MINA - LA MAMMA DELL’URLO


Mina circondata da ballerini durante le prove della trasmissione televisiva Studio 1.
È il 1961, stesso anno dell'intervista con Oriana Fallaci di queste pagine.


Mina a Oriana Fallaci: «Finalmente posso essere me stessa: un animale che sta al sole e dorme. Una che se ne infischia»

La grande inviata invitò la cantante a casa sua e la intervistò. «Nel nostro primo incontro ero una ragazzaccia viziata, ora sono una donna matura a cui non manca più nulla. Ma non mi chiami “signora”, non sono sposata, mi chiami Mina, d’accordo?»

1 Aug 2025 - Corriere della Sera / Sette
di Oriana Fallaci
«L’EUROPEO», 9 GIUGNO 1963 

ORIANA FALLACI. Noi ci siamo già incontrate, signorina Mazzini: a Sanremo, poco più di due anni fa, quando lei cantava una canzonetta dal titolo Io amo, tu ami, e sembrava ignorare perfino il significato di quel verbo che a ogni strillo le riempiva la bocca. Infatti affermava di dormire con un orsacchiotto e di divertirsi soltanto con «Topolino», le bolle di sapone, e le fotografie di «un tipo con la barba che ha accoppato un mucchio di gente e mi pare si chiami Fidel». Ignorava o sembrava ignorare molte altre cose: ad esempio che Nenni fosse socialista, che il pentagramma servisse per scriver la musica, e che Maometto avesse dettato la religione dell’Islam. «Ma chi era questo Maometto? Il nome è simpatico, se un giorno avrò un figlio voglio chiamarlo Maometto». L’incontro mi lasciò perplessa, signorina Mazzini; scusi, volevo dire signora..

MINA. Signora? E perché? Non sono sposata, e di conseguenza non sono signora. Siccome non sono «signora», niente mi dà fastidio come sentirmi chiamare «signora». A me, quando dicono «signora», sembra sempre che si diano una gomitata nei fianchi: lo dicono sempre con una tal aria di complicità, quasi volessero dividere con me chissà quale colpa. Con lei è diverso, lo so, se non fosse diverso non sarei qui in casa sua a farmi chieder le cose: però non mi chiami signora. Mi chiami Mina. D’accordo?

- D’accordo. Dicevo dunque che l’incontro mi lasciò perplessa. E altrettanto perplessa ora che la ritrovo madre di un figlio che non ha chiamato Maometto: è talmente cambiata in due anni! Non soltanto perché allora era magra, bionda, nervosa, mentre ora è florida, bruna e tranquilla: ma perché...

Perché non sono più la stessa persona. Ero una ragazzaccia viziata ed ora sono una donna matura, paga dei suoi settantatré chili. Non sapevo ciò che volevo ed ora lo so. Mi mancavano tante cose ed ora non mi manca più nulla. Mi sento serena come chi ha scoperto che le cose importanti sono le cose più semplici: amare un uomo che t’ama e avere un figlio da lui. Insomma, due anni fa ero nell’epoca dello stupore: aprivo un cassetto e mi meravigliavo di ciò che conteneva. Ora apro un cassetto e prima ancora di aprirlo so quel che ci trovo: il padre di mio figlio e mio figlio. Due cose che investono la mia vera vita e non la vita che fingevo di avere. Sa, allora non facevo altro che correre: ora invece passo le giornate senza far niente. Tutt’al più guardo la televisione, la guardo anche se non vedo quello che guardo, mi basta star lì dinanzi ad uno che parla anche se non è a me che parla, posso essere finalmente quello che sono: un animale cui piace stare al sole e dormire, qualcuno che se ne infischia di tutto. Me ne infischio perfino del lavoro. Non completamente perché sarebbe cretino, ma abbastanza.

- Vuol dire che non le importa più di esser famosa, popolare, adulata: in altre parole d’esser la Mina ed aver successo?

