La parata trionfale del Giro: sprint da grande bellezza
Dieci giri di 11,5 km: passerella finale tra monumenti e scorci famosi nel mondo.
Nel 2009 l’ultima volta col brivido per la caduta di Menchov
di CLAUDIO GREGORI,
La Gazzetta delo Sport, domenica 27 maggio 2018
Forse stamane Tom Dumoulin si recherà con la fidanzata alla Bocca della Verità, che ha il potere di pronunciare oracoli. Proprio come Gregory Peck e Audrey Hepburn nel film Vacanze Romane. E forse, dopo i brividi, anche loro schiuderanno gridolini di gioia. Il Giro chiude a Roma, il teatro più bello del mondo. Sfiora pietre nobili: Palazzo Venezia e l’Altare della Patria, il Campidoglio e il Circo Massimo, le Terme di Caracalla e il Colosseo, i Fori Imperiali e Trinità dei Monti. Sveglia ricordi che tremano. Le ruote sfiorano l’ombra di vicoli in cui lampeggia il pugnale di Caravaggio. Passano sopra le impronte lasciate dai piedi nudi di Abebe Bikila ai Giochi di Roma. Sono 10 giri di 11,5 chilometri di bellezza mozzafiato. È la parata trionfale di un esercito vittorioso. Hanno vinto tutti: Froome e Dumoulin, Pinot e Yates, Pozzovivo e Fonzi, la maglia nera.
I PRECEDENTI
È la quarta volta che il Giro si chiude a Roma.
La prima nel 1911, quando, per i 50 anni del Regno d’Italia, si partì da Porta Pia e, 22 giorni dopo, si arrivò alle Capannelle, dove fu primo il bolognese Ezio Corlaita. Vinse quel Giro Carlo Galetti, con 50 punti contro 58 di Rossignoli. Se il Giro fosse stato a tempi, Rossignoli avrebbe lasciato Galetti a 34’.
Finì a Roma il Giro 1950, con lo sprint di Oreste Conte e il trionfo di Hugo Koblet, prima vittoria straniera. Poi Koblet, calvinista, accompagnato da Bartali, fu accolto in Vaticano da Pio XII. E Luigi Gianoli, su quell’incontro, scrisse un pezzo sfolgorante come un affresco di Paolo Veronese.
La terza volta fu nel 2009 e l’ultima cronometro a 900 metri dal traguardo, ormai in vista dell’Arco di Costantino, regalò, sui sampietrini bagnati, il brivido della caduta della maglia rosa, il russo Denis Menchov.
DA BENI A GANNA
Roma, però, è nella storia del Giro da sempre.
Il primo vincitore di tappa fu il romano Dario Beni, 20 anni, primo a Bologna dopo 397 km.
Il primo a vincere nella capitale, il 20 maggio 1909, fu Luigi Ganna, che poi conquistò il Giro. Campioni assoluti hanno onorato Roma: Girardengo, Belloni, Binda, Guerra, Olmo, Nencini (due volte per distacco), Van Looy...
Qui Girardengo, Il Campionissimo, e Guerra, La Locomotiva Umana, hanno vinto cinque volte!
Qui, il 28 maggio 1914, Girardengo s’impose nella Lucca-Roma, 430 km, la tappa più lunga della storia del Giro, segnata da un assolo ineguagliabile: a mezzanotte e mezza Lauro Bordin, col favore delle tenebre, s’infilò sotto la sbarra del passaggio a livello di Altopascio e fuggì per 350 km; solo dopo 13 ore fu ripreso.
IL SASSO A BINDA
Nell’arazzo del Giro ci sono pagliuzze d’oro, ma anche i buchi delle tarme.
Nel 1928 l’invincibile Binda, in rosa, passando dall’Acqua Acetosa, fu centrato da un sasso e dovette appoggiarsi al fratello Albino. Il giorno dopo andò dal Duce al Viminale – con Piemontesi e Bepi Pancera, Armando Cougnet ed Emilio Colombo – con un’ecchimosi sopra l’occhio destro.
Fu sulla strada di Roma che Dino Buzzati, il 27 maggio 1949, scrisse il pezzo più stupefacente della storia del Giro, l’intervista ai caduti della battaglia di Montecassino: «"The Giro? What’s that?” domandava allora, risvegliato dal clangore dei clacson e dallo strepitìo delle biciclette, Martin J. Collins, già soldato, addetto al rifornimento munizioni ed ora fantasma esangue qui stabilitosi per sempre...».
GRONCHI ROSA Nel 1960, prima del via, il Giro ebbe l’onore di essere accolto al Quirinale dal presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.
Quanto al Papa, Pio XII aveva voluto ricevere in Vaticano il Giro della Rinascita già il 26 giugno 1946, quando il Paese aveva appena scelto la Repubblica.
Poi Paolo VI, quando fu eletto al soglio pontificio, volle accogliere subito il Giro e il 30 maggio 1964 rivolse ai corridori – Anquetil era maglia rosa – un discorso bello e famoso: «Lo sport è un simbolo di una realtà spirituale, che costituisce la trama nascosta, ma essenziale, della nostra vita; la vita è uno sforzo, la vita è una gara, la vita è un rischio, la vita è una corsa, la vita è una speranza verso un traguardo, che trascende la scena dell’esperienza comune, e che l’anima intravede e la religione ci presenta».
CON WOJTYLA
Il 16 maggio 1974, prima del via, con Merckx in maglia rosa, Paolo VI volle di nuovo dare la sua benedizione augurale alla «grande famiglia del Giro».
C’era anche Marco Pantani il 12 maggio 2000, quando il Giro, il ciclismo mondiale e lo sport italiano furono accolti in udienza speciale in Vaticano da Papa Wojtyla, ed era commosso.
C’erano Magni e Gaul, Baldini e Adorni, Gimondi e Merckx, Moser e Saronni, Fignon e Hampsten. E, poi, con Carla Fracci, Vezzali, Trillini e Di Centa, Tomba e Zorzi, Chechi e De Angelis, il Papa enumerò le doti dell’atleta: «il rigore della preparazione, la costanza nell’allenamento, la consapevolezza dei limite delle capacità della persona, la lealtà nella competizione, l’accettazione di regole precise, il rispetto dell’avversario, il senso di solidarietà ed altruismo. Senza queste qualità lo sport si ridurrebbe ad un semplice sforzo e a una discutibile manifestazione di potenza fisica senz’anima». La bicicletta è una grande maestra. E il Giro d’Italia è l’università.
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