Renato Laghi


Un esempio di dedizione verso il ciclismo e i suoi valori. Una carriera lunghissima tutta votata ai sui capitani e ai colori delle proprie squadre. Renato Laghi rappresenta lo stereotipo del corridore poco dotato di talento, pronto a mettere a frutto la sua crescita, orientarla nelle giuste direzioni, fino a superare decine e decine di colleghi nati con mezzi decisamente superiori. Nel suo genere è stato un grande verso il quale c'è da togliersi il cappello. 

Cresciuto nella squadra giovanile del suo paesino delle colline faentine, ispirata e fondata da Don Zannoni, un parroco amante del ciclismo e operatore instancabile già negli anni trenta, Renato si dimostrò presto un corridore dotato di fondo, dallo spirito battagliero e con una palpabile capacità di soffrire. Totalmente privo di sprint, pagò in termini di vittorie questa sua mancanza, ma al traguardo arrivava sempre, spesso coi primi. Abbastanza per essere preso in considerazione dagli occhi lunghi e dal buon senso degli operatori tecnici del professionismo di allora. Con un bottino che conteneva una quindicina di successi dagli allievi ai dilettanti passò così nell'élite del ciclismo nel 1967, nelle fila della Germanvox. Qui trovò un capitano nella fase calante di carriera come Vito Taccone, ma Laghi continuò a crescere imparando bene il "mestiere" di gregario, capace di animare le corse e magari cercare quell'acuto personale in grado di evitargli l'impossibilità dello sprint. In questo contesto, notevole il suo terzo posto nella Coppa Sabatini '68. Nello stesso anno, chiuse 24° il Giro d'Italia. 

Nel '70 passò alla Sagit e finì la "corsa rosa" in venticinquesima posizione. Nella stagione, sempre per colpa di uno spunto veloce inesistente, colse il secondo posto al Giro dell'Umbria vinto da Motta. Il buon comportamento complessivo di Renato convinse Waldemaro Bartolozzi, direttore sportivo della Filotex, a inserirlo, nel 1971, nelle fila della sua formazione, col chiaro intento di fungere da spalla di Franco Bitossi. Per il faentino fu l'inizio di un'èra. Sempre vicino al suo capitano lo seguì nell'esperienza Filotex, in Sammontana ('73), Scic ('74 e '75), Zonca Santini ('76) e Vibor ('77). In tutti questi anni, escluso il '76, finì bellamente il Giro d'Italia, senza uscire mai dai primi cinquanta in classifica. 

Nel 1977, con già 33 primavere alle spalle, Renato Laghi, colse la sua unica vittoria da professionista e lo fece con un'impresa che è rimasta impressa nelle memorie ciclistiche. Teatro di questo successo, l'ultima tappa di montagna del Giro d'Italia, Madonna di Campiglio-San Pellegrino di 205 chilometri percorsi quasi tutti da solo, nonostante le asperità, ad una media notevole: 35,362 km/h! Sul traguardo anticipò di 1'32" G.B. Baronchelli. Arrivò stremato, ma l'aveva davvero fatta grossa. Il suo successo fu festeggiato da tutti, Bitossi in primis, perché ben si sapeva quanto il faentino meritasse, per la limpida carriera, quella gioia. 

Nel 1978, nell'ultimo anno di corse del capitano toscano, le carriere dei due si separarono: Franco andò alla Gis e Renato rimase in Vibor, chiudendo il Giro al 43° posto. 

Nella stagione successiva il piccolo gladiatore di Errano, passò alla CBM Fast Gaggia e, a dispetto delle 35 primavere, fu ancora capace di un piazzamento di nota al Giro di Toscana, terzo. Finì il Giro in cinquantunesima posizione, la peggiore in carriera, dimostrando anche da questo dato, quanto fosse dotato di fondo e di facoltà di sacrificio. 

A fine anno, dopo tredici onorate stagioni fra i professionisti, il simpatico e onesto campioncino di Errano chiuse col ciclismo pedalato, ma rimase nell'ambiente, mettendosi al servizio del sodalizio che lo forgiò, la Polisportiva Zannoni.

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