Il fatto è che non l’ho mai cercato, il successo: non l’ho mai desiderato, non ho mai lottato per conquistarlo, e così non l’ho mai apprezzato. A una certa età, così come all’uomo viene la barba, a me è venuto il successo ed io ho accettato la barba, il successo, come una cosa normale: senza pena né fatica, senza rendermi conto della fortuna che mi capitava, del regalo che era. Me lo sono tenuto come si tiene un regalo di cui si ignora il prezzo, e se lo perdo pace. No, non mi è mai importato nulla del successo, la gente che ferma per strada mi ha sempre intimidito, ed ora mi intimidisce ancora di più: mi dà come un complesso. Il complesso che mentre mi chiedono l’autografo abbiano qualcosa da dirmi o da chiedermi. Magari loro non ci pensan neanche ma io mi aspetto sempre che inizino un discorso, che analizzino in qualche modo la mia «situazione»: e ciò mi dà fastidio. Poi ci sono quelli che si mettono dalla mia parte, ma così spudoratamente che è come se io mi mettessi dalla mia parte, sembra che vogliano prendere a pugni tutti quelli che non la pensano come me e come loro: e anche questo mi dà fastidio. La solidarietà! Tanto so bene che non è vera, che parlan così perché dinanzi alla persona interessata non si è mai sinceri. 


«Agli uomini viene la barba, a me è venuto il successo. 
Non l’ho mai voluto o cercato e se lo perdo, pace. 
La gente che mi ferma per strada mi intimidisce»


- Questo non è giusto, e nemmeno garbato. Diciamo piuttosto che si sfogano a difenderla per difender se stessi, che la loro solidarietà è un facile modo per porsi contro il mondo e le convenienze del mondo senza correre rischi. Dando ragione a lei danno ragione ai loro sogni di peccati o di audacie incommesse. Comunque, vi sono anche quelli che la giudicano male. Da molti la nascita di questo figlio è stata considerata un esibizionismo sfacciato, uno schiaffo pubblicitario.

Quelli sono stupidi. Un figlio è una cosa talmente importante, più importante di qualsiasi altra cosa nel mondo: come possono pensare che una donna voglia imporsi al mondo servendosi di un figlio? Lo hanno detto, lo so. Hanno anche detto che l’ho fatto per avere le copertine sui settimanali, che mi son fatta pagare le fotografie. Hanno anche inventato che ho fatto una conferenza-stampa per dar la notizia. Ma lei sa come è venuta fuori la notizia? Due giornalisti sono andati dalla mamma e le hanno detto: sappiamo per certo che la Mina aspetta un bambino, vuol confermare la notizia a noi o vuole che esca su un giornale scandalistico? La mamma è ingenua, non ha la grinta, ci è cascata subito e ha risposto sì, è vero, la Mina aspetta un figlio. Così una mattina, uscendo di casa, ho trovato l’inferno: su tutti i giornali stava scritto che aspettavo un figlio. Non so se mi spiego, non so se capisce: tu esci di casa, tranquilla, col tuo segreto, passi dinanzi al giornalaio, tranquilla, col tuo segreto, e vedi scritto a caratteri di scatola il tuo segreto. Allora tu torni a casa, correndo, col tuo segreto che non è più un segreto, e trovi quaranta fotografi ad aspettarti, a circondarti, ad accecarti. Io credo che nel Medioevo fosse così la... la... come si chiama?

- La caccia alle streghe. Però non si può dire che lei abbia fatto molto, Mina, perché se ne parlasse un po’ meno. Direi anzi che ha parlato un po’ troppo e con troppa gente.

Si fa presto a dire così: avrei voluto vederla, al mio posto. Cosa avrebbe fatto, mi dica, coi giornalisti e i fotografi che sbucavano dalla sua automobile, di sotto al suo letto, dalla sua borsa dell’acqua calda? Dicevo una parola e loro ci ricamavano sopra un articolo. Alla fine mi son rassegnata: se è tanto importante per voi che io partorisca mio figlio, accomodatevi pure.

