Antonio Simeoli: «Sappada è il mestiere»


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per RAINBOW SPORTS BOOKS ©

Udinese per nascita e di tifo, classe 1972, Antonio Simeoli è ancora un entusiasta. Dello Sport (con la maiuscola), del suo mestiere, della vita. 

Inviato del Messaggero Veneto dal 2002, racconta con competenza di discipline che conosce perché praticate, oltre che seguite sul campo, in palestra, su strada. Di questi tempi, una rarità. 

Ex cestista, scrive di ciclismo come pedala: con e per passione, e leggendone i pezzi tutto questo si respira. Ascoltandolo dal vivo, se possibile ancora di più. 
Il privilegio di scoprirlo brillante relatore risale al 28 aprile 2018, alla presentazione della Tolmezzo-Sappada, la tappa che al Giro si sarebbe corsa di lì a tre settimane, il 20 maggio.

Un annetto dopo, in sala stampa a Verona in attesa della crono finale del Giro 2019, lo fermo al volo non appena smette di parlare con due antichi suiveur: Philippe Brunel de L’Équipe e Giorgio Viberti de La Stampa.

Dovevamo regolare quel conticino in sospeso, sempre rimandato via WhatsApp: scambiarci due chiacchiere su Sappada ’87. Di Antonio m’interessavano sia il punto di vista di un cronista friulano, specie adesso che Sappada è stata restituita al Friuli, passando dalla provincia di Belluno a quella di Udine; sia quello di uno dei pochi ragazzini italiani che all’epoca tenevano per Roche.

Svelti, allora. Perché sta per partire Richard Carapaz, che ’sto Giro lo vincerà. Trentadue anni dopo il primo irlandese in rosa, il primo ecuadoriano. E senza golpe ferire.



Sala stampa - Palazzo della Gran Guardia

Verona, domenica 2 giugno 2019

- Antonio Simeoli, se ti dico Sappada, dopo più di trent’anni, il primo pensiero che ti viene in mente qual è?

«La faccia di Visentini, che guardava la telecamera della motocicletta Raie quasi chiedeva alla gente: “Sono su Scherzi a parte, o no?”. Scherzi a parteè arrivato dopo, però… Però, in effetti, era questo che anche la gente si chiedeva. Insomma, se ne parla ancora, dopo trent’anni, di quello che è accaduto. È una storia di ciclismo che non ha eguali – perché effettivamente non ha eguali. E devo dire che è una storia anche molto attuale. Perché, non più tardi di due giorni fa [al termine della tappa Treviso-San Martino di Castrozza, nda], quando si parlava di Carapaz, che era tranquillo in maglia rosa, lo stesso Nibali, mi è parso di capire, in alcune dichiarazioni abbia detto: “Vediamo, se poi c’è Landa, vediamo se sarà fedele a Carapaz”. Ieri, dopo la tappa, Nibali ha dichiarato: “Bravo Carapaz, [la Movistar è] una grande squadra e Landa è stato fedele”. Non fosse stato fedele, ci sarebbe stato – e Nibali se lo sarebbe augurato – un altro “golpe di Sappada”. Perché [a Sappada] quello fu. Non fu altro che un regolamento di conti all’interno di una squadra. Non è accaduto qua al Giro [2019] perché probabilmente sono anche cambiati i tempi. All’epoca era diverso. Poi, tra l’altro, Roche, si è scoperto poi – tu lo sai meglio di me – che aveva mezza squadra dalla sua parte. E poi era anche un grande corridore. Perché poi altrimenti uno non può vincere, nello stesso anno, anche il mondiale e soprattutto il Tour de France».

- Tu sei di Udine, all’epoca avevi quindici anni e oggi scrivi per il Messaggero Veneto. E nel frattempo Sappada è ritornata a essere una provincia non più del Veneto bensì del Friuli. Che mix di emozioni hai?

