Perché siamo diventati ignoranti


CONTROMANO
di CURZIO MALTESE
il Venerdì di Repubblica, n. 1584, 27 luglio 2018


Se una classe dirigente che per un ventennio ha assistito con serenità al succedersi dei governi più corrotti e incapaci della storia repubblicana, ben incarnati in un leader pluricondannato, e assistito da Previti e da Dell'Utri. 

Se chi non ha alzato la voce per opporsi al rovinoso declino economico, culturale, morale del Paese, o per denunciare il furto di futuro a due generazioni di giovani, preferendo la complicità lautamente compensata o il quieto vivere dell'opposizione di sua maestà.

Se quanto fra mille condoni, perdoni, tangentopoli, abusi di potere, offese alle donne, processi calunniosi all'antifascismo, si sono indignati alla fine soltanto contro i quattro gatti che osavano "demonizzare" un potere delinquenziale.

Se insomma tutte queste brave e coraggiose persone che hanno raccontato l'Italia di Berlusconi da un sistema dei media valutato per libertà ai livelli del Benin, oggi all'improvviso lanciano angosciati l'allarme democratico, allora dobbiamo preparare i sacchi di sabbia alla finestra e intonare Bella ciao. O no? 

Il razzismo aperto di alcuni ministri (e di milioni di elettori) non deve naturalmente mai essere sottovalutato. Ma neppure è sorto di colpo, il giorno del voto o dell'insediamento del governo. Da almeno dieci anni le ricerche europee, oltre al nostro inascoltato Ilvo Diamanti, segnalavano che stavamo diventando il popolo più xenofobo dell'Unione, accanto a Polonia e Ungheria. Complice un'informazione ignorante e servile che ha raccontato per vent'anni, ogni giorno, una realtà distorta dal pregiudizio, gli italiani si sono convinti di essere invasi da venti milioni d'immigati (sono meno di 6), due milioni di rom (120 mila), responsabili del raddoppio di omicidi e stupri (in calo costante).

La verità è che siamo ignoranti e abbiamo scelto di esserlo. Dopo Tangentopoli, avevamo l'occasione di rifondare l'Italia. Investire in cultura, modernità, ambiente, innovazione, tecnologia. Abbiamo scelto la strada opposta. Stare al passo tagliando diritti, salari, istruzione. Perché dovevamo puntare sul "piccolo è bello", la manifattura a bassa tecnologia, e naturalmente grandi infrastrutture. Perché buttare soldi nella scuola, quando servivano autostrade, metropolitane, ponti, porti? Il risultato è che in vent'anni l'Italia si è deindustrializzata e pur avendo speso in infrastrutture più di Germania, Francia e Gran Bretagna, si ritrova con una montagna di opere obsolete o incompiute o inutili, se non per alimentare la corruzione. In compenso siamo il Paese (ex) ricco che investe meno in cultura e istruzione e, guarda caso, l'ultimo per crescita.

Il nuovo governo non è partito bene. In 75 minuti di discorso il premier Conte mai ha nominato la parola cultura o istruzione. Ma onestamente dubito che questi avranno i modo e il tempo per far male al mio Paese quanto ne hanno fatto in vent'anni i loro predecessori.
CURZIO MALTESE

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