Chauncey Billups, the right way
Il più anonimo MVP delle Finals, uno dei più incredibili upset nelle Finals NBA e tanti tiri sulla sirena. La storia di Mr Big Shot, Chauncey Billups.
di NbaReligion Team - 15/01/2017
Mancano pochi secondi alla fine della partita valida per assegnare il titolo liceale del Colorado, e gli Washington Patriots hanno una rimessa da dietro il canestro. L’arbitro inizia a contare. Uno, due, tre… Gli occhi della "Metro State College Arena" sono puntati su Chauncey Ray Billups, il miglior giocatore di high school del Colorado. Chauncey non vuole commettere un’infrazione dei cinque secondi, ma nessuno dei suoi compagni si libera per ricevere. Si accorge però che la point guard avversaria è girata di spalle, e ha un’idea, colpisce con la palla la schiena dell’avversario, cattura il rimbalzo e segna con una schiacciata. Partita finita. Un boato assordante. La "Metro State College Arena" esplode. Billups ha appena segnato il canestro della vittoria per gli Washington Patriots, il primo di tanti buzzer beater che caratterizzeranno la sua carriera. Solo una signora, seduta in decima fila, non esulta. Florence Gresham non è contenta, perché suo nipote ha appena segnato un canestro scorretto, che va contro l’etica del gioco, o almeno contro la sua. E’ un canestro senza rispetto per gli avversari, e a Florence questo non piace. Play the right way, gli dice dopo la partita, ci vuole rispetto per gli avversari e per il gioco. Chauncey si scusa, abbassa deluso la testa perché sua nonna lo ha visto vincere il titolo nella maniera sbagliata, scorretta.
Tutti i giorni Ray Billups porta suo figlio al campo di basket e cerca di insegnargli ogni aspetto del gioco. Al piccolo Chauncey il basket piace, e vorrebbe giocare con suo padre ogni giorno, ma Ray ogni mattina deve alzarsi alle 3 e mezza per iniziare un turno di otto ore nel reparto surgelati del Denver Safeway. Così, quando Ray non può portarlo al campo, Chauncey modella una gruccia, la appende alla porta della cantina e cerca di segnare usando una pallina da basket in miniatura. Il basket è diventato la sua vita. A Denver, già dalla tenera età di 8 anni, Chauncey è per tutti “Smooth”, soprannome datogli da coach Bobby Wilkerson (vincitore di un titolo NCAA con Indiana e giocatore NBA per i Nuggets), che lo allenò alle elementari.
Chauncey cresce, lavora duro, e i risultati arrivano. Il titolo delle 5A è solo uno dei tanti premi (individuali e no) vinti da Chauncey alla George Washington High School, il coach dell’Università del Kansas, Roy Williams, che aveva “scoperto” e reclutato MJ per North Carolina, lo definisce uno dei migliori giocatori di high school di tutti i tempi.
Alle scuole medie e alle superiori, il mio obiettivo era andare al college.
I miei genitori non potevano permetterselo,
ed io, per paura di non riuscire a frequentare l’università,
lavoravo duramente.
Il basket era il mio mezzo per andare al college.
Dopo aver vinto il titolo 5A e il premio Colorado’s Mr. Basketball, Chauncey riceve tantissime offerte dai college più prestigiosi, ma decide di accasarsi nel vicino (e poco rinomato) college di Boulder, per poter stare vicino alla famiglia. All’ombra della catena rocciosa dei Flatirons (letteralmente “Ferri da stiro”), assieme al coach Joe Harrington, Billups non deve costruire solo una squadra ma un’intera cultura sportiva. Sul parquet di Boulder, Chauncey inizia a conquistarsi il posto, il primo anno mette a referto 17.9 punti, 6.3 rimbalzi, e 5.5 assist in 27 partite, superando i 30 punti per ben quattro volte e tirando con percentuali letali (86.1%) dalla linea del tiro libero. Ma per quanto bene giochi, Chauncey non può salvare il posto di lavoro a coach Harrington. La stagione ’95-’96 è terribile per Colorado, dentro e fuori il campo, il record del team è di 9-18, ma è l’ultimo problema della squadra. La leadership di Harrington viene messa in discussione quando parecchi giocatori vengono dichiarati ineleggibili per giocare nella squadra, mentre altri finiscono nei guai dopo varie indiscrezioni. Fra quest’ultimi vi è anche lo stesso Billups, beccato a rubare in un negozio del campus assieme al compagno di squadra Matt Daniel.
