HOOPS PORTRAITS - Bird, sessant'anni di Leggenda (2016)


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«Uno dei miei primi anni nella NBA, Artis Gilmore, che allora giocava a Chicago, mi disse che se volevo durare a lungo in questa lega, dovevo smetterla di tuffarmi come un pazzo. 
Gli risposi che era lui il matto e che io sapevo giocare solo così. 
Col passare degli anni iniziai a sentire gli acciacchi e adesso capisco cosa volesse dire, ma ancora oggi non riesco a cambiare il mio modo di giocare».
- Larry "Legend" Bird

di CHRISTIAN GIORDANO

«Non difende, non corre, non salta». Vero, ma per il resto è stato IL manuale del basket, Larry Joe Bird.

«Bianco sopravvalutato» per Isiah Thomas, il “Baby Face” perfido capobanda dei Bad Boys di Detroit campioni NBA ’89 e ’90.

Semplicemente “Larry Legend”, per ogni innamorato del Gioco cui il destino ha smazzato una mano perdente.

Ecco, perdere: verbo non coniugabile per The Hick From French Lick, il campagnolo nato nel Pearl Harbour Day e cresciuto in un angolo di Indiana che nel basket mangia-prega-ama.

Quarto dei sei figli di Georgia, cameriera, e papà Joe, tormentato reduce dalla Corea che trovava più la bottiglia che lavori, Larry come i fratelli maggiori Mike e Mark, cerca in un canestro sulla collina il suo sacro graal.

Ereditato il 33 della Springs Valley High School, all'ultimo anno sboccia in un'ala da 2.01 con fondamentali da guardia che domina a 30 punti e 20 rimbalzi di media. E dentro ha la voglia di rivalsa di chi ha non ha più guerre in cui credere: Il 3 febbraio 1975, papà Joe - mentre è al telefono con Georgia - si toglie la vita. Larry ha 18 anni, e l'esistenza segnata per sempre.

Come ogni figlio dell'Hoosier State bramava giocare per la Indiana University dell'iconico Bob Knight. Il feeling, mai nato, si spezza dopo ventiquattro giorni. Tanto resiste nella per lui caotica e posh Bloomington, dove Larry era arrivato nell'autunno '74 con una borsa di studio piena di sogni ma vuota di abiti di ricambio. 

Troppo orgoglioso per chiedere aiuto, era tornato a French Lick in autostop e lavorava come netturbino. Non aveva però fatto i conti con l'insistenza di coach Bill Hodges, assistente a Indiana State cui un infarto di coach King consegnerà la panchina. 

A Terre Haute, arriva un altro Larry. La Grande Speranza bianca che nel '79 trascina gli sconosciuti Sycamores alla finale NCAA, persa contro i Michigan State Spartans di Magic Johnson. È la partita college più televista della storia. L'alba di una nuova era: la nostra.

Scelto al draft con un anno di anticipo da Auerbach per Boston, in due stagioni porta i Celtics al primo dei suoi tre titoli NBA e già da Matricola dell'anno diventa subito l'idolo del Garden.

Bird versus Magic era molto più che basket: Est/Ovest, Beantown/Hollywood. Puristi o Showtime. Bianco e nero: fuori e dentro metafora. Il feroce trash-talkingdell'underdog, il sorriso ammaliante del predestinato: i dioscuri salvano la lega e la proiettano nell'era dei contrattoni tv. 

Rivoluzione totale, come totale sarà poi la loro amicizia sublimata nel Dream Team a Barcellona '92 e nel doloroso epilogo agonistico: l'HIV per Johnson, la schiena per Bird.

Combattenti diversi in tutto però, anche in panchina: per Earvin non era cosa; per Larry una finale NBA (persa contro i Lakers) ai Pacers, che da nove stagioni guida da presidente. 

Sessanta di questi giorni, Larry Legend.

PER SKY SPORT 24, CHRISTIAN GIORDANO
(7 dicembre 2016)

Christian Giordano ©
HOOPS PORTRAITS - Ritratti di basket americano
Rainbow Sports Books ©


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