UNA BRILLANTE CARRERA
di ACHILLE OTTAVIANI, la Repubblica, 21 aprile 1989
Verona - TITO TACCHELLA, veronese, classe 1941, titolare dell' industria Carrera, ha una gran voglia di inseguire il successo dei veneti Benetton e Stefanel e getta sul piatto della bilancia le doti dimostrate in questi anni. Il suo ponte di comando è collocato in una villa veneta del '700 a ridosso di una delle sue fabbriche. E se si deve giudicare dai risultati, c' è da dire che uno dei nuovi protagonisti del casual europeo è di quelli che non hanno avuto bisogno di un lungo training per imparare il mestiere di far quattrini, producendo, commerciando, comprando, intrattenendo buone relazioni con tutti. Tacchella è ritornato agli onori della cronaca con l'acquisizione del marchio Fiorucci, ultimo business in ordine di tempo.
La storia di questo quarantottenne big nazionale dei jeans è una storia di provincia. Parte da Lugo, comune di Grezzana in provincia di Verona. Duemila abitanti, poche case, e tante fabbriche di marmo, talmente tante che i boschi adiacenti sembrano innevati anche d'estate. E' qui che nel 1970 Tacchella, insieme ai fratelli Imerio e Domenico, si inventa il marchio Carrera. Dice oggi: «Volevo inventare qualcosa di scattante, un nome che richiamasse uno sprint vincente e quella era l'epoca delle velocissime Porsche Carrera». Ora la forza del marchio Carrera, quello del vero jeans, è imposta da massicce campagne sui mass-media (dodici miliardi investiti ogni anno in pubblicità).
Figlio del responsabile della società elettrica che alimenta la vallata, Tito Tacchella ha avuto la fortuna non comune da quelle parti e in quei tempi di poter studiare. Il fratello Imerio invece deve imparare un mestiere per guadagnarsi subito da vivere e così lo mandano a far un corso di sartoria. Imerio aveva stoffa e lo ha dimostrato al ritorno al paese natìo. Apre subito, sono gli anni sessanta, insieme a Tito e al fratello Domenico un laboratorio che taglia pantaloni per grossisti. Nel capannone la luce, che a papà costa poco, non si spegne mai. Arriva così il 1970 e i tre fratelli scalpitano, cercano un mercato più ampio, non vogliono più produrre per conto terzi. Sono gli anni della contestazione e i Tacchella, tutti casa chiesa e laboratorio, vengono attratti non dalle ideologie né tantomeno dai capelli lunghi, ma dall'abbigliamento di quegli strani giovani, in particolare dai loro calzoni di tela grezza, tutti uguali con un'unica differenza: le etichette confermano infatti che gran parte di quei pantaloni sono di importazione USA. Se in Italia ci sono poche aziende che li fanno ci sarà posto anche per noi, pensano i tre fratelli. E così a Stallavena, a due passi da Lugo, i Tacchella costruiscono il loro primo stabilimento.
Vent'anni dopo, l'impero Tacchella è ben diverso: sette stabilimenti nel Veronese, due nel Bresciano, uno ad Ariano Polesine (provincia di Rovigo), uno a Rho (Milano), uno a Urbino (Pesaro), a cui si aggiungono una tessitura a Torino che sforna tela grezza, l'industria Gb Pedrini, prima presa in affitto e poi acquisita a Riese Pio X (Treviso).
Una tintoria, due lavanderie, una trentina di imprese artigiane che producono solo per il marchio Carrera, vari negozi sparsi in Italia e gestiti in proprio. E poi c'è l'estero: una fabbrica a Malta, aperta nel '79, una a Tangeri in Marocco, una ormai pronta a Ismir in Turchia e una nuova joint-venture in Jugoslavia con quattro negozi, dove all'inaugurazione del primo è arrivato per caso anche il ministro del Commercio jugoslavo.