E’ la sua educazione, il voler seguire la “retta via” tracciata da sua nonna Florence, che lo porta ad accettare la responsabilità delle sue azioni e lo aiuta a scrivere una lettera di scuse al corpo docenti e ai suoi compagni. I risultati a Colorado portano Chauncey a essere convocato nella USA Select del 1990 che sfida, il 6 luglio del 1996, il Dream Team III. Anche se il match finisce con la (scontata) vittoria del Dream Team III, durante il primo tempo i giovani danno ai fratelli maggiori un distacco di ben 17 punti. Stranamente non saranno Billups e i futuri All-Star Tim Duncan e Paul Pierce a brillare, ma il giovane Shea Seals con 20 punti. Nella stagione NCAA ’96-97, Chauncey trascina i Colorado Buffaloes ai playoff, dove usciranno al secondo turno contro Indiana. L’impresa, vista la scarsa reputazione dei Buffaloes, contribuirà a rendere il Colorado una meta interessante per le nuove leve.
Alla fine della stagione con i Buffaloes, Billups è chiamato a una scelta importantissima, la più difficile della sua vita, scegliere se restare al college o rendersi subito eleggibile al Draft NBA del 1997. Dopo aver parlato con Donnie Boyce, un ex giocatore dei Buffaloes i cui sogni di giocare in NBA erano svaniti a causa di un infortunio al ginocchio, Chauncey si rende eleggibile per il Draft, dove viene scelto alla terza assoluta (dopo Tim Duncan e Keith Van Horn) dai Boston Celtics, sfortunati alla lotteria (avevano infatti più palline degli Spurs, che vinsero la prima chiamata al Draft). I primi 4 anni di NBA saranno per Chauncey un continuo vagabondare, cambierà infatti squadra per ben 3 volte.
L’esordio in NBA avviene la notte di Halloween del ’97 nella "Windy City", contro i Chicago Bulls guidati da Michael Jordan. Chauncey mette a referto 15 punti e 4 assist e i Celtics vincono per 92 a 85. Ma il clima di Boston è pesante, la franchigia e l’allenatore Rick Pitino sono delusi dal mancato arrivo di “The Big Fundamental”. Solo cinque mesi dopo la sua prestazione contro i Bulls, l’ex giocatore dei Buffaloes viene ceduto ai Raptors, riuscendo comunque a chiudere la stagione con numeri più che dignitosi (11.2 ppg, 2.4 rpg, 3.9 apg). Dopo la breve esperienza ai Raptors ritorna a casa, in Colorado, e vive un’esperienza ancor più breve nei Denver Nuggets (merito del lock-out), che nel 2000 lo cedono ai T’Wolves, preferendogli l’esperto Nick Van Exel. Neppure nei T’Wolves trova molto spazio, giocando da riserva di Terrell Brandon. Sarà solo un infortunio di quest’ultimo, nel 2002, a far diventare Chauncey point guard titolare. I Lupi del Minnesota non riusciranno comunque a superare il primo turno dei Playoff, venendo sconfitti dai Dallas Mavericks. Nel 2003 Minnesotanon gli rinnova il contratto e Chauncey diventa free agent. Come accadutogli a Denver la franchigia gli preferisce un’altra point guard. La ragione principale è che il ragazzo del Colorado non è un one-man-band, un giocatore capace di reggere da solo il peso di una squadra o di vincere con le singole giocate.
Per questo chi se ne interessa è invece Joe Dumars, neo presidente dei Pistons. Joe sa che Chauncey (e soprattutto Detroit) ha bisogno di una squadra che sia composta come un motore, da tanti piccoli ingranaggi, ciascuno con la propria importanza, per questo Dumars fa arrivare (oltre a Chauncey) la shooting guard Rip Hamilton da Washington e seleziona alla terza chiamata del Draft 2003 il centro croato Darko Milicic.
A Detroit, spinto da una franchigia e da una città che credono in lui e nei suoi compagni, Chauncey migliora tantissimo sotto l’aspetto della leadership. Il 9 marzo del 2003, contro i Golden State Warriors, Chauncey diventa "Mr Big Shot", segnando 31 punti con una pazzesca tripla finale che consegna la vittoria a Detroit per 105 a 104. Ai playoff del 2003 i Pistons si spingono fino alla Finale di Conference, dopo aver battuto Magic e Sixers, ma vengono eliminati dai New Jersey Nets di Jason Kidd con un secco 4-0. A seguito della pesante sconfitta, nell’estate del 2003, l’head coach Rick Carlisle viene esonerato, e al suo posto Dumars assume Larry Brown. Ma soprattutto Dumars fa arrivare da Atlanta Rasheed Wallace, ultimo ingranaggio e membro dei "Fabulous Four", gettando le basi per uno straordinario 2004.