«L’emozione è che ci siamo presi il “golpe di Sappada”, che è una bella pagina di ciclismo. Sì, è una cosa postuma però, ti ricordavo l’altr’anno, quando ci siamo visti a Sappada, mi ricorda un ciclismo eroico. Un ciclismo che sfiorava il Friuli, lo passava di striscio. C’erano tappe che arrivavano ad Arta Terme, a Bibione eccetera. Non c’era ancora il fenomeno-Zoncolan, per cui adesso sembra che il Friuli sia il centro del mondo. Carapaz ieri in conferenza stampa, a mia precisa domanda – ironia della sorte, dopo la tappa di Monte Avena – quando gli ho chiesto: “Qual è stato il momento più difficile di questo Giro d’Italia?”, mi ha risposto: “Il momento più difficile del mio Giro d’Italia è stato… lo Zoncolan l’altr’anno; quest’anno non ne ho avuti”. Per cui questo dà l’idea dell’impatto anche emotivo che questa montagna dà. Bene: trent’anni fa, non c’era, anche se è lì vicino. Ed è sulle strade del Friuli, però, che s’è consumato il “golpe”. Perché è vero che la tappa arrivava a Sappada, ma la Forcella di Monte Rest fu teatro di un primo attacco; la Sella Valcalda, che viene considerata un cavalcavia, in Friuli, per i cicloamatori, fu parte dell’attacco; l’intera traversata della Val Degano fino appunto a Sappada, fu proprio il cuore, cioè il vero “golpe”, sì, fu anchea Sappada, che allora non era in Friuli, ma all’epoca si svolse in Friuli, per cui questo ci rende particolarmente orgogliosi. Ed io guardo anche al futuro, perché c’è un sogno che quella città ha. Quello di avere un arrivo alle sorgenti del Piave: una montagna meravigliosa, fatta di tre gradoni che portano proprio alle sorgenti del Piave, sotto il monte Peralba. Questa può essere una nuova frontiera. Io mi auguro che gli organizzatori del posto riescano, prima o poi, a risolvere i problemi logistici che ci sono, e ad avere una tappa lassù. E che potrebbe anche, diciamo così, aprire una nuova èra per il ciclismo a Sappada, in quella parte del Friuli. Perché, obiettivamente, essere ricordati solo per il “tradimento” – che ci sia stato o non ci sia stato, o comunque un brutto episodio di regolamento di conti all’interno della squadra – non è proprio il massimo, eh…».

- Tu quell’anno eri al Giro o l’hai seguito in tv?

«No, l’ho seguito in tv. Non andai a vedere la tappa, ma lo seguii in tv e mi ricordo, come fosse adesso, quella faccia. E poi De Zan che all’arrivo chiedeva notizie su Visentini, e Roberto non voleva rispondere o rispose male. Poi, alcuni giorni dopo, addirittura si ritirò. Fu una cosa clamorosa. Io ricordo che tifavo per Roche. Non so perché, come tutti i ragazzini, no? Hanno… E Roche mi stava simpatico. E poi, tra l’altro, dieci anni dopo ho avuto l’onore di pedalare proprio con Roche a una gran fondo che si svolgeva tra il Friuli e l’Austria. Si arrivava a Villacco (in tedesco Villach, città austriaca sede del mondiale 1987, vinto da Roche, nda), erano i dieci anni del suo mondiale. E ricordo appunto che parlammo in pratica per tutta la strada di queste cose. E lui già all’epoca, dieci anni dopo, negava questo comportamento. Diceva: “Io lottavo per vincere il Giro d’Italia. Ero capitano…”».

- Con gli occhi del giornalista professionista, ed estraniandoti anche dalla tua territorialità o dal tuo tifo adolescenziale, che valutazioni ti senti di fare oggi, dopo più di trent’anni, di quella vicenda?

«Adesso ci sono i social… Adesso le gare si seguono giocoforza in sala stampa eccetera. Io poco fa parlavo con Philippe Brunel, gloria del giornalismo mondiale, che raccontava di quando, al suo primo Giro d’Italia, seguiva in macchina dietro Hinault e Bernaudeau dal passo dello Stelvio, e forarono in dieci eccetera. Ecco: avrei voluto raccontare quegli anni. E che quegli anni fossero adesso. Il primo Giro che ho seguito interamente, come inviato dall’inizio alla fine intendo dire, è stato nel 2015. E ricordo che perdemmo una sera a… Ci fu quel cambio di ruota non consentito tra Richie Porte e un suo connazionale[1], a pochi chilometri da Forlì. Porte fu penalizzato grazie ai social, no? Ci sembrò un caso di spy-story clamoroso. V’immaginate poter raccontare adesso il “golpe di Sappada”? Io speravo che Landa “tradisse” Carapaz, e che poi magari Carapaz comunque riuscisse a vincere; ma sarebbe stato bellissimo raccontarlo. E invece adesso le cose sono un po’ più scontate. Ecco: questo è».

- A un nuovo “golpe” ci siamo andati vicini due volte al Tour: con Wiggins e Froome nel 2012 e con Froome e Landa nel 2017. Ma poca roba…

«Ma quanto fu bello, nel 2016, chiamare i miei allora responsabili – a Torino, o non so dove fossero all’epoca, perché poi dipende dai gruppi editoriali eccetera: “…è andata contro la neve la maglia rosa [l’olandese Steven Kruijswijk nella discesa dal Colle dell’Agnello, 19ªtappa, la Pinerolo-Risoul, nda], bisogna rifare tutto perché Nibali vince il Giro. Allora: senza augurare il male alla gente, questo è… È il mestiere. Adesso è un po’ più scontato. Però, insomma: accontentiamoci».

CHRISTIAN GIORDANO

NOTA:
[1] Al Giro 2015, al termine della 10ª tappa, Civitanova Marche-Forlì, Richie Porte del Team Sky fu penalizzato di due minuti peril cambio ruota con il connazionale Simon Clarke, australiano della GreenEDGE. Il provvedimento della giuria fu applicato per infrazione «all'art. 12.1.040/8.2 rubricato "Assistenza non regolamentare ad un corridore di un’altra squadra, prove a tappa».

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