Elogio di Carletto

di MARCO PASTONESI
La Gazzetta dello Sport, 7 dicembre 2012


Lo so che non avrei dovuto farlo. Ma non ho resistito. Era lì, e sembrava che mi aspettasse, che mi guardasse, che mi chiedesse “e alura?”. “E alura” l’ho messo nel carrello e l’ho comprato. Lo so che non bisognerebbe comperare libri al supermercato. Così si mandano in rovina le librerie.

Ho comprato “Ischia”. Per due motivi: l’ha scritto Gianni Mura ed è dedicato a Carletto Pierelli. Si può comprare un libro, oltre che per l’autore, anche per la dedica? Sì che si può.

Carletto, per affetto. Carletto, bella testa di capelli, begli occhi buoni e bello sguardo a volte trasversale o addirittura dal basso quando portava gli occhiali da lettura, bella sigaretta a portata di mano, bella parlata milanese, bella battuta anzi ribattuta pronta, come un tennista che risponde al servizio non difendendosi ma attaccando, bella propensione alla tazzina di caffè, come se davanti ci fosse il caminetto su un focherello scoppiettante, bella pulizia morale, bella religione comunista quando comunista significava condividere, sottrarre a chi ne ha di più per dare a chi ne ha di meno, ma anche rispettare, trasparire, appartenere, bella cultura del mangiare e del bere, del viaggiare, dunque dell’esplorare e del provare fino allo scoprire, del vivere.

Carletto, per effetto. Autista, qualifica riduttiva, avara, imprecisa per difetto, prima alla “Gazzetta”, poi con Mura. Piede di velluto, mani sensibili, occhio lungo. Senso della misura, delle misure. La macchina che scivola, che vola, che naviga. Però la volta più bella è stata quando, a Nantes, a La Cigalle, specialità pesce, ma anche no, un po’ di tutto, Gianni e Carletto – conoscendo, e conoscendosi – venivano e andavano in taxi, e anche in questo caso sempre per onestà.

Carletto, per concetto. Ciclismo come umanità e umanesimo, come uomini prima che come corridori, come ufficio facce, come studio degli umori, come scienza delle parole. Tutti sulla stessa barca: chi scrive e chi guida, chi firma e chi no, chi vede e chi ha già visto, chi ha bisogno di tessere e di carte e di titoli e di soldi per essere, o almeno essere riconosciuto, e chi anche senza niente ha il ritmo giusto, l’andatura adatta, il passo sicuro, la pedalata rotonda anche privo di bicicletta.

Come lui.

Lo andammo a trovare a casa, Gianni e io, poco prima che morisse. Carletto aveva dribblato il precipizio, ma intuiva che non avrebbe potuto evitarlo ancora. Ci facevamo coraggio a battute e ribattute. Avevamo, tutti e tre, addosso, un gran magone. Stappammo una bottiglia di vino, e farlo prima di mezzogiorno regala sempre una soddisfazione particolare. Più tardi lo salutai, saltai sulla bici e piansi.

E alura?

E alura “Ischia”.

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