Basket, Larry Brown via da Torino
Una storia d'amore mai cominciata
Trovato l'accordo per risolvere il contratto: il tecnico 78enne, che negli Usa ha vinto tutto, fallisce la sua missione europea e lascia una Fiat in crisi. Ma non è solo colpa sua
di Flavio Vanetti
Corriere della Sera - 27 dicembre 2018
E’ durata solo una manciata di mesi, per giunta turbolenti sia per questioni legate alla sua salute sia a causa degli scarsi risultati della squadra, l’esperienza di Larry Brown sulla panchina della Fiat Torino basket. Il santone statunitense, da giocatore campione NBA e ABA nonché oro olimpico nel 1964, da tecnico l’unico allenatore ad aver conquistato sia il titolo dei professionisti sia quello della NCAA, ha infatti trovato un accordo con la società per risolvere il contratto: al suo posto subentra Paolo Galbiati, che già l’anno scorso era subentrato in corsa quando Luca Banchi, contestato – dopo una vittoria - dalla proprietà nonostante un record positivo, aveva deciso di andarsene. E Galbiati, prima di incappare in una sequenza negativa che aveva condotto all’esclusione dai playoff, era riuscito a vincere a sorpresa la Coppa Italia. Per la cronaca, Torino non avrebbe potuto scegliere un coach esterno al suo attuale staff dal momento che ha il mercato bloccato a causa di un lodo Fiba perso contro un suo ex giocatore, Lamar Patterson. Ad ogni modo, questo è l’epilogo triste di una storia probabilmente sbagliata fin dall’inizio, nella quale Brown, 78 anni ma ancora una voglia di confrontarsi con il campo e l’amata pallacanestro, non è il solo colpevole.
Cominciamo allora dall’ultimo atto, ovvero dallo scenario che ha portato alla separazione. La sconfitta casalinga del 26 dicembre contro Avellino, in una partita prima controllata anche con una certa autorità e poi persa di vista con un crescendo di errori e di personalismi, ha scatenato anche la reazione dei tifosi, numerosi anche nel giorno di Santo Stefano e a dispetto di quanto la Fiat ha proposto fin qui, sia nel quasi ultimato girone d’andata sia nella fallimentare esperienza nell’Eurocup dell’Eurolega (nessuna vittoria in dieci incontri). Brown – al quale non sono imputabili tutte le sconfitte perché per alcune settimane è dovuto tornare negli USA per una serie di controlli medici dopo un intervento effettuato in estate – è stato apertamente contestato e il pubblico ha invocato il ritorno di Galbiati. Si dice anche che nello spogliatoio ci siano state forte tensioni e che la situazione fosse insostenibile, anche perché i malumori nella squadra erano ormai diffusi e noti.
Eppure, oltre ad addossare la colpa a un tecnico che di sicuro ci ha messo del suo, non riuscendo a calarsi nella realtà di un basket differente e non rendendosi conto che in Italia la possibilità di cambiare giocatori è limitata da vincoli precisi, bisogna considerare altri aspetti.
Eccone alcuni in ordine sparso:
a) si è puntato su un nome importante, senza poi mettere in piedi una struttura coerente per gestirlo;
b) nella società manca, banalmente, una visione che detti gerarchie precise: ci sono vari dirigenti, ma nessuno sembra di essere il punto di riferimento principale;
c) la proprietà non può chiamarsene fuori, avendo commesso vari e ripetuti errori;
d) è mancata fin qui una continuità tecnica: si è interrotto il discorso che Frank Vitucci aveva avviato con un certo profitto, si è ostacolato Luca Banchi, si è percorsa la strada di un altro nome importante, Carlo Recalcati, anche se l’ex c.t. dopo poche settimane ha gettato la spugna rendendosi conto di non poter agire in un certo modo;
e) alla fine si è puntato sul guru dal pedigree eccelso, senza valutare i rovesci della medaglia.
Totale: Brown è solo l’ultimo anello, perfino il più debole, paradossalmente, di una catena mal assortita. Nel basket di oggi trovare equilibrio e solidità è una condizione basilare per avere risultati.
27 dicembre 2018 (modifica il 27 dicembre 2018 | 19:23)
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