- E non l’aveva sfiorata il dubbio che una simile reazione avvenisse? O forse si sentiva protetta dal fatto d’esser la Mina, se vi piace è cosi se non vi piace è così lo stesso: tanto vivo in un’epoca che offre a una donna il vantaggio di fare quel che vuole, di mettere al mondo chi vuole?

Non ci ho mai pensato, tantomeno ho pensato a sentirmi protetta perché ero la Mina. Quando una donna è incinta, non va mica a pensare sono la Mina e posso farlo, non sono la Mina e non posso farlo, oddio cosa diranno gli altri, cosa penseranno? Io ho preso la decisione che ho preso indipendentemente dagli altri, prescindendo dalla approvazione o dalla disapprovazione degli altri, nient’affatto sicura del benestare che tutto sommato c’è stato, pensando semmai che tutti ce l’avrebbero avuta con me. Per esempio ero sicura che la vendita dei dischi avrebbe avuto un calo tremendo, ne parlai anche con le mie case discografiche. Il calo non c’è stato, la vendita continua come prima: ho sempre avuto una fortuna schifosa, io. Ma se non fosse andata come prima, se la fortuna mi avesse finalmente abbandonato, non me ne sarebbe importato un bel nulla. Una che vuol diventare zero fa quello che ho fatto io: ed io lo avrei fatto anche se fossi vissuta trent’anni fa.

- D’accordo. Ma non ha mai avuto nemmeno timori o imbarazzi? Non so, ad esempio, nei riguardi delle persone che conosceva a Cremona: dopotutto lei vive in provincia, viene dalla provincia, malgrado sia tanto famosa resta una ragazza di provincia, educata in provincia...

Timori e imbarazzi per la gente di Cremona? No, non direi. Sapevo come avrebbero reagito: bene e male, soprattutto male perché quando uno ha vissuto tanto tempo coi suoi bei principioni non puoi pretendere che cambi idea all’improvviso e per i tuoi begli occhi. Timori e imbarazzi io ne ho avuti ma solo per i miei parenti o meglio per i miei genitori o meglio ancora per mio padre. Non che pensassi di sentirmi gridare figlia snaturata, via di qui, non sei più mia figlia: ma che sapessi di dargli un dolore, questo sì. Perciò ho aspettato molto a dirlo a mio padre: un giorno di più e se ne sarebbe accorto da sé. Vuol sapere come è successo? Davvero? Be’, così. L’ho chiamato in camera mia, papà devo dirti una cosa, lui è venuto e nello stesso momento mi ha colto un attacco di isterismo: mi son messa a ridere come una pazza. Non potevo frenarmi, ridevo, ridevo mentre papà mi guardava con occhi dolorosi e stupiti, e così, sempre ridendo, ho detto: «Papà, pensa che buffo: mi scappa tanto da ridere e devo dirti che sono incinta». Papà non ha battuto ciglio, si è seduto sul letto, mi ha risposto è inutile che ti dica come la penso tanto lo sai, vediamo piuttosto di esaminare la faccenda. Così ci siamo messi ad esaminarla, dunque Corrado è sposato, dunque vediamo, dunque guardiamo, io intanto non ridevo più, e quando l’abbiamo esaminata da tutte le parti papà mi ha dato il bacio della buonanotte e si è ritirato in camera sua. Magari tutti avessero genitori stupendi come i miei.


Un’altra immagine datata 1961. Mina al Festival di Sanremo, al quale partecipò con due canzoni: 
Le mille bolle blu e Io amo tu ami. Arrivò quarta con quest’ultima

- Quanti anni ha suo padre?

Quarantasette.

- È giovane. Forse, se fosse stato di un’altra generazione, non si sarebbe comportato così.

