VDB ALLA LIEGI 1999, L'ACUTO PIÙ BELLO DI UN'ANIMA INQUIETA
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Domenica 27 aprile 2025
Oggi si corre la Liegi-Bastogne-Liegi e per l'occasione torniamo indietro con la memoria di 26 anni.
La Liegi '99 non è una semplice gara, ma è il punto più alto (o quanto meno il più prestigioso) di una carriera e di una vita trascorse sulle montagne russe, tra le luci delle ribalta e la polvere, la gloria ciclistica e le dipendenze assassine, la vita e la morte.
Il nome più gettonato dagli addetti ai lavori per la Liegi in questione è uno e uno soltanto: Michele Bartoli. Il pisano, di cui abbiamo parlato ieri, è il miglior corridore al mondo del periodo nelle classiche, ha conquistato per distacco le ultime due edizioni della Doyenne e la Freccia Vallone 4 giorni prima.
Il rivale più accreditato è, come accaduto negli ultimi anni, Laurent Jalabert.
La fase calda della corsa ha inizio sulla Redoute, teatro dello show solitario del toscano nel 1998.
Ad aprire le danze su un tratto duro è proprio Bartoli, intenzionato a liberarsi dei rivali.
I primi a reagire sono l'olandese Michael Boogerd, eterno piazzato delle classiche di quell'epoca e corridore di spessore, e Davide Rebellin.
A un certo punto, intorno alla sesta o settima posizione del gruppo allungato, esce dalla ruota dell'iridato svizzero Oscar Camenzind, un corridore in maglia Cofidis.
L'elegantissima e minacciosa sagoma supera i corridori davanti a lui e si riporta con facilità su Bartoli.
Il capitano della Mapei, infastidito, rilancia l'azione, scatenando la controffensiva dell'altro uomo al comando, il quale piazza uno scatto violentissimo, in piedi sui pedali e mani basse sul manubrio, con una compostezza maestosa e lascia di stucco il favoritissimo italiano, che si pianta all'improvviso, sul muro finale della celebre côte.
Lui è il belga Frank Vandenbroucke, nipote dell'ex prof Jean-Luc e portato anni prima alla Mapei da Patrick Lefevere.
Ha 24 anni e mezzo, ha già vinto la Parigi-Nizza e la Gand-Wevelgem '98, ha chiuso in seconda posizione poche settimane prima il Giro delle Fiandre ed è dotato di un talento cristallino.
Alla fine della stagione precedente ha lasciato sorprendentemente la Mapei, la quale ha ingaggiato proprio Bartoli per il '99.
Quell'assalto solitario non è tuttavia risolutivo.
Infatti pochi chilometri dopo, tra discesa e pianura, gli inseguitori rinvengono e si forma un drappello in testa, del quale fanno parte anche Bartoli e il suo scudiero Bettini, il belga e Boogerd.
Sarà proprio l'eterno capitano olandese della Rabobank ad accelerare e l'ultimo a mollare le ruote di Vandenbroucke sulla Côte de Saint-Nicolas (quella "degli italiani"), laddove l'indemoniato belga si invola nuovamente da solo con un altro attacco impetuoso.
Al traguardo arriva da solo e festeggia la prima classica Monumento della carriera, che incredibilmente si rivelerà pure l'ultima.
Vandenbroucke ha i capelli e il pizzetto tinti di biondo e l'occhiale da sole da rockstar, l'iconico copriscarpe rosso in tinta con la maglia Cofidis e un modo fantastico di interpretare le gare: ha tutto per diventare una stella sportiva e mediatica.
A settembre andrà alla Vuelta per preparare il Mondiale di Verona e nel grande giro iberico tocca nuovamente apici di onnipotenza ciclistica: vince due tappe (celebre quella della spaventosa "fucilata" di Ávila), vola a cronometro e perfino nelle ultime tappe di montagna, vince la classifica a punti ed è addirittura dodicesimo in classifica, lui che è uomo da classiche, nella favolosa edizione vinta da Jan Ullrich.
In Spagna conosce anche una bellissima ragazza italiana (Sarah Pinacci, ndr), che presto diventerà sua moglie, al seguito della corsa per pubblicizzare le macchine da caffè Saeco.
A Verona invece cade nelle prime fasi di gara e si rompe lo scafoide; al traguardo di un circuito ampiamente sopravvalutato sarà comunque settimo.
Dal 2000 in poi, purtroppo, la parabola dell'uomo pronto a spaccare il mondo imboccherà una irreversibile picchiata verso gli inferi.
Tra amicizie sbagliate con alcuni compagni di squadra (Philippe Gaumont, deceduto nel 2013, e Nico Mattan), una gestione sbagliata da parte di troppe persone, demoni interiori e dipendenze, di quel Vandenbroucke formato-gigante del '99 resterà solo uno sbiadito ricordo.
L'unica versione accettabile risale al 2003, sotto la guida del suo vecchio mentore Lefevere, quando arriva nuovamente secondo al Fiandre dietro Peter Van Petegem, come accaduto nel '99.
Gli ultimi anni trascorrono tra continui cambi di casacca alla disperata ricerca di un rilancio nella vita più che nell'attività da corridore, un tentato suicidio in realtà mai confermato e la tragica morte in un albergo in Senegal a fine 2009, quando gli anni sulle spalle non erano nemmeno 35.
Di errori ne ha commessi parecchi, tutti ai danni della sua stessa persona, ma il conto finale è stato troppo salato.
L'anima fragile Vandenbroucke, propensa all'autodistruzione, ha infiammato le strade del ciclismo internazionale per un lasso di tempo troppo breve, in rapporto alle sconfinate qualità.
Il segno lo ha ugualmente lasciato.
E ogni anno che il gruppo, o ciò che resta, affronta le rampe della Redoute, per pochi attimi appare come in un flash quel ciclista travestito da rockstar che si inerpica come un siluro verso la vetta, che da oltre 15 anni guarda dall'alto.
E quel suo pizzetto platinato probabilmente si dilaterà con il suo sorriso dolce e spaesato al pensiero che un affresco così bello come il suo, per quanto non decisivo, nessuno lo ha più dipinto lassù.
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