HOOPS MEMORIES - Lakers-Pistons '50: The Freezin' Game
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“If that's basketball, I don't want any part of it."
- John Kundla, coach Minneapolis Lakers
di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
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Il 22 novembre 1950 i Minneapolis Lakers campioni NBA in carica ospitavano i Fort Wayne Pistons al Minneapolis Auditorium, dove, contando anche il finale della stagione precedente, non perdevano da 29 turni consecutivi.
Nel tentativo di contenere i Lakers, e in particolare il loro George Mikan, vincitore degli ultimi due titoli di capocannoniere e, a 28 punti di media, prossimo al ter, i Pistons decisero di tenere palla. Ma di tenerla proprio, in pratica per tutta la partita.
Il cronometro dei 24 secondi non c’era ancora (anzi: da lì ne nacque la spinta decisiva), e i Lakers, fortissimi nel mezzo, si “rifiutavano” di uscire dall’area per cercare di riconquistare il pallone. E così, alla fine di un tutt’altro che esaltante primo quarto, i Pistons conducevano 8-7.
Gli arbitri nulla potevano per far velocizzare il gioco, e già a fine primo tempo il pubblico rumoreggiava nonostante la squadra di casa fosse ancora sopra di due, 13-11 Lakers. E all’intervallo i Pistons dovettero circondare il proprio coach, Murray Mendenhall, per scortarlo fin negli spogliatoi per proteggerlo dalla furia degli indignati spettatori.
Una volta raggiuntolo sani e salvi, Mendenhall chiese ai propri giocatori se volevano o no continuare quella tattica temporeggiatrice, e la loro decisione fu un unanime “sì”.
Così, il “famigerato” freezing messo in campo da Fort Wayne continuò anche dopo l’intervallo.
A fine terzo periodo i Lakers conducevano di un punto, 17-16. Idem a quattro minuti dal termine, 18-17 Minneapolis, ma col pallone ai Pistons. A quel punto, i ragazzi di Mendenhall decisero di giocarsi il tutto per tutto e di prendersi loro l’ultimo tiro.
Ripreso il gioco, un passaggio di Fort Wayne scivolò oltre le righe di bordocampo, ma al tavolo dei giudici di gara stabilirono che l’ultimo tocco era stato dei Lakers. I tifosi di Minneapolis impazzirono, e la partita fu interrotta per diversi minuti per permettere agli addetti di ripulire il campo dai rifiuti che il pubblico, inferocito, aveva lanciato contro gli arbitri.
I Pistons effettuarono la rimessa e tennero palla fino agli ultimi dieci secondi, quando il loro centro Larry Foust tagliò dal vertice dell’area, ricevette il passaggio ed entrò a canestro. Ancora in corsa Foust lasciò partire un gancetto che superò le dita protese di Mikan e andò a spegnersi nella retìna: vantaggio-Pistons, 19-18. Ai Lakers restava appena il tempo per far scoccare, sulla sirena e da metà campo, il più classico dei tiri della disperazione. E non entrò. I Pistons avevano vinto una partita-spartiacque che avrebbe fatto epoca, e sancito l’alba di una nuova èra.
Trentasette punti restano – e in tutta probabilità resteranno – il punteggio più basso nella storia della NBA. Il solo Mikan ne aveva realizzati quindici e i suoi compagni (tra cui l’imberbe Bud Grant, futuro grandissimo coach ai Minnesota Vikings nel football pro') soltanto tre. Soltanto quattro i canestri su azione. Qualcosa non andava e qualcos’altro andava fatto.
E mentre i tifosi di Minneapolis erano doppiamente infuriati, per la sconfitta e per lo “spettacolo” offertogli, quelli dei Pistons si radunarono in oltre un migliaio in stazione l’indomani alle 8 del mattino per “accogliere” – eufemismo – la propria squadra.
Ironia della sorte, la sera successiva i Pistons batterono ancora i Lakers, stavolta a Fort Wayne per 73-63 e senza “congelare” il pallone. Nonostante quelle due sconfitte, furono poi i Lakers a vincere la Western Division. Nulla però sarebbe stato più come prima.
CHRISTIAN GIORDANO
Secondo l'allora Commissioner NBA Maurice Podoloff, quel 19-18 era stata una grande mancanza di rispetto nei confronti dei tifosi. E così diede istruzioni ad allenatori delle squadre e proprietari delle franchigie per far sì che simili “incidenti” non si ripetessero più.
Ne andava della sopravvivenza stessa della lega, che altrimenti sarebbe presto defunta. Per congelamento.
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