Ma che c’entrano le generazioni, io i discorsi sulle generazioni non li capisco. Non si cambia mica per le generazioni, si cambia invecchiando. A vent’anni si pensa e si agisce come a vent’anni, a quaranta come a quaranta, a sessanta come a sessanta. Mio padre ha reagito come un uomo di quarantasette anni e comunque ognuno è diverso. Non si può dire tu sei così e allora tutti quelli che sono nati nel tuo periodo sono così. Lei, quando ha scritto l’altro articolo sopra di me, lo ha fatto: ma a mio parere ha sbagliato. Cosa ha di speciale la mia generazione rispetto a quella di mio padre? Quella di mio padre ha visto una guerra e quella mia vedrà un’altra guerra: ecco tutto. E ad ogni modo, guerra o non guerra, io credo che dai tempi di Adamo ed Eva le cose vadano nel medesimo modo. Non c’è nulla di simbolico in me né in mio padre. Ma perché vuol sempre dimostrar qualche cosa?

- Non voglio dimostrare un bel nulla e il suo punto di vista è discutibile, probabilmente sbagliato. Voglio solo intervistare una donna che si chiama Mina ed è a Mina, non alla sua generazione, che rivolgo infatti una domanda pesante: non ha mai pensato di non farlo, questo figlio?

Io l’ho voluto, questo figlio, non è nato per combinazione. L’ho voluto perché amavo il padre di questo figlio e il padre di questo figlio era d’accordo con me nel volerlo. Vede... è difficile spiegar queste cose. Dovrebbe essere innamorata, per capirmi: innamorata come io lo sono di Corrado. Vuole che le parli di lui?

- Certo. Se vuole.

Ecco, vede, Corrado è tutto il contrario di quello che gli altri credono, Corrado è diverso da tutti. Oh, non rida! Lo so che tutti dicono così quando sono innamorati. Ma Corrado... Per esempio non è affatto vero che posi ad Actors Studio e imiti James Dean. È un ragazzo all’antica e non lo sa. È un semplice che quando deve dire una cosa la dice, ed è tutto il contrario di me nel senso che non è pigro, quando sta due giorni senza lavorare ci sta male, giorni fa a lavorare è crollato, svenuto come Anna Fougez. Pensi che io non l’ho quasi mai visto recitare e lui non sa chi sono: quando sente cantare alla radio Iolanda Rossin o Wilma De Angelis chiede: «Sei tu?». Non gli importa niente che io sia la Mina, anzi l’idea di avere la donna chanteuse lo irrita a morte. Corrado mi sta bene come un vestito che mi sta bene e, quando mi accorsi che mi stava bene, desiderai avere un bambino. Mi sono sempre piaciuti i bambini.

- Un figlio non è solo un bambino. Un figlio è una creatura che cresce, che diventa un uomo, è un uomo: verso il quale si hanno infinite responsabilità. E la responsabilità più grossa di tutte: quella di averlo messo al mondo. Lei era cosciente di questo?

Fino ad un certo punto, anzi no. Finché non me lo sono visto davanti ne sono stata pochissimo cosciente. La responsabilità viene fuori solo al momento in cui il figlio nasce e lo tocchi, prima no. Io, quando mi accorsi di aspettarlo, non pensai affatto alla responsabilità che ciò comportava: pensai solo che avevo voglia di averlo, questo figlio mio: di averlo come cosa mia, egoisticamente. Poi nacque, e improvvisamente mi resi conto di tutto: che avrebbe dovuto andare a scuola, e fare la scarlattina, e il soldato... Insomma che...

- Che gli aveva dato la vita. Che si muoveva, e respirava, che sarebbe esistito nel male e nel bene: che responsabile di questo era lei. E questo, che effetto le fece? Non la riempì di paura?

