Dražen Petrović - Divinamente inarrestabile. Era un messia


di FEDERICO BUFFA
"Le stelle della NBA ai raggi X: Dražen Petrović"
La Gazzetta dello Sport

Quando ci si ama e non ci si vede perché si vive lontani, si fan cose istintive, atte ad assecondarlo, l'amore.

Klara era bella quando si faceva fotografare da modella, bellissima quando sorrideva dopo aver vinto una partita con la sua squadra e lo sapeva. In macchina le piaceva andar forte.

Dražen era rientrato da una trasferta in Polonia, aveva messo i soliti trenta che andavan aggiunti ai 2830 che aveva segnato con la Jugoslavia e ai 974 da quando la sua parte di Jugo era diventata la Croazia.

Gli altri erano rientrati col volo diretto, lui era andato in Germania per stare con Klara, splendida magiara che vedeva troppo poco per quanto l'amava. Klara stava dando con la sua Golf un passaggio a Francoforte a Hilal Edebal, una turca sua compagna di squadra che aveva vinto una borsa di studio per andare a giocare alla Niagara University a qualche ora dal New Jersey dove Dražen da qualche giorno era stato nominato nel Terzo quintetto All-NBA.

Roba grossa per un europeo nel 1993.

Divinamente inarrestabile il suo 43,7% da tre punti confinava con la realtà, e probabilmente andava anche oltre per chi da piccolo rubava sgranate immagini NBA dalla tv italiana captabile sulla costa dalmata a Sebenico. Allora sembrava più facile essere il primo slavo a passeggiare sulla luna piuttosto che il primo slavo a giocarci per davvero, nella NBA.

Dražen però non era nato un dalmata come gli altri. Era un messia, parola araba lontana e vicina a chi cresce sul Mediterraneo. Era nato nel 1964 da una bibliotecaria e un poliziotto e, come per ogni umano d'origine messianica, la sua leggenda nasce nel ventre materno.

Sua madre Biserka, che aveva già avuto l'atleticamente dotato Aleksandar cinque anni prima, stavolta sin dai primi mesi di gravidanza prese a scendere al fiume e a bere dalla sorgente come se una voce le intimasse di farlo. Tutti i giorni. Quando Dražen nacque, infinitamente vivace e avvolto di riccioli scuri, tutto sembrò seguire il suo corso.

Suo fratello lo portava al campetto di via Preradović a tirare e come ogni fratello maggiore che si rispetti, lo irrideva a ogni tiro sbagliato: "...ti chiameremo Fred, come Fred Flinstone, perché con quei tuoi tiracci spacchi le pietre".

Dražen, ribaldo e mozartianamente precoce, travolto dai riccioli di chi è un favorito degli dei, ghignava con la certezza che quella fragile supremazia familiare sarebbe cambiata presto.

Due giorni prima dell'ultimo dell'anno del 1979, in una Jugoslavia che già mostrava le inquietudini che dieci anni dopo avrebbero generato la più straziante tragedia conosciuta dall'Europa post-bellica, Dražen segnò i suoi primi due punti per il Šibenka contro i serbi dell'OKK Belgrado. Da sessantasette giorni aveva compiuto 15 anni.

I messia si palesano presto.

Nemmeno tre anni dopo Aleksandar e il suo Cibona Zagabria, dov'era andato a giocare, eran in visita a Sebenico. mamma Biserka in tribuna faceva finta di fare equanimemente il tifo per entrambi, ma non riuscì a non lasciar sopraffare il suo splendido volto da un sorriso quando sentì distintamente il suo secondogenito sibilare al primo "...vieni Sasha, ché adesso Fred Flinstone ti spiega come te ne segna in faccia altri due!". Spiegazione dettagliata, esecuzione spaventosamente fedele.

Quando al Cibona ci andò lui, la prima partita a Sebenico ne scolpì 56. Niente rispetto ai 112 (sic) che dedicò all'Olimpia Lubiana (cadetti e juniores, nda) nella stessa stagione.

