Citizen Kane, Citizen Trump, Citizen Welles
La Cinémathèque française di Parigi propone una mostra in cinque parti sul regista (e attore), scomparso 40 anni fa, che con il folgorante esordio, ancora attualissimo, ha ribaltato Hollywood.
Ascesa, caduta e leggenda di un re senza regno
19 Oct 2025 - Corriere della Sera / La Lettura
Da Parigi - PAOLO MEREGHETTI.
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Come si fa a mettere in mostra un genio? È questa la domanda che si è posto Frédéric Bonnaud, direttore della Cinémathèque e commissario dell’esposizione "My Name is Orson Welles" con cui la massima istituzione cinematografica francese ha voluto ricordare il quarantesimo anniversario della morte del regista di Quarto potere, avvenuta il 10 ottobre 1985. Perché la sua opera più famosa, il folgorante esordio di un ventiseienne che con un film aveva distrutto regole che a Hollywood sembravano immutabili, ha sempre rischiato — e rischia ancora — di «diventare un ostacolo più che un aiuto» (Bonnaud dixit) alla conoscenza di chi aveva fatto molte cose prima e molte ne farà anche dopo.
Certo, al centro di tutto c’è sempre Citizen Kane (questo il titolo originale di Quarto potere, con cui i distributori italiani avevano focalizzato tutto sul ruolo di editore del protagonista, senza capire che il «cittadino Kane» era molte altre cose ancora), ma la mostra che si articola in cinque grandi capitoli comincia ben prima. Lo testimonia un ritaglio del «Capital Times» del 1926, dove si legge che «poeta, artista, disegnatore e attore... all’età di 10 anni Orson ha molte ambizioni» ma che «non sa decidere per il momento cosa sarà quando diventerà grande». Sotto il titolo "Wonder Boy" seguiamo attraverso le foto la sua avventura teatrale di regista e attore, la ressa a Harlem per la prima del suo Macbeth in versione voodoo, il suo celebre Giulio Cesare in abiti nazisti e poi ascoltiamo la sua celeberrima versione radiofonica della Guerra dei mondi che il 31 ottobre 1938 terrorizzò mezza America e fece di Welles il personaggio più popolare degli States.
Il secondo capitolo, "Citizen Kane", è tutto dedicato al suo film più famoso: lo si può (ri)scoprire attraverso le varie stesure della sceneggiatura (a testimoniare che, contrariamente a quello che sostenevano Pauline Kael e il film Mank di David Fincher, la mano di Welles c’era eccome accanto a quella del cosceneggiatore Mankiewicz) oppure sedendo nella prima delle tante salette destinate alle proiezioni, dove sono mostrate alcune sue innovazioni tecniche ma anche le tante citazioni che quel film ha prodotto nei decenni a venire; o ancora ammirando le foto di lavorazione di quello che doveva diventare «il film più bello nella storia del cinema».
Dopo il trionfo (comunque mitigato: il solo Oscar per la sceneggiatura originale e il boicottaggio del magnate della stampa William Randolph Hearst che si credeva — non a torto — rappresentato nel «cittadino Kane» e che impedì a molte sale di proiettare il film), dopo gli applausi... la caduta. Le début des ennuis, l’inizio dei problemi, comincia subito, nel 1942, quando Nelson Rockefeller manda Welles in Brasile a girare un film che argini le simpatie crescenti per Hitler e la RKO si spaventa delle reazioni del pubblico alle proiezioni-test dell’Orgoglio degli Amberson: non gli vengono risparmiate né cattiverie né facili ironie (una scelta delle risposte è esposta in mostra) e Welles, lontano, non può difendersi. Risultato: il film viene tagliato, rimontato e concluso da un finale diverso.
Lui cerca di rifarsi dimostrando con Lo straniero che può fare un film «alla maniera di Hollywood» e capace di incassare, ma la sua creatività ha bisogno d’altro. Decide di produrre uno spettacolo teatrale dal Giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, con musiche di Cole Porter: per Bertolt Brecht è «lo spettacolo più bello che abbia mai visto» ma per le casse è un disastro.