Di colpo... di un’immensa paura. Mi fece anche sentire più vecchia. Caddi subito dal cielo alla terra e per un giorno e una notte non feci altro che piangere. Piangevo perché sarebbe andato a scuola, piangevo perché avrebbe fatto la scarlattina, piangevo perché avrebbe fatto il soldato, e piangevo all’idea delle prime incomprensioni che sarebbero esplose tra me e lui, all’idea che avrei dovuto educarlo, insegnargli pensieri e sentimenti. Nello stesso tempo però mi resi conto di volergli così bene, così bene: un bene irragionevole, che superava perfino le lacrime. Sa, quando si ama tanto una persona, non ci si rende conto di sbagliare e per mio figlio fu la medesima cosa. Io gli volevo bene, gli voglio bene che non mi pongo nemmeno il problema d’avere avuto torto o ragione a metterlo al mondo. E questa è l’unica cosa che conti, che conterà quando sarà grandino e mi chiederà le cose, e dovrò spiegargli questa è una mela, questa è una pera, e questo è un libro.


Un’immagine del 1960: Mina viene fotograta con l’attore Corrado Pani, suo grande amore, 
con cui avrà il figlio Massimiliano, mentre sta per salire con lui sulla Porsche con lui alla guida

- Ma quando le chiederà qualcosa di più? Quando dovrà spiegargli qualcosa di più di una mela, di una pera, di un libro?

Questo mi preoccupa moltissimo: in tutta la mia vita, la cosa che mi ha forse turbato di più è stato l’atto di nascita di mio figlio, quando ho dovuto scrivere Massimiliano Mazzini anziché Massimiliano Pani. Io spero solo che quando sarà grande, tutto ciò sarà andato a posto: fra tre anni si può fare l’affiliazione. Lei che dice?

- Sarà tutto a posto e, se non sarà tutto a posto, egli dovrà essere ugualmente fiero di lei e volerle più bene.

Sì, sì: lei lo dice per incoraggiarmi, ma io spero che saprò stargli vicino e dirgli vedi, bambino, io amavo tuo padre e t’ho voluto perché amavo tuo padre, e se non ho sposato tuo padre non è stato perché non l’ho voluto. Ad ogni modo il padre ce l’hai e ho vissuto con lui... Senta, io le donne che decidono di avere un figlio senza vivere col padre del figlio non le capisco: mi sembrano ciniche e ancora più egoiste di me. Io, se avessi potuto, mi sarei sposata assai volentieri e non per essere chiamata signora: per legalizzare mio figlio. E poiché Corrado non lo posso sposare, voglio almeno dare una famiglia a mio figlio: affinché cresca normale e venga su come gli altri bambini. Lo sa qual è la cosa che mi tormenta di più?

- Non avere una casa, suppongo, non poter vivere insieme nella medesima casa, esser costretta ad abitare in albergo. È duro, capisco.

Più che duro, umiliante. Tante persone che non sono sposate vivono nella medesima casa: anche in Italia. Noi non possiamo: esiste una denuncia di concubinato e se abitiamo nella medesima casa il concubinato diventa lampante, finiamo in galera. Mio Dio, dico, se avessi rotto una famiglia capirei. Ma non ho rotto nulla, tutto era già rotto prima che io arrivassi, Corrado e sua moglie vivevano separati da un anno, la pratica per l’annullamento del matrimonio era già in corso, la moglie era d’accordo, diceva non m’importa un bel nulla se quei due stanno insieme. Poi è venuta fuori la storia del figlio e ci ha querelato. Mio Dio, vorrei dirle, sei bella, sei ricca, sei giovane, hai la vita davanti, ed io ho partorito un bambino: perché non vuoi lasciarmi vivere con lui e col bambino?

- Potreste vivere insieme in un altro paese. Molti lo fanno.

