HOOPS PORTRAITS - Addio coach Bucci, in media stat Virtus
Uno come Bucci, quando lo incroci non passa inosservato. Personalità straripante, entusiasmo contagioso. Una vita da film che non avrebbe potuto avere sceneggiatura migliore, la sua: ha sempre fatto tutto, tutto come voleva lui.
Bolognese come non se ne fanno più, classe '48, istrionico, allenatore nato: a 25 anni già sdottorava basket sulla panchina Fortitudo, lui che sarebbe diventato icona - e dal 2016 (l'anno della retrocessione) persino presidente - delle V Nere.
Con la prima grande Virtus moderna che poi Messina avrebbe portato in cima all'Europa, conquistò tre scudetti, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana.
La storia della pallacanestro però l'ha scritta anche se non soprattutto in provincia: l'epica finale-scudetto '89 a Livorno, sponda Enichem, vinta da Milano col giallo del canestro valido-non valido di Forti; la Coppa Italia con la Scaligera Verona in A2 e con Pesaro; le promozioni in A1 con la stessa Livorno e Fabriano, dove era arrivato da quella Rimini – che poi avrebbe anche presieduto, e dove avrebbe scelto di vivere – da lui portata dalla D alla storica prima volta in A2.
A Praga 2009, persino il mondiale over 45, da responsabile della nazionale azzurra Master.
Hall-of-Famer del nostro basket dal 2015, amava - e capiva profondamente - anche il calcio.
Amicissimo di Carlo Ancelotti, erano diventate un cult – per arguzia e verve – le sue ospitate a Calciomercato - l'Originale.
Bucava lo schermo, Alberto. Un affabulatore che raccontava neanche la metà degli aneddoti che tanto l'hanno fatto amare a chi l'ha anche solo incrociato fra spogliatoi, palazzetti e uscite con la squadra. Buon viaggio, coach.
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