Ponferrada 2014, Show-down Must Go On
di SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo
Domenica 28, il dì dedicato alla prova in linea dei professionisti, si chiude coi fuochi artificiali la rassegna iridata di Ponferrada.
Il percorso scelto dagli organizzatori, che sono riusciti a rispettare gli impegni nonostante le difficoltà finanziarie, non appare distante tecnicamente dal tobòga madrileno dell'ultima volta in Spagna (Madrid 2005). Allora vinse uno strapotente Tom Boonen, malgrado gli assalti di Bettini e Vinokourov: una gara appassionante, che si disputò nell'indifferenza di una metropoli distratta. Stavolta la Castiglia e Leon pare più adatta ad accogliere i Mondiali: la risposta del pubblico, in questo fine settimana, chiarirà molte cose. In fondo, alla Vuelta, la folla era quantitativamente inferiore rispetto a quella del concomitante Tour of Britain.
Il tracciato, al di là della sindrome di Sallanches 1980 (ovvero la suggestione dei cittì che scambiano un cavalcavia per l'erta di Domancy), è moderno, aperto a più soluzioni tattiche. Ci sembra comunque destinato a un classicomane, soprattutto un velocista "resistente" con doti di fondo comprovate. In sintesi, dovessimo stilare una griglia dei favoriti, alla luce di questi otto mesi proporremmo d'acchito tre nomi tre: Gerrans, Degenkolb e Kristoff.
Ma le variabili impazzite della giornata, e che ne rafforzano il fascino (perverso), ci consigliano un'analisi meno banale. I 254,8 chilometri, quattordici giri del circuito, si snodano su un'altimetria che privilegia l'alta velocità e i cambi di ritmo.
Se il primo strappo al Castello dei Templari è quasi irrilevante, la salita di Confederacion (lunga - 5 km - ma abbordabile) potrebbe - nelle tornate decisive - ingannare parecchie ruote veloci. Un po' per tutti, la rampa del Mirador (1100 metri con l'inizio all'8%) rappresenta il punto-chiave: la differenza dovrebbe essere fatta da un rouleur di alto livello, che scollini con almeno un centinaio di metri di vantaggio. Perché la discesa (dai -5 km fino ai -2 km all'arrivo), scorrevolissima, non consentirebbe ricongiungimenti.
Al netto delle condizioni meteo - l'ultima curva, sotto la pioggia, ha fatto un'ecatombe nel campionato spagnolo Under 23 - il problema di molti sarà isolare (o addirittura staccare) i corridori con lo chassis del trio indicato.
Simon Gerrans, che ad aprile ha trionfato nella Liegi-Bastogne-Liegi, seconda "Monumento" della carriera dopo la Sanremo 2012 (quando batté Cancellara e Nibali), due settimane fa ha spaventato la concorrenza con una doppietta (inedita) in Canada. Il ras dell'Orica-GreenEdge è coadiuvato da uno squadrone, vessillo del Mondo Nuovo che sta cambiando la geografia del ciclismo: regista degli aussie, all'ultima recita, il leggendario Cadel Evans; seconda punta, che potrebbe sfruttare la situazione, il giovane leone Michael Matthews.
Gli altri due predestinati sembrano avere, a dispetto della classe e della forza, qualche certezza in meno, per ragioni differenti. Il formidabile John Degenkolb, affiancato da un'ottima Germania, ha il profilo ideale per Ponferrada. Le quattro frazioni vinte alla Vuelta l'hanno ribadito: il guaio è che ha voluto concluderla a ogni costo (indossava la maglia verde), peggiorando un'infezione provocata dalle ferite - non del tutto guarite - di una caduta. Chissà che il non voler agire al pari del resto della crema (che si è ritirata dal Giro di Spagna usandolo a mo' di allenamento) non gli costi la maglia arcobaleno.
Alexander Kristoff, che in uno sprint con nelle gambe sei ore di competizione è il pericolo pubblico numero uno, reduce anch'egli da una stagione memorabile, ha la zavorra di un'équipe-bonsai. I norvegesi sono appena tre (e Boasson Hagen è pure un outsider di lusso...) a causa del calcolo - a dir poco cervellotico - dei posti assegnati dall'UCI in base all'appartenenza continentale (e politica). Incredibile che Svizzera e Norvegia, per esempio, schierino meno personale rispetto a Venezuela e Marocco (!) o che siano equiparate numericamente ad Algeria e Corea (sic).
