di cui sono fatti i fuoriclasse».

«La più grande prestazione cui io abbia assistito – è il parere di Dirk Minniefield, guardia di quei Celtics – Era come se [Larry] stesse giocando sul Monte Olimpo, e noialtri giù sulle isole greche». 

Con un’eccezione: Wilkins, che lassù, sull’Olimpo con Bird, c’era rimasto per tutta la gara. «Tante volte ti chiedi che cosa avresti potuto fare in più – dirà Nique – Ma non oggi. Onestamente, posso dire di aver fatto tutto quel che potevo per vincere. E anche i miei compagni». Bird, al solito, anche di più.

Christian Giordano ©
MEMORIES - Momenti epici di basket USA
Rainbow Sports Books ©


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