Orson deve chiedere aiuto a Harry Cohn, il boss della Columbia che ha sotto contratto sua moglie già in aria di divorzio, Rita Hayworth, e per ripagarlo dei soldi con cui ha saldato le scenografie di quella «extravaganza» dirige La signora di Shanghai, tingendo di biondo l’attrice dai celebri capelli rossi e lasciandola morire senza degnarla di uno sguardo. È chiaro che Cohn pretenda delle modifiche (anche queste esposte in mostra), Welles volta le spalle a Hollywood e arriva in Europa, con lunghe tappe in Italia, come dimostra una foto dove gli intellettuali che frequentano il Caffè Greco di Roma — Ennio Flaiano e Carlo Levi, Vitaliano Brancati e Aldo Palazzeschi, Mario Mafai e Sandro Penna e Goffredo Petrassi — sono ritratti da Irving Penn con Welles tra i convitati seduto accanto a Lea Padovani cui fece invano una corte serrata.
Inizia così il quarto capitolo Star en Europa dove Welles cerca di finanziare con la sua attività d’attore i sogni di regista, da Otello (impiegherà due anni e quattro Desdemona per riuscire a finirlo) al Don Chisciotte, che aspetta ancora di essere tirato fuori dalle tante scatole in cui giacciono le bobine del girato. Sono anche gli anni del Terzo uomo (che rilancia la sua popolarità), del ritorno a Hollywood chiamato da Charlton Heston per L’infernale Quinlan, del Moby Dick a teatro, di Kafka e Shakespeare adattati al cinema, ma anche del suo progressivo abbandono della scena mediatica.
Quando si arriva all’ultimo capitolo dell’esposizione, "Un Souverain sans royaume", un sovrano senza regno, ci sono molte cose da scoprire, compresa la sua abilità non solo come disegnatore (conosciuta) ma anche come scultore (in mostra un modellino del re Lear alto 20 centimetri e regalato alla sua ultima compagna, Oja Kodar); la corte che gli ha fatto Alejandro Jodorowsky per convincerlo a interpretare il barone Harkonnen in una versione di Dune che avrebbe dovuto coinvolgere anche Mick Jagger, Alain Delon e Salvador Dalí; la sua passione per la magia e le sue concessioni alla pubblicità.
Una parabola malinconica ma vivissima, in una mostra tutta da scoprire che però non racconta solo una carriera cinematografica ma anche, per usare ancora le parole di Bonnaud, «un pezzo della storia politica del secolo scorso, soprattutto americana, dove le forze progressiste che incarnava Welles sono state combattute e sconfitte». Lo testimonia, tra l’altro, il dossier dell’FBI su Welles esposto in mostra (in Italia aveva voluto andare a pranzo anche con Palmiro Togliatti) e la provocazione finale del direttore della Cinémathèque che si chiede se qualcuno, osando oggi riscrivere Citizen Kane non lo potrebbe intitolare Citizen Trump.
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La mostra e le immagini
Fino all’11 gennaio la Cinémathèque française di Parigi (51 rue de Bercy) ospita la mostra "My Name is Orson Welles", dedicata al regista (1915-1985) a 40 anni dalla morte; chiusa tutti i martedì e il 25 dicembre. Il catalogo (Editions La Table Ronde, pp. 464, e 44,50) è curato da Frédéric Bonnaud, come l’esposizione che è affiancata dalla proiezione di tutti i film diretti da Welles, una larga scelta di film interpretati da lui, lavori per la tv e brevi filmati sull’attività teatrale.
Info: cinematheque.fr.
Nella foto in alto: i manifesti di Quarto potere (Citizen Kane, 1941) esposti a Parigi; sotto a sinistra, la sfera di neve che appare all’inizio del film (foto di Stéphane Dabrowski); a destra Welles in un ritratto di Oja Kodar, autografato (© Archivi di Stato, Šibenik, Croazia). In basso: Orson Welles e Rita Hayworth in La signora di Shanghai del 1947 (© Columbia Picture)

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