FERRETTI: «LA SKY? È LA ROVINA DEL CICLISMO»


«Speriamo che se ne vadano, in tanti la pensano come me»

di Alessandra Giardini, TuttoBiciWeb, 27 gennaio 2018

«Cosa faccio? Invecchio, lavoricchio. Curo la mia società immobiliare. E poi vado a spasso con i miei cani, due Jack Russell, una razza stupenda. Sono due femmine, mamma e figlia, Molly e Lilly». 

Dall’ammiraglia Giancarlo Ferretti ha guidato grandi campioni e ha visto scorrere più di trent’anni di ciclismo. Ma la sua esperienza da direttore è ferma al 2005, quando chiuse la Fassa Bortolo. Da allora Ferron guarda il ciclismo da amante, da appassionato, da critico. E sempre, si capisce, da tecnico.

Non pensa mai di rimettere su una squadra?
«Ci ho pensato, e ci penso ancora. La mente per fortuna non mi abbandona, e spesso il pensiero va a finire lì, nel ciclismo. Ma quello che vorrei non è fare una squadra qualunque, vorrei una squadra come quelle che ho avuto. Ci sono dei bravi tecnici che mi suggeriscono di metterla su, non posso fare i nomi. Dico solo che l’attrezzatura umana ce l’avrei già».

Cosa manca?
«I soldi ovviamente. Ho cercato uno sponsor anche fuori dall’Italia. Ma sono fuori da anni, non è facile. Però continuo a fanstasticare. Ho sempre lavorato anche con la fantasia».

Ha lavorato con i più grandi corridori, e ha vinto sempre.
«Per chi mi conosce da tempo, è normale pensarlo. Ma adesso cercano i giovani, e fanno bene. L’età pesa: non per me, ma per gli altri sì. E prima o poi peserà anche per me, ho 76 anni. Se riuscirò a fare una squadra, non farò più come prima: la avvierò, poi andrà avanti con le sue gambe. Però se c’è da parlare di ciclismo, sono pronto a sostenere il confronto con tutti i tecnici».

Parliamone, allora. Come sta il ciclismo?
«Si è un po’ appiattito. La gente lo segue ancora, si capisce, ma si divertiva di più quindici, vent’anni fa. Purtroppo non si lavora più molto di fantasia, manca l’imprevedibilità. Tutte quelle maglie nere in testa, non sono il massimo per uno che si vuole divertire».

Quest’anno saranno bianche. Sky non le piace, dunque.
«E’ una squadra che ha tanti soldi e prende tanti corridori forti. Ne ha sette-otto che potrebbero fare i capitani nelle altre squadre. Ma correre così avvilisce il ciclismo».

Un corridore mi ha detto che così in gruppo si fa meno fatica, tanto c’è Sky che controlla la corsa.
«Se non è uno di Sky ha detto una cosa grave, non voglio sapere chi è. Ma un corridore può anche essere uno stupido. Se lo dicesse un tecnico, sarebbe da radiare. Correre in bicicletta è fatica, bisogna sudare. Se va bene ci prendi gusto, vincere dando spettacolo è bellissimo, però te lo devi meritare. Bisognerebbe fare qualche convegno con i tecnici per spiegargli come rendere un po’ più interessante il ciclismo. Bisogna motivare i corridori».

Ci sono squadre che corrono come piace a lei?
«Ci sono. La Movistar sa correre, la Quick Step pure. Sky no, e c’è tanta gente che la pensa come me. Speriamo che se ne vadano dal ciclismo, sono loro che lo rovinano».

Viviani, che li conosce bene, dice che a loro non interessa lo spettacolo: vogliono vincere, e vincono.
«Anche a me interessava vincere. Ho letto quello che ha detto Damiani proprio su tuttobiciweb: che io correvo per vincere anche se avevo un gommone e dovevo vedermela con una portaerei. E’ vero. Però ai miei corridori chiedevo di fare sempre bella figura, di menare la danza. Oggi ci sono molti direttori sportivi che non dovrebbero stare alla guida dell’ammiraglia, farebbero bene a mettersi nel baule. Invece quando mettono fuori la testa dalla macchina si sentono come nei film di guerra, quando Rommel veniva fuori dal carrarmato».

Quelli bravi dove sono?
«Lefevere ha dei direttori sportivi di prim’ordine. Unzue è Unzue. Anche la BMC non è male, e la Sunweb. E molti validi tecnici sono in squadre modeste». 

Rivedremo una squadra italiana ad alto livello?
«Tutto è possibile, ma mi sembra difficile. Anche perché io la decima squadra del mondo non la considero grossa. Grosse sono le prime tre. Devi avere un budget di almeno venti milioni. Non è facile trovare i soldi. Sapete cosa mi hanno detto i manager a cui ho proposto di investire in un team? Nel ciclismo si drogano tutti, mi hanno detto. Vagli a spiegare che non è vero, o che in altri sport è peggio. E’ anche colpa vostra, benedetti o maledetti giornalisti, con quei titoloni».