Dopo una combattuta regular season da 54 vittorie, i ragazzi della Motor City arrivano ai playoff con la terza testa di serie e incontrano al primo turno i Bucks dello "Sceicco Bianco" Keith Van Horn, spazzandoli via per 4-1. I Pistons volano quindi in semifinale dove trovano nuovamente i New Jersey Nets campioni della Eastern Conference, che a est hanno vinto 16 delle ultime 18 partite di playoff. I Pistons, alla ricerca della rivincita dopo la pesante lezione subita l’anno prima, vincono le prime due partite in casa grazie alla spettacolare prestazione di Wallace e compagni.
“Queste vittorie servono tantissimo a tutta la Eastern Conference. Penso non si possa giocare meglio di come abbiamo fatto, abbiamo davvero giocato il nostro miglior basket.” dirà coach Larry Brown alla fine di gara 2.
La serie si sposta quindi alla Continental Airlines Arena, dove però i Nets risorgono, spinti dai migliori Jason Kidd e Kenyon Martin, e pareggiano la serie. In gara 5 la sfida si fa serrata e viene combattuta punto a punto. Il finale è drammatico, per i Nets due dei migliori tiratori di liberi come Jason Kidd e Kerry Kittles sbagliano ben tre tiri liberi su quattro (0/2 di Kidd), ciononostante a 2.9 secondi dalla fine i Nets hanno ancora un possesso pieno di vantaggio. Chauncey, come spesso accade in questi momenti, chiede subito la palla, supera la metà campo in meno di un secondo, e benché lo stesso Kittles provi a chiudere, Chauncey segna, regalando ai Pistons l’overtime. Nonostante il miracolo di Chauncey non serva (i Pistons verranno sconfitti comunque all’overtime), i Nets perderanno comunque gara 6 e gara 7, abdicando al titolo di campioni dell’Est.
In Finale di Conference i ragazzi di Larry Brown trovano i Pacers del loro ex coach Rick Carlisle, una squadra con un Reggie Miller ormai alla fine della carriera NBA e basi incerte per il futuro (Ron Artest e Jermaine O’Neal). La serie non è appassionante, specialmente per l’attitudine difensiva di entrambe le squadre (non si andrà mai oltre gli 85 punti), ma è molto combattuta sul piano fisico. Alla fine i Pistons riescono a spuntarla in 6 gare, soprattutto grazie ad uno straordinario Rip Hamilton.
Gli avversari in finale NBA sono i Los Angeles Lakers di Bryant, O’Neal, Malone e Payton. Per molti la serie non si dovrebbe neanche giocare, tanto sono favoriti i Lakers sulla carta. Contro ogni pronostico i Pistons vincono in gara 1 allo Staples, grazie soprattutto alla loro difesa. La strategia di coach Brown è semplice, se i Lakers vogliono vincere, lo facciano Kobe e Shaq segnando 40 punti, noi gli altri non li facciamo tirare. Un altro elemento della serie diventa il mismatch Billups/Payton. Chauncey infatti, si rivela una pedina fondamentale della serie e rebus irrisolvibile per la difesa dei Lakers, non essendoci nessuno in grado di marcarlo. Nonostante la vittoria, la stampa rimane scettica sulle possibilità dei Pistons di vincere il titolo. In gara 2 la musica non cambia, i Pistons dominano in difesa su tutti i Lakers, che tuttavia vincono all’overtime grazie a una prestazione di un super Kobe Bryant, trascinatore assoluto e autore della tripla del pareggio in sospensione. Ma è solo un falso allarme. Non appena la serie si sposta nella "Motor City" per le tre gare interne la regia di Billups, la difesa di Wallace e Prince su O’Neal e Bryant e il contributo offensivo di Hamilton regalano ai Detroit Pistons il loro terzo titolo NBA e a Chauncey il Bill Russell Award, dopo una serie conclusa con 21 punti di media, 50% dal campo e 93% ai tiri liberi. La vittoria dei Pistons sarà ricordata come uno dei più incredibili upset della storia NBA, una vittoria corale senza un vero protagonista, la vittoria di una città.
Al momento di decidere l’incisione sull’anello delle Finals NBA, Chauncey non ha dubbi, sapeva già da tempo cosa scrivere su quell’anello. La sua mente vola a quella finale del titolo delle 5A, dove ha trionfato nel modo sbagliato, non seguendo la giusta via. Pensa alla nonna Florence, morta anni prima, che avrebbe tanto voluto veder vincere il nipote seguendo quei princìpi, il rispetto degli avversari e del gioco, che gli aveva insegnato.
The Right Way.
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