Prima d'andarci a Zagabria, portò i suoi in finale per il titolo contro il Bosna del grande Mirza Delibašić. Sotto di 19, Dražen "decise" di rimontare. Da solo. 82-81 Bosna, con due secondi da giocare, riccioli d'angelo tira per vincere. Primo ferro. Finita? No. In un clima dantesco l'arbitro Ilija Matijević opta per un fallo di Sabit Hadžić su Dražen. Due tiri. Coach Vlade Đurović lo implora "...ora, sbagliane uno, andiamo al supplementare. La vinciamo noi, non farla finire qui, non mi fido della Federazione".
Un messia nemmeno contempla la possibilità di sbagliare: due puliti.

Titolo a Sebenico con più slivovitz, l'acquavite slava, in corpo di quello che una città possa tollerare.

Đurović, nato di sera ma non ieri sera come ogni buon allenatore slavo, aveva visto giusto. la Federazione revocò il risultato e ordinò la ripetizione della gara a Novi Sad in campo neutro, avendo ritenuto il fischio di Matijević un errore tecnico. Il Šibenka a Novi Sad non ci andrà mai e il Bosna diverrà campione senza giocare. Ad oggi, a Sebenico dichiarano che il titolo dell'83 è - e sempre sarà - cosa loro.

***

"Guarda che nuvole sul sud della Germania, piove di sicuro là sotto dove c'è Dražen", disse Vrankovic, il centro della nazionale croata, guardando dall'oblò del Boeing che riportava la squadra a Zagabria.

Pioveva, in effetti, e pure forte, quel pomeriggio del 7 giugno del 1993. Il 22 in Germania sarebbe iniziato l'Europeo e i croati aspettavano quel giorno. L'estate prima a Barcellona il Dream team gliene aveva dati una trentina in finale olimpica,, ma un argento per una nazione neonata come la Hrvatska era ugualmente un mezzo trionfo. E comunque davanti ai serbi. Dražen ne aveva scritti 24 quella sera in Catalogna e prima della partita aveva gridato ai suoi in spogliatoio: "...son uomini come noi, andiamo fuori e battiamoli!". C'aveva però creduto solo lui.

Un messia non contempla la sconfitta.

Non parlava più a Vlade Divac, suo eterno e straordinario compagno d'ogni nazionale dai tempi delle giovanili, da quando aveva strappato la bandiera croata (ma degli ustascia) ad un tifoso (argentino, croato d'origine) entrato in campo a festeggiare uno degli ultimi trionfi della Jugoslavia unita.

Un messia non contempla sgarbi.

Sarebbe stato bello per i croati batterli ancora, i serbi. Specie adesso che li si poteva considerare realmente avversari e con Dražen toccato dalla Grazia, sarebbe successo di nuovo. 

A Klara piaceva andar forte in macchina su quelle Autobahn, come su tutte le autostrade tedesche, non c'è limite di velocità. Dražen dorme sul sedile di fianco. 

Non si sveglierà mai più.

Un camion posto di traverso alla carreggiata, un tremendo cozzo.

Come spesso succede, gli dei richiamano anzitempo i loro figli prediletti, non a caso Klara e Hilal sono sopravvissute.

le autorità tedesche non avevano a disposizione una bara per un uomo di 1,96 e dovettero dissanguare il cadavere di Dražen per farcelo entrare.

Quando Stojko Vranković vide quel corpo meraviglioso miniaturizzato dalla burocrazia che non rappresentava più chi l'aveva straordinariamente abitato volle farsi giustizia del mondo da solo.

Se passate da Zagabria, prendete l'autobus n. 106 in direzione del cimitero Mirogoj, Dražen è sepolto lì. 

Se passate da Sebenico, chiedete di via Preradović dove Dražen ha imparato a tirare.

C'è un'iscrizione che recita: 
"DURANTE LA TUA VITA HAI RAGGIUNTO L'ETERNITÀ E Lì RESTERAI PER SMEPRE".

Vero.

Un messia non muore realmente mai.  

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