Purtroppo non possiamo mai stare tranquilli. Questa storia di Froome non ci voleva. Se fosse un suo corridore l’avrebbe sospeso?
«Sì, io sì. Ma loro fanno quello che vogliono. Però è tutto sbagliato. Perché 'sto salbutamolo dev’essere consentito fino a un certo limite? Se serve per curare l’asma, niente salbutamolo. Se sei malato, invece di correre vai a casa. Se non respiri come fai ad andare in bicicletta? Il ciclismo è uno sport per atleti sani e forti».

Se lei fosse il presidente dell’UCI cosa farebbe?
«Faccio fatica a rispondere perché io non sono mai stato presidente di niente. Però le regole nuove mi fanno schifo: finirà che correremo il Giro d’Italia con squadre di cinque corridori, ma perché? Per la sicurezza? Non bisogna ridurre il numero dei corridori per squadra, ma quello delle squadre. Al Giro, al Tour, come nelle grandi classiche, devono correre solo le squadre di valore».

Le wild card non le piacciono?
«Non sono le wild card il problema. E’ il sistema dei punteggi che è sbagliato, ormai le squadre non corrono più per vincere ma soltanto per piazzarsi. Si accontentano. Non fanno niente per tutta la corsa e poi a venti chilometri dalla fine si danno da fare per piazzare più corridori che possono. Ma se i corridori non pensano più di poter vincere, è finita».

Le piace vedere in corsa la Nazionale?
«No. Cassani ama molto l’idea di avere una squadra, ma ce l’ha: è quella azzurra, deve correre i Mondiali, gli Europei e le Olimpiadi. Che senso ha una Nazionale che fa le altre corse? E quanti corridori ha, settantacinque? E’ qualcosa che fa soltanto confusione. Davide prende sempre come esempio Martini, ma Martini tutta 'sta confusione non l’ha mai fatta. Cassani è stato un mio corridore, gli sono affezionato, gli voglio bene, però dico quello che penso».

E’ finalmente l’anno del Mondiale azzurro?
«E’ possibile, qualche corridore c’è. E’ ora che andiamo sul podio, ma attenzione: i posti che contano sul podio sono pochi, anzi uno. Conta solo l’oro. Il secondo e il terzo sono il primo e il secondo degli imbecilli».

Lei ha guidato grandissimi campioni. Ce n’è uno nel suo cuore?
«Non c’è, e se ci fosse non lo direi. Ho avuto circa duecento corridori, e anche per il più umile ho fatto di tutto. Mi piacevano tutti, chi non mi piaceva lo mandavo via».

Il più grande che abbia mai visto?
«Si chiama Eddy Merckx, e siamo diventati molto amici. Abbiamo fatto le notti fuori, ci siamo anche ubriacati. Perché quando uno è grande sa anche vivere. Un altro che non dimentico mai è Gimondi».

Una volta ha detto che a Bugno mancava qualcosa.
«Confermo. E’ troppo buono, e se fai il corridore è un difetto. Correva sempre in fondo, lui che era il più forte. E se vedeva uno cadere, era capace di fermarsi per essere sicuro che non si fosse fatto male, e magari era un suo rivale. Gli mancava la grinta? Sì, quella roba lì, io la chiamo cattiveria. Quando corri vai in guerra, e se sei buono non va bene».

C’è un corridore su cui si è sbagliato? Uno che pensava sarebbe arrivato e invece si è perso?
«Più d’uno. Ma non lo dico».

E uno che l’ha stupita in positivo?
«Quello lo dico subito: Petacchi. Era stato cinque anni con Reverberi, lo presi per tirare le volate a Konychev, non avevo capito. Poi ho parlato con lui, era tutto diverso da come me l’ero immaginato. Era Petacchi. Forte, fortissimo. E di un’onestà unica».

Nibali le piace?
«Sì, è quello che mi piace di più. Lo stimo molto, è uno dei pochi che sa correre in maniera intelligente, sa attaccare, ha fantasia. E’ il migliore che abbiamo. E uno dei migliori del mondo».

Abbiamo anche Aru.
«Sì, è bravo, può crescere. Ma non è Nibali. Uno che mi piace molto sai chi è?».

Credo di sì. Moscon?
«Sì, proprio Moscon. Mi piacerebbe allenare uno così. E’ come me, ha poca paura, è cattivo in corsa».

Gliene hanno dette di tutti i colori.
«L’hanno un po’ ingrandita. Se fosse un mio corridore gli direi che certe cose non le deve dire o fare, ma non esageriamo, dai».

Sagan le piace?
«Mi piace sì. E’ forte. Furbo. Però una cosa la devo dire: se uno ha una squadra e sa che in gruppo c’è Sagan deve cominciare dopo venti chilometri a martellarlo ai fianchi. Altrimenti lui fa quello che vuole, e alla fine li va a prendere tutti e li batte. Certo, è fatica corrergli contro. Ma davvero vogliono correre in bici senza fare fatica?».

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