All’estero? Facendo cosa? Non siamo ricchi come la gente crede e il nostro lavoro è qui. Io ho firmato contratti fino al 1965 e se non li mantengo mi fanno una causa grossa così. Devo lavorare, perbacco. L’unico lavoro che non faccio più è cantare nei teatri in Italia. Verrebbero a vedermi più che a sentirmi, proprio come si fa con la donna barbuta nei Luna Park, ed io non sono un fenomeno da baraccone. Del resto, questa situazione me la sono voluta e poiché me la sono voluta devo sopportarmela con tutte le sue conseguenze. Vivere spesso separata non mi fa paura: se mi facesse paura, non mi sarei messa in una situazione del genere. Andrà bene lo stesso e, anche se andasse male, rifarei tutto quello che ho fatto.


«Alle elezioni ho votato in ospedale, avevo appena partorito. 
Mi hanno detto che ero entrata nella maturità. 
Per quello? Non perché ero madre?»


- Eh, si, Mina: è cresciuta, non c’è che dire. Due anni fa mi sembrava d’avere cent’anni quando la ascoltavo, ora mi sembra che i cent’anni li abbia lei. Ricordo quando mi disse: «Io ho diciott’anni, l’età che avevo quando questa malattia chiamata successo si abbatté su di me. Quando crescerò partirò da quei diciott’anni».

Quelli, sa, mi chiedo se li ho mai avuti. Non ho mai vissuto da ragazzina, non ho mai fatto quello che fanno le ragazzine: come recarsi a ballare e a fare i bagni. Quando uscivo di casa succedeva l’iradiddio e se le mie arniche dicevano Mina, perché non andiamo insieme al mare quest’anno?, ero costretta a dire di no: perché avrei rovinato la loro vacanza e la mia. Non ho mai frequentato la gente della mia età, non ho mai avuto nulla in comune con la gente della mia età. I ventenni, non so: o sono terribilmente impegnati coi problemi centrali o pensano solo al cha-cha, o sono comunisti o sono fascisti. Io non penso solo al cha-cha e non sono impegnata coi problemi centrali, non sono comunista e non sono fascista: sono liberale e mi piace Malagodi col suo viso di faina. I ragazzi della mia età hanno ventitré anni, quando parlo con loro viene sempre un momento in cui esclamo: Dio, quanto siete giovani. Anche gli uomini che ho frequentato con convinzione sono sempre stati sui quaranta. Corrado ha ventisette anni ed è il più giovane che ho conosciuto. Mi piacciono i vecchi perché sono sereni e non hanno mai problemi banali. Con lei, sa, recitavo una parte, quel giorno, e ad esser sincera era una parte che non mi divertiva. D’altra parte, perché avrei dovuto mettermi lì a distruggere un mito? Ora siamo sole, in casa sua, abbiamo tempo: può anche valerne la pena. Ma allora!... Smontare un mito è la cosa più faticosa del mondo, per pigrizia finisci sempre per recitare un personaggio che ti hanno messo addosso.

- Questo lo avevo intuito. Lo scrissi, anche: «Mi prende il sospetto che sappia benissimo chi è Fidel Castro, e chi è Kennedy, e chi è Maometto, e...».

No, no: chi fossero loro non lo sapevo davvero. Certe cose le ho apprese per le elezioni. A proposito, le ho raccontato la scena del mio voto? Roba da Charlot, da morir dal ridere. Ero in ospedale, avevo da poco partorito mio figlio, e questi arrivarono con un lenzuolo: per coprirmi mentre votavo stando a letto. Io strillavo che mi coprite a fare, tanto lo dico a tutti che voto per il partito liberale, ma loro mi coprirono lo stesso, bene attenti a non guardare chi avrei votato, e dopo qualcuno uscì con questa frase: «Ora hai votato, sei entrata nella maturità». Dico, avevo avuto un figlio, stavo lì con mio figlio, e quelli mi vengono a dire che sono entrata nella maturità perché ho dato un voto con quella scena da Charlot.

- E chi gliel’ha fatta questa cultura politica? Corrado?

No, no. Lui è mezzo comunista, fa il comunista: di queste cose non ci parlo mai sennò litighiamo. Me la son fatta da me: ascoltando di più, leggendo di più.