Vent'anni dopo, l'impero Tacchella è ben diverso: sette stabilimenti nel Veronese, due nel Bresciano, uno ad Ariano Polesine (provincia di Rovigo), uno a Rho (Milano), uno a Urbino (Pesaro), a cui si aggiungono una tessitura a Torino che sforna tela grezza, l'industria Gb Pedrini, prima presa in affitto e poi acquisita a Riese Pio X (Treviso).
Una tintoria, due lavanderie, una trentina di imprese artigiane che producono solo per il marchio Carrera, vari negozi sparsi in Italia e gestiti in proprio. E poi c'è l'estero: una fabbrica a Malta, aperta nel '79, una a Tangeri in Marocco, una ormai pronta a Ismir in Turchia e una nuova joint-venture in Jugoslavia con quattro negozi, dove all'inaugurazione del primo è arrivato per caso anche il ministro del Commercio jugoslavo.
In Italia il boom dei fratelli Tacchella si consolida, attraverso il marchio Carrera, e ad esso si affiancano l'aeroplanino del Gb Pedrini, Vagabond per uomo e donna e l'intimo dell'industria Castellana. Tutti insieme coprono una grossa fetta dei vari settori dell'abbigliamento a basso e medio costo. A questi si è aggiunto la settimana scorsa il marchio Fiorucci che va ad integrare le linee produttive dei tre fratelli veronesi. Un successo che sembra destinato a non fermarsi mai. Tito Tacchella non ama dar nell'occhio e quasi litiga per non farsi fotografare, è un personaggio anonimo, costretto suo malgrado ad abbandonare l'auto e ad acquistare un elicottero Agusta e un jet Beechcraft.
Oggi dà lavoro ad oltre duemila persone, nell'88 il fatturato del suo gruppo ha raggiunto i 545 miliardi. E badi bene che per aumentare il fatturato ci sarebbe bastato entrare nel mondo delle griffe, cioè produrre jeans per stilisti di gran nome - ripete Tito Tacchella - le offerte in tal senso non ci mancano, anzi sono quasi quotidiane, ma noi rispondiamo sempre no. Restiamo fedeli all'obiettivo iniziale, creare un prodotto di qualità a prezzi accessibili. Soprattutto interamente legato al nostro made in Italy. Con questa logica abbiamo acquistato il marchio Fiorucci, perché è un marchio italiano.
Oggi dà lavoro ad oltre duemila persone, nell'88 il fatturato del suo gruppo ha raggiunto i 545 miliardi. E badi bene che per aumentare il fatturato ci sarebbe bastato entrare nel mondo delle griffe, cioè produrre jeans per stilisti di gran nome - ripete Tito Tacchella - le offerte in tal senso non ci mancano, anzi sono quasi quotidiane, ma noi rispondiamo sempre no. Restiamo fedeli all'obiettivo iniziale, creare un prodotto di qualità a prezzi accessibili. Soprattutto interamente legato al nostro made in Italy. Con questa logica abbiamo acquistato il marchio Fiorucci, perché è un marchio italiano.
C'è poi un altro chiodo fisso nella testa dei fratelli Tacchella, sono le esportazioni che coprono il 20% del fatturato del gruppo. E ora che l'Italia è satura e anche l'Europa è sommersa dai Carrera (Germania, Francia, Spagna, Norvegia), Tacchella guarda a due enormi mercati: gli Stati Uniti e i Paesi dell'Est. Nel primo sono già arrivati attraverso un importatore canadese, con un accordo di commercializzazione che permette di aggirare le periodiche restrizioni all'import stabilite dal governo americano. Nel secondo, Jugoslavia, Ungheria e Cecoslovacchia a parte, la Carrera ha aperto un ufficio di rappresentanza a Mosca, pronta ad entrare nel business dei grandi magazzini nell'Unione Sovietica. Non contenti si sono accordati poi con Bata, il boss internazionale delle scarpe. Con lui vendono il casual veronese nei suoi empori in Belgio e ai Caraibi. Se questa joint-venture commerciale funzionerà il marchio Carrera avrà la possibilità di inserirsi con prepotenza su nuovi mercati mondiali come quello indiano dove i Bata gestiscono 1800 negozi.
