Bartoli: «Al Fiandre devi essere un maestro»


Michele, re nel 19'96, svela i segreti della Ronde: «In discesa consumi quanto sui Muri»

di Claudio Ghisalberti, Gazzetta dello Sport, venerdì 30 marzo 2018
twitter@ghisagazzetta

Diciotto Muri di pietre, così irregolari e mal messe che faresti persino fatica a farli camminando; 265 chilometri con il coltello sotto la sella. E, secondo le previsioni, con la pioggia a rendere quelle stradine viscide, infide, pericolose. Domenica di Pasqua, il primo marzo, in Belgio, da Anversa a Oudenaarde questo sarà il teatro del Giro delle Fiandre numero 102. Ma come si corre la Ronde? Lo abbiamo chiesto a un maestro del pavé, Michele Bartoli che i Muri li spianò nel 1996. Il toscano era un corridore così bello, così elegante in sella, che sulle tremende rampe in pietra del Nord nemmeno si scomponeva. Poi, una volta sceso dalla bici, ha aperto i libri, s'è messo a studiare e adesso uno dei più apprezzati allenatori.

«La cosa più importante – attacca Michele – è che al Fiandre devi sempre stare nelle prime trenta posizioni. Già di per sé questo non è facile, bisogna essere dei maestri, e comunque a volte non è sufficiente. Con stradine strette, curve e controcurve anche un mini-ventaglio può fare male. Ti capita a volte di essere in settima posizione e sei già troppo dietro».

IDEA 
Non tutti in Tv percepiscono cosa siano i Muri e come salgono i corridori che si giocano la vittoria. Non sempre si ha l’idea di cosa siano il Vecchio Kwaremont (2.200 metri al 4,2% e punte all’11) o il Paterberg (400 metri al 12,5% con punte al 20) dopo 250 chilometri di inferno. «Negli ultimi vent’anni – prosegue Bartoli – sono cambiati il numero di rapporti a disposizione e il sistema di pedalata. Io salivo a circa 75 pedalate al minuto, ora mediamente ne hanno dieci in più. Sui primi Muri serve più agilità per venirne fuori. Si usa un 39x25. Ma se devi fare lo scatto giusto credo si vada ancora sul 39x19, più o meno. Chi vince, fa il Paterberg a 500 watt di media. Una potenza impressionante».

- Come si deve pedalare?
«A me i Muri piaceva farli in piedi sui pedali. Però per riuscirci, e fare la selezione, non devi fare saltare la ruota posteriore, non devi perdere aderenza. Quindi serve un rapporto più duro. Invece le mani, per guidare meglio, sempre sulle leve».

- Una tattica di gara così, a intensità notevole e senza un tratto di strada dove potere rifiatare un attimo, è molto logorante.
«Anche il consumo energetico è velocissimo, perché c’è anche la tensione che contribuisce ad aumentare il dispendio energetico. Poi il percorso è così complicato che in discesa consumi quanto in salita. Al Fiandre si arrivano a bruciare 5.000 calorie».

L’alimentazione?
«Nella prima parte, alimentazione classica, magari leggermente più proteica. Da metà gara si aumentano i carboidrati fino ad arrivare agli zuccheri a rapida assimilazione per il finale. In ogni caso, parliamo di una gara di sei ore e mezzo-sette, l’alimentazione deve essere molto completa».

- Qualche segreto?
«Nella prima parte è bene pensare anche a soddisfare il palato. A me piacevano i “paninetti” con la nutella. Me ne mangiavo almeno tre. Poi bisogna alimentarsi dalla partenza, subito. La strategia migliore è una colazione leggera, senza abbuffarsi, perché è meglio partire reattivi, più sciolti, più pronti. Se mangi troppo a colazione, il fisico lavora male».

- E la bici? Come si prepara?
«Per Fiandre e Roubaix si dà molta importanza alla pressione dei tubolari. Io li volevo quasi in assetto da strada: 8 davanti, 8,5 dietro. Dovevo discutere con i meccanici per farmi ascoltare perché mi dicevano di tenerli meno gonfi. Però i tubolari erano speciali per il Belgio, più resistenti alle forature e con un maggiore grip. I tubolari si portano dietro il discorso ruote. Vent’anni fa, erano in alluminio con i raggi legati per maggiore rigidità. Se fossi Nibali, non avrei dubbi a usare cerchi a profilo alto in carbonio. La posizione, invece, non la cambiavo di un millimetro».

- E per gli indumenti?
«Non ho mai gradito vestirmi molto e credo che ancora oggi non essere troppo coperti sia la cosa migliore. Anche in caso di freddo e pioggia non adottavo stratagemmi particolari. Però mi pare importante tenere calde le estremit. mani e piedi».

Una sfida bestiale.

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