- Allora non legge più «Topolino».

Sì che lo leggo: mi distrae, mi distende. Ma non solo «Topolino», leggo anche i libri: quelli che mi piacciono. Io, sa, tipi che si tormentano a leggere Kafka solo per dire la loro quando stanno a tavola con altri e uno dice Kafka, non li capisco. Niente è più disonesto e assurdo che caricarsi di una pila di libri e sfogliarli per poter dire la frase giusta al momento giusto. Cos’altro aveva sospettato di me?

- Che sapesse benissimo cos’è l’amore, e cos’è un pentagramma, e che le bolle di sapone non la divertissero affatto, e che l’orsacchiotto col quale dormiva fosse la sua borsa dell’acqua calda. Era la sua borsa dell’acqua calda?

Era la mia borsa dell’acqua calda. Faceva freddo, quell’anno, a Sanremo. Quanto al pentagramma, è vero che ignoravo cos’era: però avevo cantato un poco come soprano lirico, mia nonna era una grande cantante, questo lo sa.

- Lo so. Però mi interessa più l’orsacchiotto. Dunque non era la ragazzina ingenua che tutti dicevano. Anche in quel senso aveva cominciato ben presto la sua corsa alla maturità.

Ingenua... Oddio! Son sempre frasi da pigliar con le pinze, queste qui. Ma direi no: proprio no. Mi innamoravo, sì, ma con riserva se non va, chi se ne infischia. In altre parole, li tenevo come qualcosa cui si fa finta di credere e che si può sempre gettare quando non ci si crede più. Era una cosa finta, come recitare una scena d’amore in un film, magari soffrivo ma come si soffre in un film: perché questo faceva parte della scena amorosa. Ma lo sa che quando piangevo mi guardavo allo specchio per vedere come piangevo? Quando invece piangevo perché era nato mio figlio, non mi guardavo allo specchio.

- Sarà contenta, Mina, d’avere avuto un maschio e non una femmina.

Perché?

Sa... ecco... è ben vero che.il mondo d’oggi appartiene più alle donne che agli uomini, ma una femmina che le assomigliasse sarebbe un bel problema, suppongo. Se non altro, il problema di non farla vivere in fretta come lei ha vissuto, di non farle capir tutto cosi presto, di non concludersi cosi presto.

Perché? Io non sento d’avere esaurito il mio futuro, anche se le mie esperienze sono state veloci. Non mi sento defraudata di niente. Va bene così come va: e non è affatto presto esser madre a ventitré anni. Ho ventitré anni: non potevo mica continuare a recitare in eterno. Oh, non mi capisce, lo so: del resto, non l’ha detto lei stessa che l’altra volta, a parlarmi, si sentiva addosso cent’anni e questa volta si sente come se i cent’anni li avessi io? Siamo destinate a non capirci, noi due. Il fatto è che io sono romantica, romantica come una donna, e lei è cinica, cinica come un bambino. Continua perfino a scrivere articoli sulla Mina: sapendo che non ne vale la pena.

Chissà che non abbia ragione, Mina. Chiudiamo questo aggeggio e facciamoci un caffè. Anzi, il caffè lo prende lei. Io, un bicchiere di latte.

***

Oriana Fallaci
«L’EUROPEO», 9 GIUGNO 1963 
IN ORIANA FALLACI, SE NASCERAI DONNA, RIZZOLI, 2019 
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 
2019 MONDADORI LIBRI S.P.A. / RIZZOLI, MILANO

Giornalista e scrittrice, Oriana Fallaci nacque nel 1929 a Firenze, dove morì nel 2006, a 77 anni, dopo una lunga battaglia contro il cancro. Debuttò a Epoca, poi nel 1951 approdò all’Europeo, dove restò fino al 1977. Sul Corriere della Sera scrisse dal 1979. I suoi libri hanno venduto circa 20 milioni di copie.

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