Ecco, il correre da isolati è l'assillo principale di alcuni dei protagonisti del Grande Ballo. L'abbrivio di Fabian Cancellara è stato meditato a lungo con il suo ds di club Guercilena: alla Vuelta, nelle pieghe della corsa, è parso (come l'eterno rivale Boonen) in forma. Non essendo nati ieri, sappiamo bene che riceverà solidarietà dai Trek di altre nazioni.
Il giochino varrà anche con Peter Sagan, fresco di firma con la Tinkoff-Saxo, abbastanza anonimo (e scarico) nel dopo-Tour. Alcuni sostengono che si stia nascondendo. Altri nomadi da tenere sott'occhio sono il lituano Navardauskas e gli irlandesi, pochi ma buoni (Martin, Deignan e Roche junior).
Del resto, assieme all'Australia, belgi e padroni di casa appaiono i più forti del lotto. La profondità e il talento di queste formazioni è inversamente proporzionale alla loro capacità di andare d'accordo.
Preceduti dalle polemiche per l'esclusione di Gianni Meersman - che in contesti diversi (Italia, Russia) sarebbe stato il capitano - il Belgio è una polveriera. I divi Boonen (che si è fatto crescere una barba minacciosa) e Gilbert, gli arrembanti Van Avermaet e Vanmarcke: tanta roba, se non si corressero contro.
Gli iberici poi sono, da anni, nel bel mezzo di una faida. Il pistolero Contador, vestendo i panni dell'alter ego Contabal, ha lasciato la patata bollente nelle mani di Valverde e Rodriguez: recupererà le fatiche della roja disputando la Milano-Torino, il Lombardia e forse il Tour of Beijing. Così casa Espana vivrà sull'equilibrio instabile del gruppo Balaverde (i Movistar) col clan di Purito (la Katusha). Entrambi avrebbero le doti per assicurarsi la partita (in particolar modo Valverde) o, alternativamente, rovinare i piani di gloria del nemico: a Firenze, nel 2013, l'Embatido fu il miglior alleato di Rui Costa e il peggior avversario di JRO.
Le stesse dinamiche non riverberano altrove. La Francia è tornata competitiva, Sylvain Chavanel (eccellente a Plouay) e Tony Gallopin correranno di rimessa, attendendo il momento propizio.
Nacer Bouhanni è un caso a parte... Alla Vuelta, specialmente nella frazione che si concludeva al Parco di Cabarceno, ha dimostrato sulle brevi salite un'adattabilità sorprendente: la polemica con Marc Madiot (che per ripicca non lo farà più gareggiare coi colori della FdJ...) gli darà una motivazione-extra?
Di sicuro Italia e Gran Bretagna dovranno inventarsi qualcosa, non vantando un predone da classiche. Vincenzo Nibali insegue un double che si verificò l'ultima volta negli anni Ottanta (Lemond 1989, Roche 1987). La speranza (abbastanza remota) dello Squalo è che la contesa si trasformi nella Sheffield-York, la piccola Amstel che inaugurò la sua (magica) Grande Boucle.
Idem con patate per Chris Froome, con l'asterisco di Ben Swift, un velocista "resistente" che potrebbe fregare i mammasantissima.
La mancia sono gli attori non (ancora) protagonisti - Kwiatkowski, Dumoulin, Stybar - che prima o poi vinceranno qualcosa di importante.
Last but not least, il sabato delle donne: spettacolare quanto i fusti, avrebbe dovuto vivere sullo strapotere di Marianne Vos e delle olandesi. La Regina, dimostrando di essere umana, si è ritirata dal Boels Rental Ladies Tour ed è stanca: la riprova si è avuta nella cronosquadre del 21 quando - all'ammazzacaffè - ha dovuto mollare il trenino della Rabo Liv. Nei fatti il suo 2014 è stato, al solito, fenomenale: la realtà è che la tremenda caduta delle compagne, con la frattura della cresta iliaca alla Van der Breggen e una ferita (seria) al polpaccio sinistro di Van Vleuten, rischia di modificare lo scenario di domani. I Paesi Bassi, che potrebbero vincere senza appoggiarsi alla campionissima (Brand, Van Dijk, Blaak), tale è la loro qualità, arrivano all'appuntamento "corti". E affronteranno assaltatrici (Bronzini, Olds, Armitstead, Johansson, Brennauer) pronte a ribaltare un pronostico che, un mese orsono, pareva scontato.
SIMONE BASSO, Il Giornale del Popolo, 27 settembre 2014
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