Nella testa dei Tacchella c' è anche l'Africa dove, attraverso un altro importatore, a Brazzaville in Congo già distribuiscono i loro jeans. Ma nonostante jet ed elicottero Tacchella non può arrivare dappertutto e così, come avviene in Israele e in Giappone, si affida al meccanismo delle royalties: industrie locali pagano miliardi e minimi garantiti per produrre i Carrera su licenza italiana.
I programmi futuri dei Tacchella sono di sfondare nei Paesi in via di sviluppo, e loro per sviluppo intendono quello demografico, nelle nazioni dove si fanno i figli... come per esempio la Turchia che nel 2000 avrà quasi novanta milioni di abitanti, la metà dei quali giovani sotto i vent'anni. E che cosa indosseranno?, sorride Tacchella, jeans Carrera, ovviamente. Ed ecco arrivare allora una nuova fabbrica in Turchia e le offerte di costruzione di stabilimenti gli piovono addosso da tutte le parti: Grecia, Portogallo, Egitto.
Proposte interessanti soprattutto per il costo della manodopera e in questi termini non si può pù nemmeno parlare di concorrenza. Persino in mezzo alle cannonate dell'infuocato Libano hanno scovato un efficiente importatore che controlla loro tutto il medio Oriente. Anche in mezzo ai bombardamenti, sorride Tacchella, gli affari sono affari.
Un mondo che sembra lontano da questo dimesso imprenditore di provincia, dalla stupenda villa Ca' Nobia, dagli immensi saloni con annesso eliporto privato, parco con piscina, pavimento in cotto fiorentino e affreschi di un allievo del Tiepolo.
Tacchella sorride con una punta di orgoglio quando spiega l'ultima acquisizione del gruppo: il marchio Fiorucci sul quale, attraverso una società neo-costituita, la Fidit (di proprietà 50% Carrera SpA e 50% Groudit SpA, la holding capofila) tenterà di ripetere l' operazione prima di affitto e poi di acquisizione effettuata con la Gb Pedrini.
Voglio portare, dice Tacchella, il marchio Fiorucci a un fatturato entro il '90 di almeno 50 miliardi. Sorride come chi ha già capito di aver fatto un ottimo affare da aggiungersi a un altro business: l'ennesimo. L'esclusiva dei prodotti di abbigliamento dei campionati mondiali di calcio del 1990, incluse le forniture per le squadre, dei quattromila addetti, quattrocento steward e trecento dirigenti: tutto in esclusiva Carrera.
Proposte interessanti soprattutto per il costo della manodopera e in questi termini non si può pù nemmeno parlare di concorrenza. Persino in mezzo alle cannonate dell'infuocato Libano hanno scovato un efficiente importatore che controlla loro tutto il medio Oriente. Anche in mezzo ai bombardamenti, sorride Tacchella, gli affari sono affari.
Un mondo che sembra lontano da questo dimesso imprenditore di provincia, dalla stupenda villa Ca' Nobia, dagli immensi saloni con annesso eliporto privato, parco con piscina, pavimento in cotto fiorentino e affreschi di un allievo del Tiepolo.
Tacchella sorride con una punta di orgoglio quando spiega l'ultima acquisizione del gruppo: il marchio Fiorucci sul quale, attraverso una società neo-costituita, la Fidit (di proprietà 50% Carrera SpA e 50% Groudit SpA, la holding capofila) tenterà di ripetere l' operazione prima di affitto e poi di acquisizione effettuata con la Gb Pedrini.
Voglio portare, dice Tacchella, il marchio Fiorucci a un fatturato entro il '90 di almeno 50 miliardi. Sorride come chi ha già capito di aver fatto un ottimo affare da aggiungersi a un altro business: l'ennesimo. L'esclusiva dei prodotti di abbigliamento dei campionati mondiali di calcio del 1990, incluse le forniture per le squadre, dei quattromila addetti, quattrocento steward e trecento dirigenti: tutto in esclusiva Carrera.
ACHILLE OTTAVIANI
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